Memoir appassionato e saggio analitico

Storia a romanzo che attraversa tre anni vissuti dall’autore ai vertici dell’Istruzione, Lo Stato a nudo. Storia intima della “Buona Scuola”, edito da Laterza nel 2022 di Alessandro Fusacchia si rivela polivalente: autobiografia di un giovane professionista, libro diario di un alto funzionario, produzione di uno scrittore, analisi di un esperto in politiche pubbliche. La ‘Buona Scuola’, espressione che identifica l’iniziativa politica del premier Matteo Renzi nel 2013-2016, è narrata attraverso una “storia intima” come da sottotitolo.

Letto attentamente il memoir di Fusacchia è estraneo alla consueta, e stantia, polarizzazione tra pessimisti e ottimisti, nonostante quanto si legge nella quarta di copertina. Non rientra nella visione di catastrofi e di distruzione della scuola senza, peraltro, approdare a logorate retoriche progressiste. Il timbro quasi letterario del testo è alternativo ai codici usuali[1]. Del saggio accademico Lo Stato a nudo non ha i richiesti paraphernalia; non c’è il rituale apparato di note che appesantisce, né il vezzo dei riferimenti bibliografici ridondanti. Non è, d’altra parte, un saggio di diritto amministrativo pur illustrando “i giorni e le opere” ai piani alti di un ministero. Per la verità, l’analisi del terreno esplorato da Fusacchia non ha uno status epistemologico ben definito. Il sottotesto è, comunque, uno scrutinio, raffinato e non convenzionale, dei modi della politica.

Al vertice della burocrazia romana per un triennio Fusacchia con il suo memoir diventa un informant, autorevole e affidabile, sui percorsi labirintici del policy style italiano. Le pagine sono dense di significato per chi vuole approfondire le politiche scolastiche. Il libro del brillante trentaseienne approdato al secondo piano del ministero dell’Istruzione nel 2014 sollecita la curiosità di chi a scuola lavora; soprattutto ha tutti gli atouts per richiamare l’attenzione degli analisti di una stagione, aldilà dei commentari normativi e divulgativi[2] e del dibattito sui media, poco frequentata[3].

Così il memoir diventa un contributo originale alla comprensione del ciclo politico di Matteo Renzi come capo del governo che dal 22 febbraio 2014 al 12 dicembre 2016 ha smosso le acque della politica del nostro Paese. La vicenda della scuola, infatti, è parallela, seppur con tracciati non assimilabili e con esiti disomogenei, a quella di altre decisioni renziane, dal Jobs act al referendum istituzionale. Non è, peraltro, da dimenticare che, al di là del destino che avrà, la legge della ‘Buona Scuola’ n.107 del 2015 rimane un intervento di rilievo nell’arco degli ultimi decenni, una pietra miliare come l’introduzione della partecipazione sociale negli anni 1970 o la normativa sull’autonomia scolastica negli anni 1990. La risonanza che la ‘Buona scuola’ ha avuto nel corso di quasi dieci anni ne fa, paradossalmente, un fallimento dall’enorme successo come qualcuno ha chiosato.

Vento di primavera

La parabola renziana a Palazzo Chigi apre una policy window[4] con la scommessa di una strada alternativa[5]. Un approccio fortemente assertivo e determinato rompe le tradizionali vie della composizione e del compromesso tra gli interessi. La politica, scrive Fusacchia, è “scegliere tra interessi diversi, possibilmente tutti legittimi, raramente riconciliabili” (p.110); non è la faticosa mediazione, né la costruzione progressiva di intese trasversali, né la dipendenza dai mutamenti locali, né la generalizzazione di nicchie dinamiche territoriali, né il procedere incrementale.

La volontà di una radicale discontinuità con il passato del premier è condivisa dalla ministra dell’istruzione e dal suo capo di gabinetto che vengono a comporre un insolito iron triangle[6] teso a forgiare modi innovativi di azione. Fusacchia riconosce che l’esperienza è possibile “solo grazie alla fermezza e alla generosità di Stefania Giannini”(p.6).[7] Il patrimonio di risorse, energie, esperienze e competenze è senz’altro di pregio. Quando convergono, le strategie esercitano una forza di pressione incontenibile a supporto di un’ambiziosa determinazione a svoltare e a cambiare rotta. In questa direzione la sintonia si rivela più alta di quanto fosse plausibile attendersi. Premesse promettenti per disboscare il terreno dell’istruzione.

