Un nuovo lessico della sociologia contemporanea

Ulrich Beck (1944-2015) è considerato il cartografo del presente per la sua analisi della condizione umana contemporanea. La teoria della modernità riflessiva e la tesi della società del rischio sono le due coordinate, strettamente collegate, del suo lavoro scientifico. In questo quadro la questione ecologica, i processi di individualizzazione, la globalizzazione ne sono i principali corollari. Annoverato tra i grandi teorici del nostro tempo, negli ultimi due decenni della sua vita si è occupato dell’orizzonte cosmopolitico e si è speso per la costruzione dell’Europa.

In quarant’anni di attività di ricerca scientifica Ulrich Beck ha rinnovato il lessico della sociologia contemporanea: alcune espressioni caratteristiche, quali la società del rischio e la seconda modernizzazione, hanno creato dagli anni 1990 in poi un linguaggio per idee che si sono affermate nei primi decenni del secolo.

Pensatore critico e marcatamente politico, è stato un intellettuale nella migliore tradizione del novecento con una presenza sulla scena del dibattito politico e culturale non solo in Germania ma in tutta l’Europa.

Dalla prima modernità al secolo buio del Novecento

I caratteri della società industriale sono, secondo Beck, quelli della prima modernità: grandi aziende fordiste, produzione di massa, consumi standardizzati e occupazione a vita. Nasce con le rivoluzioni politiche e industriali, con la creazione di una società statale con una propria burocrazia amministrativa, con strutture collettive e con accentuata gerarchia nei rapporti di produzione. I fattori che ne assicurano il funzionamento con il tempo, tuttavia, s’indeboliscono e fanno oscillare l’intero assetto sociale, economico e culturale. Così un sistema apparentemente stabile e autonomo, diffuso e radicato, mentre cresce e illude sulla sua durata nel tempo, coltiva al proprio interno le cause della propria dissoluzione. In una parola, come scrive Beck, tradisce la propria logica e trasgredisce i propri confini.

Si apre una nuova fase storica della modernizzazione. “Non è la crisi, ma la vittoria della modernità che sta minando le istituzioni fondamentali della prima modernità”. I principi della modernità, dalla produzione industriale all’economia di mercato, si radicalizzano producendo effetti collaterali che ne minacciano le fondamenta. Si passa dalla “probabilità prevedibile all’incertezza radicale” all’interno di una “comunità globale del rischio”.

Al processo globale di secolarizzazione, al miraggio dell’obiettivo del pieno impiego, all’industrializzazione in rapida ascesa, allo sfruttamento della natura a vantaggio della riproduzione sociale del capitale, il secolo buio del Novecento alterna due guerre mondiali, conosce l’olocausto, genera il fascismo e il regime sovietico. Anche la costruzione dell’Europa comporta incertezze e paradossi, minacce incombenti e margini di fallimento. L’evoluzione della prima modernità fa emergere insufficienze, incertezze e contraddizioni. Imponenti sono i nuovi processi da fronteggiare, dalla disoccupazione estesa alla sottoccupazione precaria, dai rischi globali della crisi ecologica alle turbolenze del capitale finanziario.

La seconda modernità

Si arriva così non a una post-modernizzazione bensì alla condizione della seconda modernità che richiede piena consapevolezza delle conseguenze della crisi, coltivazione delle capacità riflessive, mobilitazione di esperti con pareri ragionevoli, diffusione della propensione alla critica interna. Non è il fallimento delle istituzioni o per la mancata applicazione dei principi; al contrario è il successo della modernizzazione industriale a produrre tali conseguenze. Oggi occorre prendere atto della società mondiale del rischio in cui viviamo per non farsi trovare impreparati.

La modernizzazione riflessiva è dunque un processo che interessa tutte le istituzioni, dalla scienza all’economia, dalla famiglia allo stato, dal welfare state all’apparato militare, a cui abbiamo affidato in passato la garanzia dell’ordine sociale. Emblematico è il caso della scienza, una vera e propria religione in cui credere nel XIX secolo, che genera preoccupazioni e ansie, là dove erano attese certezze e garanzie.

La società del rischio

Una seconda idea base della concezione sociale di Beck è il rischio, la condizione del “non più ma non ancora”, una terra di mezzo tra la non più fiducia che genera insicurezza e la distruzione con i disastri conseguenti. Sono numerose e quotidiane le situazioni intermedie il cui divenire ci sfugge. Varia e vasta è la gamma di esperienze del nostro mondo che vanno dal rischio implicito nel lanciare un’impresa in un contesto altamente competitivo alla con- dizione permanente di chi non ha più il “posto fisso”, stabile nel tempo e garantito, bensì un’occupazione “flessibile” e “fragile”.

