Un patrimonio di energie latenti e potenziali da investire

Non siamo ai blocchi di partenza: l’ultima ricerca PIRLS conferma l’eccellenza della scuola primaria; la dispersione è in fase calante; esistono scuole con performance elevate nelle indagini internazionali; diffusa è la sensibilità verso l’inclusione; il contrasto alla dispersione interna è in agenda; disponiamo di un sistema di valutazione per il pilotaggio del sistema. Alla base c’è un patrimonio di esperienza e di capacità: un’intelligenza collettiva in grado di rinnovare le tradizioni educative, dalle innovative scuole dell’infanzia alle buone scuole elementari, dall’eredità dei licei al protagonismo dell’istruzione tecnica.

Non è difficile, per la verità, tracciare paesaggi catastrofici delle scuole del nostro Paese. Per una tavolozza dalle tinte scure è sufficiente riunire le lacune, elencare i ritardi accumulati, cogliere i segni di demotivazione degli studenti, decifrare le mille forme di svalutazione della professione insegnante, inseguire il bullismo quotidiano tra studenti o catalogare gli episodi di violenza che ricorrono. Si rischia, però, di perdere di vista quella struttura profonda, costruita collettivamente, che assicura continuità e garantisce valore nel tempo.

Altra lettura della scuola è disponibile, anzitutto le prospettive inaspettatamente rintracciabili persino nella letteratura critica. Anche chi fotografa lo stallo di una scuola bloccata, infatti, non può fare a meno di proporre vie di uscita e priorità da perseguire[1]. Così pure la dissacrante disamina condotta dallo storico di rango non è priva di un barlume conclusivo di speranza: “bisogna credere che nulla sia stato già deciso una volta per tutte, che la ‘buona battaglia’ resti ancora da combattere. Il tempo rimasto è poco, ma il destino della nostra scuola è ancora nelle nostre mani”[2]. Non è senza idee sul che fare anche la narrazione dei guasti di una “scuola progressista”: di fronte al bivio, da un lato adattamento e inerzia, dall’altro ripensamento e riedificazione, la scelta degli autori è chiara “… riconoscere l’errore. E cercare di riscattarci, ripensando la scuola da zero e ricostruendola, pezzo per pezzo”[3]. Tutte testimonianze dell’assenza di un declino fatalmente non contrastabile.

Altre letture sono direttamente più corroboranti. C’è chi ha vissuto il drammatico periodo del COVID cogliendo il respiro di una istituzione in affanno ma viva[4]. Non manca chi ha avuto l’ardire di entrare nelle aule e guardare gli studenti negli occhi per cogliere il messaggio che “la scuola ci salverà”[5]. C’è anche chi senza precomprensioni ha raccolto le storie di chi ha il coraggio di “costruire il futuro”[6].

Sarebbe inaccettabile oltre che miope non investire il capitale di capacità tecniche e di potenzialità professionali delle scuole in vista del domani. I talenti, come ci ricorda, e insegna, la parabola evangelica, non vanno nascosti ma investiti e messi in circolo: un imperativo per le persone ma non meno per le istituzioni.

L’educazione è per sua natura un rischio sul futuro, uno sguardo rivolto al domani attraverso gli occhi degli studenti. Rimanere a lungo senza ambizioni per l’avvenire della scuola e coloro che la frequentano è un tradimento. Irresponsabile sarebbe il soffocare sul nascere lo slancio vitale che appartiene ai mestieri dell’insegnare.

Il coraggio è d’obbligo. Non ci sono in campo altre opzioni sostenibili. Le teorie di un declino inarrestabile generano inerzia e inazione, decadenti e per nulla accettabili. Le lusinghe delle ipotesi sulla fine della scuola segnano l’abdicazione di fronte ad un compito pubblico prioritario ignorando, peraltro, la realtà. Anche i cahiers de doléances non sono un’alternativa plausibile alla piena assunzione di responsabilità di fronte alle nuove generazioni.