Diario di un triennio

La narrazione imbrigliata nell’indice in uno schema richiama l’analisi del processo di policy making: formazione delle policies, formulazione legislativa e implementazione. In realtà il racconto procede in forma diaristica più che seguendo i dettami di un saggio analitico. Le 250 pagine sono organizzate in 18 capitoli, raccolti in tre parti e introdotti da un prologo con un epilogo in conclusione.

Nel prologo Fusacchia racconta l’immersione nel pianeta dell’istruzione. Immediatamente investito dalle proroghe urgenti per problemi incancreniti nel tempo, l’autore richiama le precedenti esperienze ministeriali e precisa le proprie convinzioni. Per contrastare l’immobilismo del presente (“tutti ostaggio di un grande stallo”, p.8) occorre accrescere non solo “la consapevolezza di cosa non vada, ma anche la contezza del perché e del come non vada“(p.8).  Sintetizza la propria esperienza al Miur, considerata “una palestra unica” (p.6): “ho fatto l’unica cosa che chiunque avesse fatto il mio mestiere mi aveva sempre sconsigliato di fare: ho sperimentato, vedendo fino a che punto fosse possibile innovare” (p.6). Consapevole di risultare un ‘barbaro’ perché l’essere senza una laurea in legge appare come un “affronto intollerabile” (p.7) alla cultura dominante nell’alta amministrazione.[8] Il testo, secondo l’autore, è “un esercizio di comprensione collettiva” (p.8), “una messa a nudo, un compito di anatomia, un esercizio di scarnificazione” (p.9).

L’incipit dell’avventura è nella prima parte del volume (Concepire una legge, pp.13-92). Pur ‘sepolti sotto le carte del Ministero’ e con il frastuono delle lotte intestine tra gruppi di interesse, partono i cantieri per la riforma. Il vento è favorevole: alla salutare benedizione del Papa si aggiunge il successo elettorale con il PD che supera il 40% dei voti alle europee. Chiamato ‘la Buona Scuola’ su suggerimento di Marco Lodoli, docente e scrittore di rango, il progetto viene scritto in segreto e con incontri carbonari con il premier a Palazzo Chigi, prima di andare in scena. Il 3 settembre 2014 è online il documento base della proposta.

La seconda parte (“Scrivere e approvare una leggepp.93-170) ricostruisce l’iter di formulazione e di approvazione del testo di legge. Si apre la consultazione, si lavora attorno a bozze successive, per arrivare, passando attraverso il Consiglio dei Ministri, all’approvazione in Parlamento dove a luglio del 2015 la riforma, molto divisiva[9], diventa legge.

La terza parte (“Attuare una leggepp.171-236) racconta l’avvio dell’implementazione della legge dall’estate 2015 a dicembre 2016. Le agitazioni generate dall’”algoritmo”, metafora assurta a chiave interpretativa del pasticcio degli organici del personale docente, travolgono la messa in pratica della legge di riforma mentre le turbolenze del devastante terremoto che colpisce alcuni territori introducono nuove, e impreviste, urgenze di azione. Non manca uno sguardo sullo sfondo verso un Ministero del futuro che sia un’autentica “comunità di destino” (p.195): è il preludio all’uscita di scena, volontaria e convinta, del capo di gabinetto con il nuovo governo che si insedia alla fine del 2016 (p.215).

Nell’Epilogo (pp.237-248) si saldano le tessere del mosaico disteso su più piani narrativi: vi confluiscono il riemergere dei contatti con i compagni di università, la ricostruzione della scelta universitaria dopo il liceo e l’autocritica del lavoro, fatto e non fatto, nel triennio all’Istruzione. Paradossalmente la citazione dal discorso di Josif Brodskij in occasione dell’accettazione del Premio Nobel (“…l’idea che una linea retta rappresenti la distanza più breve tra due punti ha perduto da tempo la sua attrattiva”, p.247) sembra richiamare la meno aulica annotazione di Ennio Flaiano secondo cui nel nostro Paese “… la linea più breve tra due punti è l’arabesco”.