Mancano alla società di oggi le contromisure per fronteggiare i rischi (tecnologici, ecologici e di coesione) che essa stessa alimenta. In particolare, ai nuovi rischi sociali corrisponde una vulnerabilità senza precedenti originata anche dai cambiamenti nella struttura delle famiglie e dal lavoro che risulta maggiormente destrutturato e con reddito sempre più basso ed incerto, che spesso non riesce ad impedire la caduta in forme di povertà.

È l’accesso di massa alla conoscenza che trasforma il rischio in realtà attraverso i mass media. Beck cita la sindrome della mucca pazza come un tipico fenomeno di oggi. Dalle notizie diffuse si passa al crollo dei consumi di carne. La conoscenza dell’esistenza del rischio incide sulle decisioni da prendere: sia che il primo ministro debba decidere il blocco delle importazioni, sia che il consumatore debba andare in macelleria. Altri evidenti esempi sono la sicurezza perduta per via del cambiamento climatico, del terrorismo internazionale e delle crisi finanziarie. Quanto più la modernizzazione è venuta radicalizzandosi, tanto più le sue conseguenze impreviste hanno minato le istituzioni fondamentali della modernità.

La funzione di rischiaramento del rischio

Il concetto di società mondiale del rischio non ostacola l’azione politica, anzi spinge verso la società riflessiva cambiando le basi dell’intervento pubblico. I rischi, infatti, “destabilizzano l’ordine esistente, ma possono anche essere considerati come un passaggio vitale verso la costruzione di nuove istituzioni”. Beck riconosce in “Conditio humana. Il rischio nell’età globale (2008) la “funzione di rischiaramento del rischio” che può inaspettatamente liberare un “momento cosmopolitico”. Quante più prospettive scientifiche introduciamo – dice Beck – tanto è più improbabile che producano certezze. Si tratta di quel processo delle incertezze fabbricate, artificiali: quelle incertezze prodotte proprio mediante le risorse e i metodi con i quali pensavamo – e pensiamo – di governare l’incertezza. Nel momento in cui cerchiamo di dominare e gestire l’incertezza, dunque, non facciamo altro che produrne nuove forme. Cita poi i casi della “mucca pazza” o dei rischi finanziari in cui le certezze di cui pensavamo di poter disporre si sono dissolte.

Oggi le incertezze fabbricate in campo finanziario hanno prodotto infatti vere catastrofi, mentre gli attori economici continuano a evitare di pensare alle nuove incertezze da loro fabbricate. E che parallelamente innescano un processo di delegittimazione delle istituzioni della prima modernità in tutti gli ambiti, dalla scienza alla famiglia, dal welfare stare all’occupazione, dall’università all’educazione. In ognuno di questi settori ci aspettiamo il soddisfacimento di vecchie funzioni, e continuiamo a ragionare avendo ancora in mente vecchi paradigmi. Ormai inadeguati alle nuove realtà che si producono quotidianamente.

La globalizzazione

Ulrich Beck è considerato uno dei capiscuola della sociologia della globalizzazione accanto a Anthony Giddens e Zygmunt Bauman. A differenza di altri studiosi non si sofferma solamente sui versanti socio-economici, si occupa con particolare attenzione delle conseguenze della globalizzazione in termini di disuguaglianze sociali e sostenibilità ambientale (Che cos’è la globalizzazione? Rischi e prospettive della società planetaria).

Beck analizza le principali teorie della globalizzazione (Wallerstein, Rosenau, Gilpin ed Held) riafferma il primato della politica recuperabile riconoscendo gli errori della globalizzazione, affrontando così la sfida politica dell’era globale.

Contesta chi vede nella globalizzazione una dimensione prevalentemente economica, impossibile da influenzare, e lascia che il mercato si autoregoli da solo, riducendo al minimo il ruolo dello stato. Non condivide, tuttavia, le posizioni di chi, dando per scontato il predominio del mercato, pensa di introdurre delle barriere protettive, sia per motivi economici, sia per assicurare la protezione dell’ambiente, sia per assistere al verificarsi delle previsioni marziane di un mercato capace di schiacciare la società.

La globalizzazione è un processo irreversibile che vede gli attori nazionali perdere la loro rilevanza rispetto agli attori internazionali e transnazionali in una società non più rinchiusa in uno stato ma coestesa al globo.

Sin dal suo primo libro dedicato alla società del rischio le crisi ambientali, in particolare il cambiamento climatico e le sue conseguenze, sono al centro dell’attenzione. In Conversations with Ulrich Beck, per esempio, scrive che “la prima modernità si fonda su una netta distinzione tra società e natura. La natura è concepita come il ‘fuori’ della società, e come una risorsa e un pozzo funzionalmente infiniti”. Sostiene in Un mondo a rischio, che dobbiamo considerare “i problemi dell’ambiente nel senso del mondo che ci circonda (Umwelt), ma anche come problemi che investono il mondo interno (Innenwelt) della società”. La “democrazia ecologica” che dovrebbe “aprirci gli occhi sull’immaturità della prima civiltà industriale e sui pericoli che essa pone a sé stessa” (Cos’è la globalizzazione?).