Vigilare attivamente e giocare d’anticipo

Per chi lavora in classe il compito è di assoluto rilievo. Non ci sono panacee a cui ricorrere o nirvana entro cui riparare. Occorre consapevolezza professionale del proprio lavoro. Negli ultimi anni ci ha catturato l’idea di metodi e di tecniche supportate dalla ricerca scientifica. Data-driven education è una prospettiva lanciata negli anni 1990[7] alternativa al bricolage di chi lavora in classe. Il tentativo di ancorare le scelte metodologiche e didattiche ad acquisizioni scientifiche è comprensibile. Indagini condotte, tuttavia, hanno fatto emergere che se è indispensabile tener conto delle evidenze scientifiche, occorre riconoscere che la sfida maggiore è il livello di capacità e di impegno per metterle in pratica.[8] Peraltro la ricerca scientifica è fatta di processi in divenire, ben lontana dall’immagine di una raccolta di dogmi; orienta le scelte di metodo, identifica gli errori, propone ipotesi esposte alla falsificazione ma non garantisce posizioni assolute a prova di controversia.

Ieri le teorie delle intelligenze multiple hanno permesso di reinterpretare le innovazioni di pregio di Reggio Children sviluppate dalla sensibilità di Loris Malaguzzi e dei suoi collaboratori. Oggi le neuro-scienze sembrano smentire le premesse delle teorie di Howard Gardner[9]. Negli Stati Uniti per oltre 30 anni Lucy Calkins ha diretto un prestigioso programma per l’insegnamento della lettura della Columbia University di New Yok, influenzando, con puntuali indicazioni metodologiche (balanced literacy method, whole language approach…), la preparazione di decine di migliaia di insegnanti negli Stati Uniti e altrove. Recente è la sconfessione dell’intero movimento da parte degli esperti di scienze cognitive, a favore di un approccio che rimetta al centro gli aspetti fonetici[10]. Analizzando i rapporti tra la ricerca scientifica e le prassi didattiche in classe Dylan William, professore emerito all’University College si Londra (UCL) ebbe a scrivere anni fa: “Educational research will never tell teachers what to do; their classrooms are too complex for this ever to be possible”[11]. Chi insegna lavora nel contesto di svariate incertezze, dall’assenza di modelli da emulare a linee di influenza non chiare, dalla pluralità di criteri spesso controversi e ambigui, nei regimi di valutazione all’instabilità dei risultati. Gli insegnanti sono generalmente utilizzatori critici delle ricerche educative consapevoli che anche i risultati di consolidate investigazioni possono fallire nell’applicazione in un contesto particolare. Non possiamo peraltro dimenticare le intuizioni pedagogiche dei numerosi e pregevoli maestri che hanno nella storia ispirato l’agire educativo.

Oltre che sulle scelte di approccio e di metodo chi lavora in educazione deve esercitare vigilanza attiva e intelligente sul proprio benessere professionale. Lungo una traiettoria che attraversa ormai svariati decenni la revisione del proprio bagaglio di strumenti e lo sviluppo di competenze sono inevitabili. Qualche anno fa Bill Gates ha dato voce alla convinzione “Once somebody has taught for three years, their teaching quality does not change thereafter[12]: opinione decisamente smentita da successive ricerche[13] che hanno ampiamento documentato la realtà dei processi di cambiamento professionale che, tra l’altro, hanno oggi un contesto tecnico, culturale e organizzativo molto più ricco rispetto al passato.

Siamo abituati a vedere la scuola con uno sguardo al passato, alla ricerca di una presunta età dell’oro; ne diventiamo quasi prigionieri e ci abituiamo alla miopia rispetto al futuro. Forse ci scordiamo che anche Giovanni Gentile, autore della blasonata riforma che ne porta il nome, dovette scendere a patti con la realtà. La prima edizione dell’esame di maturità fu una strage, con il fallimento di quasi la metà dei candidati oggetto, peraltro, di “devastanti …giudizi delle commissioni[14].  Alternativamente lanciamo talvolta lo sguardo in avanti rischiando di sottovalutare i gioielli di famiglia. Negli anni 1970 un team di sociologi stigmatizzò la scuola elementare come “la macchina del vuoto” senza tener conto che in quegli anni nelle indagini internazionali gli alunni di quella istituzione considerata passatista competevano ad armi pari con i coetanei inglesi e tedeschi in matematica e in scienze[15].