Dopo i tentativi di riforma dei primi anni del secolo, l’iniziativa politica sulla scuola rallenta con il prevalere di interventi minori e l’instabilità dovuta al succedersi di ministri. L’arrivo di Matteo Renzi a Palazzo Chigi apre un intermezzo ricco di colpi di scena all’insegna della rottamazione e del cambiamento di passo. La retorica di Renzi è travolgente: “… noi non possiamo accontentarci di finte riforme. Guardiamo negli occhi tutti, ma non guardiamo in faccia nessuno. Se l’Italia deve cambiare, nessuno può chiamarsi fuori. Nessuno può tirarsi indietro”[10].  Il renzismo[11] è il contesto in cui nasce la ‘Buona Scuola’ con una sua peculiare traiettoria, oggetto del memoir di Fusacchia.

Un incursore “alla brussellese

La ministra Stefania Giannini sceglie come proprio capo di gabinetto Alessandro Fusacchia, pescando fuori dall’hortus conclusus dei boiardi di Stato, con un’estrazione laica non provenendo dai circoli esclusivi dei Consiglieri e avvocati dello Stato, della Corte dei Conti o dall’alta magistratura. Le acque stagnanti del ministero più conservatore dell’alta burocrazia italiana[12] si smuovono. Come un cavaliere errante con i suoi prodi Fusacchia affronta di petto un’impegnativa battaglia. Ha esperienze significative di amministrazione dinamica in zone di frontiera; è consapevole della giungla in cui è paracadutato e di essere un incursore su un terreno protetto ed esclusiva pertinenza di altri.

Parole e aggettivi tradiscono l’atmosfera da crociata, i rumori di scontri, il dolore dell’orgoglio ferito e lo strazio delle lacerazioni. Nei tre anni la cavalcata attraversa prati di inerzia e travolge le trincee di difesa. L’andamento appare epico con eroi invincibili. L’epopea di una proposta “per molti aspetti dirompente” (p.95) alterna stati d’animo diversi: dal senso di forza (“ci sentiamo forti”, p.95 spalleggiati dal Quirinale) allo scampato pericolo (“siamo ancora vivi per miracolo e …forse sopravviveremo”, p.106). Al termine di una giornata di sciopero del personale il condottiero resta “immobile dietro l’enorme tenda bianca che mi separa dalla finestra del mio studio in Viale Trastevere” e contempla il campo di battaglia abbandonato (” …non c’è più nessuno su binari del tram… sono andati via tutti”, p.98). Lo spirito della rottamazione coltivata dal premier è contagioso. In un dibattito pubblico il capo di gabinetto si altera: “… non voglio più sentire parlare di GAE, dal momento che abbiamo deciso di assumere tutti e poi chiuderle per sempre” (p.96). L’insofferenza del condottiero (p.140) presume il rifiuto dello stallo seguendo i suggerimenti (“l’unica cosa che non devo fare adesso, mi dicono, è galleggiare”, p.138).

Fusacchia sa di non fare il capo di gabinetto nel solco della tradizione; prova coraggiosamente a trasformarne il ruolo (pp.137;138), direi, a reinventarlo.  E forse per questo rischia di giorno in giorno di essere marginalizzato e spinto a cercare un exit strategy. Al termine dell’avventura riconosce e rivendica il nuovo approccio: “ho fatto il policy maker alla brussellese” (p.109). L’incursore diventa policy maker come i capi di gabinetto alla Commissione europea. Questo significa l’adozione di un metodo nuovo. L’obiettivo di “fare le cose diversamente” (p.138) è condiviso con il ministro Giannini fin dall’inizio e mese dopo mese “aumenta l’insistenza della Ministra a fare diversamente” (p.148). Così le 250 pagine non sono una mera narrazione; si legge in trasparenza il fil rouge che unisce le diverse azioni, con la consapevolezza, e la pretesa, di un nuovo approccio al policy making. “Non siamo qui per continuare a fare come sempre” (p.4). “Non mi interessa fare manutenzione” (p.4) scrive Fusacchia fin dalle prime pagine. Arrivano folate di vento fresco lungo i corridoi polverosi del Ministero e gli scaloni ariosi del palazzo del primo Novecento. Nuove soluzioni presuppongono, ovviamente, l’abbandono delle ipotesi precedenti, sia di metodo sia di contenuto.

La fucina del progetto

Fin dall’origine si opera una svolta[13]. I temi su cui si concentra l’attenzione sono numerosi e decisamente impegnativi. Nei suoi termini generali l’agenda, anticipata sui media dal premier, è definita nelle comunicazioni ufficiali. La traduzione in un progetto e, successivamente, in un intervento legislativo complessivo delle intenzioni dichiarate diventa l’area su cui entra in campo il capo di gabinetto. Si comincia con i cantieri, laboratori di raccolta di idee, suggerimenti, riflessioni e indicazioni, concentrati sulle aree cruciali di problemi, i docenti e gli studenti.