La corsa all’individualizzazione

Uno dei tratti distintivi della modernità avanzata o “modernità riflessiva” è l’individualizzazione in quanto orizzonte ineliminabile dell’esperienza sociale. Il presente è il risultato di un processo che viene da lontano, cominciato diversi secoli fa, ma oggi ha subito una accelerazione fortissima perché la società industriale (unitamente allo stato sociale) si basava sull’unità familiare. La sfera della produzione e quella delle riproduzioni avevano un loro equilibrio, costruito sulla divisione dei ruoli tra uomini e donne.

Ora la “seconda modernità” impone individui interamente affrancati da legami. La flessibilità e la mobilità, con l’accesso delle donne al lavoro, creano una contraddizione tra produzione e riproduzione, impongono una visione longitudinale della biografia individuale. Il mercato ha bisogno di manodopera ma nello stesso tempo distrugge le basi della riproduzione degli individui. Tra mercato del lavoro e matrimonio quella che si svolge è una commedia degli equivoci. Il mercato vorrebbe una società senza figli. Cresce il numero dei single. Nelle grandi città tedesche sono più del 50% delle unità abitative. Il tema dell’individualizzazione rappresenta uno dei leit-motiv della riflessione di Ulrich Beck: sin da Risikogesellschaft, l’opera che lo ha introdotto nella cerchia degli interpreti più autorevoli della società contemporanea, Beck aveva puntualizzato come l’individualismo non ha nulla a che vedere con le filosofie neoliberali: è piuttosto il distanziamento dei singoli delle strutture sociali e il dissolvimento del rapporto con le istituzioni. L’identità individuale non è più definita dalle strutture garantite della classe sociale, dello status sociale, della famiglia e dei gruppi intermedi di appartenenza.

La necessità di uno guardo cosmopolita

Dagli studi, divenuti ormai un punto di riferimento nella sociologia contemporanea, sulla globalizzazione e sul rischio, Beck approda a una compiuta riflessione sulla società contemporanea e sulle sue istituzioni. L’antico ideale illuminista e kantiano del cosmopolitismo trova un nuovo uso meno astratto e più calato nella storia. Nel volume relativamente recente Power in the Global Age (2014) Beck considera la prospettiva del cosmopolitarism come una risposta alla globalizzazione e allo stesso tempo ai limiti di una teoria e una pratica ancorate al mero ambito nazionale. Occorre una nuova architettura politica basata su un “modello organizzativo di democrazia deterritorializzata”.

Nell’attuale globalizzazione dei diritti, dell’economia, della comunicazione, così come del rischio (terrorismo, protesta contro la guerra…), il cosmopolitismo diventa la cifra di una nuova era di modernità riflessiva che dissolve i suoi confini e le sue distinzioni nazional-statali. Il nuovo punto di vista, che Beck chiama «sguardo cosmopolita» indica la via per organizzare all’interno di una nuova cornice culturale multietnica il nostro vivere insieme, capace di dare fondamento a un nuovo ordine mondiale sottratto agli opposti vincoli del territorialismo e della omogeneizzazione.

All’insegna della riflessività, carattere peculiare della seconda modernità, considera storicamente immatura la sociologia, ancorata all’“insularità seduttiva della coscienza nazionale”. L’immagine, infatti, dello stato-nazione ostacola la capacità di azione misconoscendo la natura della società mondiale del rischio in cui viviamo. Al contrario con lo “sguardo cosmopolita” si individua in ogni rischio, oltre all’anticipazione di una catastrofe, il principio di una trasformazione.

Cooperazione europea e sovranità nazionali

La cosmopolitizzazione degli Stati è la direzione verso cui si muove la cooperazione europea seppur ostacolata dal retaggio delle sovranità nazionali ed errate interpretazioni della modernità, basata sulla matrice dello stato-nazione.

Secondo la griglia analitica dello Stato-nazione, infatti, può esserci solo una grande nazione (che si tratti di una nazione europea, di uno stato federale, di un super-stato), oppure diversi e singoli stati nazionali, e dunque non l’Europa intesa come corpo politico comune. Tale griglia analitica prevede una situazione di alternativa radicale e oppositiva, del tipo “o/o”, dove a escludersi a vicenda sono da un lato gli stati-nazione e dall’altro lo stato europeo. Questa tendenza interpretativa costituisce, secondo Beck, il più grande equivoco e il più grave ostacolo verso un’auto-riflessione produttiva sull’Europa. Allo stesso tempo, Beck mette anche in evidenza come la burocrazia europea, la cui immagine negativa è ampia- mente diffusa, sia in realtà molto più “snella” (anche se peggio organizzata) di quella di città come Berlino, Londra o Parigi. Inoltre, e questa è la cosa più importante, il modello costituzionale e di funzionamento dell’Unione europea prevede che le leggi che passano il vaglio delle istituzioni europee debbano poi essere adottate e attuate dallo stato-nazione, secondo una procedura che riflette una combinazione di sovranità nazionale e cooperazione tra Stati-nazione. Un procedimento, dunque, molto diverso dal funzionamento di una grande nazione. Ed è proprio questa cooperazione a far sì che non ci sia semplice diminuzione della sovranità, quanto, piuttosto, uno spostamento e un incremento della sovranità, anche a livello nazionale.