Eppur avremmo delle ragioni per aprire gli occhi nel riflettere sul passato. Le nostre scuole hanno assicurato la ‘cittadinanza scolastica’ ad alunni e studenti non nati in Italia o di lingua nativa non italiana, prima che la società civile discutesse attorno al riconoscimento della cittadinanza per gli adulti senza arrivare fino ad oggi ad una conclusione condivisa. Risalendo nei decenni, inoltre, appare evidente che nelle classi i docenti hanno dato ospitalità prima e protagonismo successivamente a studenti con disabilità, in anticipo rispetto ad altri settori della società, ancora oggi impreparati. Illusoria può sembrare la pretesa di giocare d’anticipo con il futuro: impossibile imbrigliare il domani nella visione di oggi. Le testimonianze, tuttavia, di chi in passato ha sperimentato la forza anticipatrice dell’educazione ci confermano la possibilità di scommettere sul futuro e smentiscono la paura del futuro ignoto.

Scegliere le direzioni senza sbagliare le priorità

Senza una visione ci si perde facilmente attorno ai minimalia di corto respiro. L’educazione si gioca certamente nelle scelte quotidiane, ma trae ispirazione dagli orientamenti che resistono alle turbolenze momentanee. Serve un’idea della direzione da seguire. Talora sotto la pressione della preoccupazione che la scuola debba servire a qualcosa, vanamente cerchiamo lo scopo in qualcosa che alla radice non ha un fine utilitario. Ridurre l’educazione ad una funzione strumentale, potrebbe significare violentarne il valore e travolgerla nella sua essenza. Guardando al domani vanno scelte le priorità, rifiutando gli annunci fallaci, sfuggendo ai tentacoli della retorica ed evitando pensieri semplici.

Sbagliare le priorità può avere conseguenze di lunga durata, come decisioni lungimiranti possono rivelarsi di grande rilievo. La scuola coltiva frutti a lenta maturazione e, pertanto, richiede determinazione e costanza. Nella gamma delle questioni aperte alcune sono senza dubbio di maggior peso e di pressante attualità.

Come continuare la lunga marcia contro le disuguaglianze?

Che la scuola esiste perché gli studenti imparino è fuori discussione. Rimane, tuttavia, in larga misura un obiettivo da raggiungere, in un contesto di disuguaglianze in crescita. La vocazione inclusiva delle nostre scuole è un traguardo positivo costruito nel tempo. Tuttavia il peso del condizionamento socio-economico e culturale continua ad essere rilevante. La differenza di performance testimonia una divaricazione, se non una ghettizzazione gerarchica tra i tipi di istituzioni scolastiche con “disuguaglianze fra le scuole addirittura superiori a quelle dei paesi anglosassoni, culturalmente più disponibili ad accettare l’esistenza di istituti di serie A e di serie B[16]. La composizione sociale della popolazione delle scuole, là dove è stata scrutinata[17], denota una segregazione scolastica inaspettata. L’enfasi sulla riuscita scolastica in termini di apprendimento ha correttamente riportato l’attenzione alla missione della scuola, alle ragioni di fondo dell’organizzazione scolastica. La grammatica della scuola, tuttavia, non è fatta solo di bagaglio di conoscenze misurabili, sottoponibili a test. Include anche il saper essere, l’interagire positivamente, il fare squadra, qualità su cui influisce il clima di scuola.

Come prendersi cura del futuro del pianeta?