Anzitutto, ricostruisce Fusacchia, “abbiamo incubato la ‘Buona Scuola’ per mesi, tra Ministero e Palazzo Chigi” (p.93) a conferma di un processo interno e di vertice di elaborazione della riforma. L’obiettivo è di “scrivere con le migliori teste disponibili dentro e fuori il Ministero una proposta ambiziosa, …, di aggiornamento della scuola italiana (p.95). Il progetto della ‘Buona Scuola’ traduce l’agenda governativa del premier Renzi elaborandola in una proposta compiuta contenuta nel documento del 3 settembre 2014, frutto di una “scrittura in segreto” come da titolo di un capitolo della prima parte del memoir (p.55ss). L’impronta appare elitistica ed illuministica, con una logica implicita di governo dei saggi, quasi platonica[14]. La prosa è pulita, lineare e concreta adatta al pubblico esperto, sciolta probabilmente anche grazie a Marco Lodoli, scrittore di rango di cose di scuola; il testo è cesellato da Fusacchia come una tesi di dottorato.

Dopo la compilazione del documento base, “adesso è il momento di chiedere a studenti, insegnanti e genitori che cosa ne pensano” (p.93). Così si avvia la consultazione per “condividerlo pubblicamente” (p.95) dal 15 settembre al 15 novembre 2014, mettendo in piedi “la più impressionante campagna di ascolto che questo Paese ricordi (p.95). Affiora un non celato orgoglio per “la più grande consultazione più partecipata della storia” come da titolo del 1° capitolo della seconda parte. Un’operazione, secondo l’autore che cita espressamente altre iniziative europee e nazionali (p.99), mai realizzata prima in Italia e in Europa con una struttura complessa di ascolto fatta di questionari, di spazi aperti per commenti sui temi principali e di dibattiti disseminati sul territorio.

Il capo di gabinetto non ha dubbi: “un metodo completamente nuovo di costruire questa policy che passa anche da un ricorso massiccio alle nuove tecnologie” (p.93). Rispetto al passato si volta pagina: “non necessariamente le leggi si fanno con blitz dell’ultima ora in Consiglio dei ministri o tenendo fin all’ultimo segrete le carte” (p.95). La percezione dell’innovazione è radicale: “Stiamo rivoluzionando la maniera in cui le istituzioni si raccontano” (p.96). L’analisi della Fondazione Kessler che esaminerà tutta la documentazione della consultazione “non ha paragoni nella storia delle pubbliche amministrazioni centrali ed è all’altezza dell’impressionante partecipazione popolare che abbiamo avuto” (p.109).

Come molti progetti di riforma anche la ‘Buona Scuola’ è un insieme di misure: copre infatti l’area delle risorse finanziarie per la scuola, prevede un piano di assunzioni per superare il precariato, investe nella scuola digitale, interviene sulla carriera degli insegnanti e sulla differenziazione stipendiale e include un piano per la formazione dei docenti. Rafforza le competenze del preside e introduce il format degli ambiti territoriali nella gestione degli organici, sostituisce l’organico di fatto con l’organico funzionale. Nei documenti della task force si trovano, in buona forma, molti temi del dibattito del tempo; con una filosofia che privilegia il riferimento al Paese, agli studenti e ai docenti come attori dell’innovazione. Pur tuttavia la disomogeneità è evidente: alcuni temi sono potenzialmente molto controversi, altri mettono in campo ipotesi ragionevoli in astratto ma mai collaudate prima, altri sono quasi di routine perchè presenti da anni nei programmi di azione dell’amministrazione, seppure rivisitati, altri ancora sono in forte continuità con il passato.

Nebbie d’autunno

Il documento La Buona Scuola è un unicum nella storia del ministero dell’Istruzione capace di sfornare testi normativi a iosa ma a cui è estranea la filosofia del white paper[15]. I testi propri dell’agire ministeriali sono per lo più disegni di legge o schemi di decreti con brevi introduzioni e relazioni sintetiche di accompagnamento. Produrre un policy document per illustrare le risposte ad una serie di problemi o le soluzioni a situazioni critiche, spiegando il perché delle decisioni che si intendono adottare e presentando le indicazioni che si ha in animo di seguire è, senza dubbio, un fatto innovativo[16] e, forse per questa ragione, non adeguatamente compreso e apprezzato.