La combinazione di sovranità condivisa e partecipata – così si può riassumere l’Unione europea – attribuisce potere a ogni sorta di stato, anche ai meno rilevanti politicamente, un potere molto più ampio di quello che tali stati potrebbero ottenere se non ne facessero parte. Purtroppo i fraintendimenti comuni sull’identità e sulla sovranità nazionale rallentano la cooperazione e la cosmopolitizzazione degli stati. Persiste un “blocco mentale implicito”, a causa del quale molti autori credono che l’età globale implichi “la fine dello stato nazionale e dunque della democrazia”.

La distinzione tra autonomia e sovranità

Nella prospettiva cosmopolita distinguendo tra autorità e sovranità, si passa dalla sovranità esclusiva alla sovranità inclusiva. Se l’appartenenza all’Unione europea comporta una qualche perdita di autonomia, in qualche misura si può crescere in sovranità partecipando a processi decisionali che vanno oltre le barriere nazionali. Beck sostiene che la sovranità condivisa aumenta la sovranità piuttosto che ridurla. Così, ad esempio, le dinamiche migratorie non sono risolvibili a livello nazionale richiedendo decisioni e misure a livello transnazionale. La medesima realtà si ha per la lotta contro i network criminali o la regolazione dell’attività delle grandi imprese tecnologiche transnazionali. Mancando a livello di singolo stato strumenti per fronteggiare problemi inediti, senza la condivisione di sovranità si finisce nell’inerzia politica.

Molte questioni, dal cambiamento climatico alla crisi dell’euro, dal terrorismo di varia matrice al controllo del nucleare, investono l’ambito transnazionale e richiedono la cooperazione tra gli stati. L’idea, quindi, di sovranità nazionale è ormai in parte fittizia, presente nella testa della gente ma senza pratica reale. Le nazioni non sono più in grado di fronteggiare singolarmente problemi che eccedono la cornice nazionale e che rientrano in un quadro politico molto più complesso e articolato. A queste condizioni, perdere autonomia e condividere sovranità può tradursi in un incremento della sovranità nazionale, cioè nell’aumento della possibilità di risolvere problemi. Beck scrive in Un mondo a rischio, che non è la sovranità nazionale a rendere possibile la cooperazione, ma la cooperazione transnazionale a rendere possibile la sovranità nazionale. La riduzione dell’autonomia nazionale e l’aumento della sovranità nazionale non si escludono. Beck esprime la convinzione che solo nello spazio dell’ambito transnazionale dell’Europa i singoli Stati possono organizzare le proprie politiche tali da presentarsi come ‘soggetti di una globalizzazione organizzata’ e non più subita.

Il potere globale assume, secondo Ulrich, nuove configurazioni e modi di manifestarsi. Nel saggio Otto tesi per ridefinire il potere nell’era globale, contenuto ne La società cosmopolita, descrive il volto del nuovo potere globale, diverso da quello territoriale dello stato-nazione: un potere, soft e diffuso, delle multinazionali, ad esempio, di “non investire capitali”, di “non entrare nei paesi”, “più coercitivo del potere militare dello stato-nazione”. Sono ormai armi spuntate sia la necessità di una legittimazione politica della tradizione sia la sovranità su base territoriale.

Alcune opere

  • –  Che cos’è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetaria, Carocci, Roma, 1999.
  • –  Modernizzazione riflessiva. Politica, tradizione ed estetica nell’ordine sociale della modernità, in collaborazione con A. Giddens e L. Scott, Asterios Editore, Trieste, 1999.
  • –  La società del rischio. Verso la seconda modernità, Carocci, Roma, 2000.
  • –  Un mondo a rischio, Einaudi, Torino, 2003
  • –  Lo sguardo cosmopolita, Carocci, Roma, 2005.
  • –  Power in the Global Age, Hoepli.it, 2005.
  • –  L’Europa cosmopolita, Carocci, Roma, 2006
  • –  Conditio humana. Il rischio nell’età globale, Laterza, Bari, 2008.
  • –  Potere e contro potere, nell’età globale, Laterza, Bari, 2010.
  • Il manifesto cosmopolitico, Asterios, Trieste 2000.