La discussione è aperta se l’uomo stia distruggendo la natura e i contrasti tra gli scettici e i convinti sono all’ordine del giorno. Pur in mezzo a divergenze e opposizioni, la comunità internazionale ha preso posizioni molto chiare, nette e, soprattutto, impegnative con gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu. Conosciamo le origini e le cause della transizione in corso, i rischi sono stati illustrati, gli allarmi ripetuti e la consapevolezza crescente. Tuttavia l’atteso rapporto dell’Ipcc (il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) sotto l’egida dell’Onu conferma che le emissioni di gas serra di origine umana alimentate soprattutto dal perdurare della dipendenza dai combustibili fossili, stanno allontanando gli obiettivi sul contenimento del riscaldamento globale. Serve una inversione di rotta. L’educazione non può essere estranea. Lo sviluppo delle competenze indispensabili per la transizione passa nelle aule di scuola, oggi e domani.

Quale cultura della legalità oggi?

Istanze emergenti impongono ormai una drastica rivisitazione della cultura della legalità. Per lungo tempo la nozione di Stato di diritto è parsa implicita nelle nostre istituzioni. Il recente paesaggio geopolitico ha sollevato il problema di quali siano i caratteri di uno Stato di diritto, di quali siano le forme indispensabili di una democrazia, di quali debbano essere le interazioni tra i soggetti del quadro istituzionale di un paese. Accanto alla necessità di ricostruire una cultura istituzionale per comprendere il presente, il tema della guerra è diventato di pressante attualità uscendo dalle lezioni di storia, con autorevoli riflessioni da Papa Francesco[18] ad Edgar Morin[19]. Di fronte al confronto bellico ci troviamo intellettualmente scoperti e alla ricerca di frettolose categorie. La conciliazione tra la violazione del diritto internazionale e il rifiuto della guerra come strumento per dirimere controversie appare come un nodo difficile da sciogliere dopo essere stati costretti a rileggere l’art.11 della Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”).

Secoli di storia, non solo europea, ci hanno erudito sull’origine e sulle forme della tortura. Ci siamo sorpresi a scoprire che c’è oggi un reato di tortura. Nei manuali di storia abbiamo seguito la parabola della schiavitù nei vari continenti e siamo stati indotti a pensare ad epoche tramontate, inconciliabili con i valori contemporanei. E poi scopriamo le nuove schiavitù nel mondo del lavoro, nello sfruttamento minorile, nel lavoro povero e dobbiamo ridefinire la categoria. Al contrario il rifiuto della pena di morte è una conquista relativamente recente nella coscienza politica illuminata, ma è lungi dall’essere condivisa da tutti gli stati anche da quelli con cui abbiamo interazioni economiche e culturali. Il fatto che si sia ancora lontani da una posizione univoca a livello globale, non giustifica l’assenza della riflessione in merito.

Questi sono alcuni dei temi che interrogano la scuola al presente: ci vuole coraggio ma è inevitabile dover scrivere in tale direzione pagine nuove dell’educazione civica.

Il coraggio da condividere

Non basta il coraggio delle persone o delle singole collettività per guardare avanti. I grandi maestri del passato, da Maria Montessori all’abate di Barbiana, hanno rinnovato sensibilità e cultura nei mestieri dell’educare. Innovazioni disseminate hanno fertilizzato il terreno dell’istruzione. Decisioni politiche e amministrative hanno smosso il pachiderma del sistema scolastico. L’ex ministra Lucia Azzolina[20] e Alessandro Fusacchia, capo di gabinetto della ministra Giannini[21] con toni diversi, tuttavia, hanno aperto uno squarcio sul mondo dei vertici ministeriali e della decisione politica, svelando improvvisazioni, presunzioni, ignoranze e disallineamento, restituendoci l’immagine di un sistema disarticolato e scomposto.

Oggi serve il coraggio condiviso per misurarsi con la complessità della scuola nel suo insieme, trasformando esperienze di pregio in pratiche diffuse e universali e ancorando le decisioni politiche e amministrative al mondo delle classi e delle scuole.

Ci saranno sempre insegnanti motivate e dirigenti lungimiranti, come non mancheranno burocrati illuminati e politici appassionati: tutti ingredienti necessari ma non sufficienti per quella coesione tra le strategie, quella coerenza tra le intenzioni, quel dialogo tra gli attori in campo e quella forza d’urto necessaria perché l’educazione non sia solo concepita come un bene comune, ma diventi realmente un’impresa cooperativa e solidale, proficua per i singoli e per il Paese.