Il testo della ‘Buona Scuola’ è per Fusacchia “un passo in avanti rispetto al contributo delle società di consulenza”. L’effervescenza della ‘primavera’ si attenua, tuttavia, nell’immersione nelle dinamiche reali. Nel tentativo di costruire una politica di nuovo conio, progressivamente Fusacchia prende atto, con intelligenza e lucidità, dei vincoli di cui è disseminata la strada imboccata nonchè della difficoltà di contrastare la diffusa disinformazione. Nelle pagine che si susseguono l’immersione è scandita, quasi implacabilmente, dal ricorrere degli ostacoli.

I travagli del parto

Il format della legge 107, un solo articolo con oltre 200 commi, risponde probabilmente a tecniche parlamentari, ma non nasconde la elevata complessità dell’intera costruzione. “Centomila assunzioni, più merito, più autonomia. #labuonascuola è legge[17]: il twitter di Renzi qualche ora dopo l’approvazione è motivato, date le doglie di un parto ostico e complicato che la forte tensione partecipativa nella consultazione (1.800.000 intervenuti offline e online, 1.300.000 accessi al sito, 200.000 presenti ai dibattiti sul territorio[18] non lasciava presagire.[19]

La transizione, tutt’altro che lineare, dalla proposta originaria al varo della legge si riflette nelle pieghe delle “mille e una bozza” (p.114) del testo normativo. Su diversi nodi critici si riapre la discussione e si animano accese controversie. Dopo il vaglio e l’approvazione in Consiglio dei Ministri, il dibattito in Parlamento si protrae fino al mese di luglio. In Senato, ricorda Fusacchia, negli ultimi giorni di maggio e i primi di giugno “è tutto un rimpallo di emendamenti, spiegazioni, tagli e ricuciture” (p.159). Il percorso per arrivare alla definizione della riforma, è ad ostacoli sia sul metodo sia sui contenuti.

Il primo nodo da sciogliere è il veicolo normativo. L’iniziale orientamento verso il decreto legge, immediatamente operativo pur soggetto ad approvazione parlamentare entro il limite dei 60 giorni, viene abbandonato a favore della via legislativa, sia per rispondere all’ammonizione del presidente della Repubblica sulla decretazione d’urgenza, sia per contrastare l’accusa di decisionismo rivolta al premier in Parlamento. Ovviamente la scelta rischia di cambiare il cronoprogramma definito, soprattutto in relazione alla stabilizzazione del personale.

In secondo luogo emerge l’ambiguità della consultazione. Dall’operazione di ascolto e dialogo si intendono raccogliere le aspettative del Paese, quello che si aspettano i genitori, i docenti, gli studenti non solo i desiderata dei sindacati della scuola. “Abbiamo ribaltato l’onere della prova“(p.110) riassume Fusacchia: nessuno potrà obiettare a quello che la società civile ha espresso o nel caso dovrà argomentarlo. Nella realtà i lavori parlamentari smentiscono entrambe le ipotesi. Nell’aula “Tutto ricomincia daccapo” è costretto ad ammettere Fusacchia: “in Senato 40 associazioni e i sindacati vengono auditi” (p.158) e lo sciopero generale della scuola indetto il 5 maggio 2015 coinvolge il 75% dei docenti.

In terzo luogo la disomogeneità delle misure accresce la complessità della riforma. La differenza maggiore è nel peso politico che ognuna delle misure può avere e negli interessi che coinvolge. I 212 commi dell’unico articolo della Legge 107, pur in un articolato equilibrato e ben bilanciato, toccano questioni molto disomogenee dal punto di vista del consenso politico. Tutto il campo dell’occupazione dei docenti, dal superamento del precariato all’immissione in ruolo, è fortemente presidiato da vari gruppi di interesse con poteri di veto e di ostruzione; al tempo stesso è un tema dominante al punto di mettere in penombra gli altri obiettivi del progetto di riforma. In questo contesto affiorano storiche contrapposizioni tra i sostenitori delle sanatorie e i paladini di un reclutamento basato sulle competenze.