 

 

 

[1] Cfr. il capitolo finale (“Conclusioni”, pp.118ss) in Gavosto A., La scuola bloccata, Edizioni Laterza, Bari-Roma 2022.

[2] Galli della Loggia G., L’aula vuota. Come l’Italia ha distrutto la sua scuola, Marsilio, Venezia 2019, p.235.

[3] Mastrocola P. e L Ricolfi, Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza, La Nave di Teseo, Milano 2021, p.173.

[4] Veladiano. M., Oggi c’è scuola. Un pensiero per tornare, ricostruire, cambiare, Solferino, Milano 2021.

[5] Maraini, D., La scuola ci salverà, Solferino, Milano 2021.

[6] Carreras, S., Ora o mai più. Riprendiamoci la scuola. Le storie di chi ha il coraggio di costruire il futuro, Chiarelettere, Milano 2022.

[7] Intervenendo ad una conferenza della TTA nel 1996 David H. Hargreaves (Teaching as a research-based profession. Possibilities and Prospects) suscitò un vivace dibattito sostenendo che la ricerca educativa non riesce a fornire una base di solide evidenze per l’insegnamento, non genera un complesso cumulativo di conoscenze e non è rivolta a risolvere i problemi che gli insegnanti incontrano.

[8] Cfr. il rapporto di ricerca Evidence-informed teaching: an evaluation of progress in England, Research report, Department for Education, London 2017.

[9] Cfr. Blanchette Sarrasin, J. e Masson, S. “Connaître les neuromythes pour mieux enseigner”, Enjeux pédagogiques, 28 (2017), pp. 16-18 (https://goo.gl/GgF8iY).

[10] Per la discussione sui media cfr. Winter J. “The Rise and Fall of Vibes-Based Literacy. Is a controversial curriculum, entrenched in New York City’s public schools for two decades, finally coming undone?”, The New Yorker, 1 settembre 2022 e D. Goldstein D., “In the Fight Over How to Teach Reading, This Guru Makes a Major Retreat”, The New York Times, 22 Maggio 2022.

[11] D.William, (“How is educational research supposed to improve education?“, Researched.org., 27 aprile 2020.

[12] TRF 2009 February.

[13] Sull’efficacia delle azioni di sviluppo professionale dei docenti si vedano due studi condotti a distanza di oltre un decennio: cfr. L. Darling-Hammond, R.C Wei, A. Adree, N. Richardson e S. Orphanos, A Status Report on Teacher Development in the United States and Abroad, School Redesign Network at Standford University, National Staff Development Council, 2009 e H.C. Hill, J.P. Papay e N. Schwartz, Dispelling the myths: What the Research Says About Teacher Professional Learning, Annenberg Institute at Brown University, February. 15, 2022.

[14] Galli della Loggia, op.cit. 2019 p.97.

[15] Livolsi M. et al., La macchina del vuoto. Il processo di socializzazione nella scuola elementare, Il Mulino, Bologna 1976.

[16] Gavosto A. La scuola bloccata. Editori Laterza, Bari-Roma 2022, p.27.

[17] Pacchi C. e C. Ranci (a cura di), White flight a Milano La segregazione sociale ed etnica nelle scuole dell’obbligo, Franco Angeli, Milano 2017.

[18] Cfr. Papa Francesco, Contro la guerra. IL coraggio di costruire la pace, Solferino, Milano 2022.

[19] Si veda il recente Morin E., Di guerra in guerra. Dal 1940 all’Ucraina invasa, Raffaello Cortina Editore, Milano 2023.

[20] Azzolina, L., La vita insegna. Dalla Sicilia al Ministero il viaggio di una donna che alla scuola deve tutto, Baldini+Castoldi, Milano 2021.

[21] Fusacchia, A. Lo Stato nudo. Storia intima della “Buona Scuola”, Editori Laterza, Bari-Roma 2022.