Il fuoco di sbarramento più significativo contro la “svolta” riguarda la questione degli organici. Non c’è, ovviamente opposizione alla stabilizzazione dei precari. La barriera da rimuovere, tuttavia, è la richiesta (Nicky Vendola, Pippo Civati, Fabiana Dadone…) di un decreto stralcio centrato sulle assunzioni lasciando ad un percorso parallelo tutto il resto della riforma, a garanzia di una rapida approvazione e messa in opera delle misure considerate urgenti. L’ipotesi è dirompente rispetto al progetto della ‘Buona Scuola’. Fusacchia ribadisce che “le assunzioni non sono un fine a sè stesso ma parte di una trasformazione più ampia della scuola italiana” (p.142) e si schiera contro l’adozione di un procedimento solo con il piano di assunzioni nonostante le pressioni in tale senso (pp.142-143). Emerge, in questo frangente, l’interesse sindacale di lunga data volto a privilegiare misure di urgenza, spesso sanatorie, procrastinando i regolari concorsi favorendo così l’ingresso di personale nella scuola a prescindere da valutazioni di competenze. Riemerge, nel solco della tradizione delle politiche scolastiche ridotte fondamentalmente a politiche del personale, la centralità della questione degli organici rispetto ad ogni altro aspetto di riforma[20]. L’arte dello spacchettare (p.146) e il richiamo al pragmatismo (p. 144) sono le alternative funzionali all’azione pubblica centrata sugli obiettivi e guidata da una visione come viene intesa, e difesa, da Fusacchia.

Pur apparendo ragionevole dal punto di vista del bilanciamento degli interessi, il baratto implicitamente sotteso tra le misure per l’occupazione dei precari e l’introduzione di formule di meritocrazia nella professione docente si rivela fallace. Probabilmente perchè non mediato da interlocutori collettivi, in primis le organizzazioni sindacali, lo scambio tra la risoluzione del precariato e l’accettazione della meritocrazia non funziona creando perplessità e delusioni.

Sulla via della riforma incombe uno stumbling block di carattere culturale in tema di valutazione dei docenti. E’ tradizionalmente difficile rimuovere il non consenso dei docenti, anche dei migliori, sulla valutazione meritocratica. Punto chiave della politica renziana la premialità non è tuttavia negoziabile se non nelle modalità operative in cui può deve essere tradotta. Illusoria risulta l’apparente condivisione dell’aggancio della progressione di carriera al merito (“la meritocrazia scalza l’anzianità” è lo slogan) quale emerge dalla consultazione di massa: la questione rimane sul tappeto con un’opposizione che cresce nel tempo.

Tutt’altro che condivisa si rivela, anche, l’enfasi sul management di scuola. Entra, anzi, in crisi l’impostazione sostenuta apertamente dal presidente del consiglio sulla responsabilità del dirigente scolastico nel reclutamento degli insegnanti e nella loro valutazione. In questa fase, scrive Fusacchia, “lo scontro sulla chiamata diretta è ormai frontale, una prova muscolare” p.158). Così anche la previsione della nomina del preside da parte del Dirigente dell’Ufficio scolastico regionale con un contratto triennale accende una feroce discussione. In sede di riunione ministeriale ad alto livello lo stesso Fusacchia ironizza sulla praticabilità di tale soluzione. La rotta di collisione con le posizioni delle opposizioni è al calor bianco.

A livello generale l’enfasi sulla discontinuità si rivela ambivalente perchè introdurre elementi di rigidità. La filosofia soggiacente del confronto e della sfida polarizza il conflitto ampliandolo: rende impraticabile ogni soluzione di compromesso. Quando appare difficilmente sostenibile il varo della chiamata diretta dei docenti, ad esempio, Fusacchia confessa: “mi rendo conto … che non c’è margine per chiedere un regime transitorio e ottenere per un ultimo anno di continuare ad assegnare i docenti alle scuole come si è sempre fatto” (p.158). Improponibile è anche un aggiustamento temporaneo che “sarebbe una sconfitta politica e personale di Renzi su uno dei punti della ‘Buona Scuola’ più direttamente riconducibile a lui” (p.158).

Alla luce degli scontri in Parlamento la valenza della consultazione, una novità di sicuro interesse e emblema del metodo nuovo, appare essere stata sovrastimata, sia perchè le risultanze appaiono ampiamente contraddette dalle opposizioni alla ‘Buona Scuola’ e sia perchè non si sono colte compiutamente tutte le indicazioni emerse, soprattutto i segnali di non condivisione.

L’impossibile sblocco

Nonostante le difficoltà la tabella di marcia della ‘Buona Scuola’ è impressionante e insolita nel panorama italiano. Il 3 settembre 2014, a pochi mesi dall’insediamento, sul sito governativo ‘Millegiorni’ campeggiano le linee guida sulla riforma della scuola che verranno sottoposte a consultazione per due mesi. Il 25 giugno 2015 Il Senato approva (con 159 sì e 112 no) il disegno di legge di iniziativa governativa La buona scuola sul quale il Governo pone la questione di fiducia e del 9 luglio 2015 è l’approvazione definitiva alla Camera (con 277 sì, 173 no e 4 astenuti). Nell’arco di poco meno di due anni il progetto di ‘Buona Scuola’ si traduce in un testo di legge (13 luglio 2015, n.107), complesso e inconsueto con quel solo articolo comprendente 212 commi. Lo sforzo è vincente nel senso che la legge di riforma viene approvata con la previsione della normativa secondaria di applicazione. La traiettoria disegnata è percorsa e la scommessa sul metodo è in qualche misura vinta.

Nella quarta di copertina si legge: “ho provato a hackerare quel meccanismo disfunzionale con cui si erano sempre fatte le riforme e approvate le leggi” toccando con mano “quanto sia difficile superare la macchinosità degli ingranaggi decisionali della politica”.  Gli ostacoli e gli sbarramenti del fare politica sono ricostruiti in modo avvincente, senza ignorare le posizioni dei protagonisti. Matteo Renzi, Stefania Giannini e Alessandro Fusacchia hanno sensibilità e stile di pensiero non sempre paralleli e compatibili; i rapporti tra la ministra e l’amministrazione (p.112) hanno incrinature con un’interazione dialettica con il premier Matteo Renzi. In varie circostanze, l’allineamento dell’iron triangle non è perfetto, insidiato anche da gelosie.[21] Non sono queste, tuttavia, le barriere.

La narrazione pone l’enfasi sul modus operandi con dovizia di dettagli. Non riesce, tuttavia, del tutto convincente nel non cogliere la dialettica tra razionalità di metodo ricercata, i contenuti della proposta di riforma e i processi di politics. La costruzione in buon stile di un documento di riforma e una consultazione a larga partecipazione non sono sinonimo di padronanza dei processi di consenso e di scelte fondate.

La ‘via razionale’ tracciata da Fusacchia, anzitutto, prescinde da una analisi della robustezza, della plausibilità e della validità delle misure di riforma. Pur in qualche misura già adombrate nelle agende del passato e presenti nelle correnti discussioni le priorità della ‘Buona scuola’ sono definite dal primo ministro. I contenuti della riforma e la strategia politica del premier non sono al centro del memoir: incombono, tuttavia, sul metodo che rivela le proprie ambivalenze, a cominciare dalla salienza politica delle procedure adottate. L'”incubazione“, interna e di vertice, del progetto è alternativa a procedure allargate e cooperative. La consultazione su larga scala sembra riflettere la filosofia renziana del rivolgersi direttamente al pubblico senza mediazioni. Le scelte non negoziabili, quali la meritocrazia e la chiamata diretta, spaccano l’arena di policy. Convince l’impostazione di Fusacchia nella fase di statu nascenti, molto meno nelle tappe successive della istituzionalizzazione. La premialità e la meritocrazia sono un caposaldo della retorica e dell’agenda di Renzi, ma non sono oggetto di un vaglio critico alla luce delle evidenze della ricerca scientifica. La proposta contenuta nel documento non ha alla base esperienze in campo realizzate e verificate su scala ridotta. L’ipotesi di una differenziazione stipendiale del corpo docenti non si innesta su una rivisitazione delle politiche salariali per il personale della scuola. Le successive rimodulazioni della proposta non possono supplire agli elementi di fragilità intrinseca delle ipotesi di base.

Il destino della legge e del progetto nel suo insieme va oltre l’esperienza ministeriale di Fusacchia e il memoir che la narra. Saranno i successivi interpreti della politica dell’istruzione a varare i previsti decreti applicativi dal 12 dicembre 2016 al 1 giugno 2018 e, soprattutto, a rivisitare la ‘Buona scuola’ con l’erosione delle sue linee principali in un contesto in cui rientrano in campo le organizzazioni sindacali[22].

L’operare diversamente inteso come adozione di un metodo razionale di lavoro deve fare i conti con la discontinuità politica. Il denominatore comune è una scelta di disintermediazione nell’arena di policy rispetto agli attori in campo. L’atteggiamento di presa di distanze, se non di rottura, nei confronti dei sindacati è esplicito soprattutto a livello del premier. Le ricerche sulle riforme scolastiche documentano che i sindacati devono essere parte della soluzione non il problema, come è avvenuto successivamente. L’aver cercato di aprire una via alternativa a modelli consociativi evitando l’intermediazione non ha impedito la svolta con un incremento delle risorse per la scuola, ma non si è rivelato vincente, pur in un contesto di declino delle organizzazioni sindacali[23].

L‘alta burocrazia è un partner ambivalente per ogni decisore politico: l’alleanza con i vertici amministrativi è un passaggio indispensabile ma può generare una paralizzante dipendenza funzionale. Non mancano nella narrazione di Fusacchia i segni di questo contrasto. Da un lato ritorna frequente e imponente l’accenno critico al passato. Dall’altro anche il capo di gabinetto sembra affidarsi a chi ha gestito i processi in passato, quasi deus ex machina nel marasma ministeriale. Conoscere nei suoi dettagli il sistema non significa, tuttavia, possedere la competenza per gestioni alternative.[24]

Nella narrazione di Fusacchia compare una rosa di soggetti a vario titolo intervenienti nei processi, dalla Fondazione Kessler di Trento al CINECA, dal piccolo nucleo di esperti alle diramazioni territoriali del ministero. Sembra mancare la preoccupazione di creare un policy network composto di soggetti collettivi in grado di sostenere il progetto di cambiamento e di radicarlo sul territorio. Anzi l’elevato tasso di decisionalità accentua un approccio aggressivo rispetto ad una posizione collaborativa, con le ripercussioni che ne discendono. Spinto dall’esigenza di una svolta radicale, Matteo Renzi prende di petto le questioni con scelte dirompenti. I capisaldi della retorica e dell’agenda renziana per la scuola, dalla introduzione della premialità nello stipendio degli insegnanti alla chiamata diretta dei docenti da parte del dirigente scolastico, devono essere progressivamente rimodulate rispetto alle formulazioni originarie. Così per il problema del precariato, largamente condiviso, l’opposizione alle sanatorie si smorza nel compromesso di un concorso privo di selettività. La pretesa di un approccio centrato sulle competenze deve fare i conti con la praticabilità delle soluzioni.

Nell’operazione trovano spazio misure praticabili e praticate. La card per gli insegnanti, adombrata in poche e locali anticipazioni, è una scelta fuori della tradizione; nella logica dei bonus della politica renziana si rivela praticabile e viene generalmente accolta. L’impatto è immediato rispetto a strategie di rinnovamento dell’offerta di opportunità di sviluppo professionale che saranno oggetto di un piano triennale. L’alternanza scuola e lavoro riprende orientamenti e posizioni condivise; supera la stagione degli stage in azienda, molto sviluppati soprattutto nelle regioni del Nord, con una impostazione istituzionale che viene generalizzata in tutti i percorsi di studio delle superiori. La formazione continua dei docenti è “un altro pezzo fondamentale della ‘Buona Scuola e forse quello, in prospettiva, più importante di tutti assieme al Piano nazionale scuola digitale”. La diagnosi sul passato è apodittica: “un arido adempimento amministrativo, vissuta come un dovere più che come un diritto”, “una generica e ripetitiva partecipazione a corsi di aggiornamento”, “non è mai servita a trasformare alcunché” (pp.210-211).  La scuola digitale è all’insegna del potenziamento di una linea di lavoro già esistente nella prospettiva dell’introduzione di soluzioni tecnologiche per il miglioramento della didattica.

Nella narrazione di Fusacchia si coglie la dicotomia che attraversa la ‘Buona Scuola‘. Da un lato sono evidenti i fattori di dinamismo quali la decisionalità politica e forte, assertiva, l’iniziativa diretta e proattiva del capo di gabinetto, la collaborazione, funzionale e critica ad un tempo, con esponenti dell’alta burocrazia, la cooptazione dei migliori esperti presenti e un cronoprogramma che scandisce le tappe di un percorso razionale. Dall’altro lato le aporie quali l’approccio aggressivo e divisivo nell’area di policy, la mancanza di una rete di attori, di sistema e non di sistema, coinvolti e protagonisti nel dibattito e nella definizione della riforma, la inefficacia della comunicazione pubblica oltre la retorica irruente e altisonante, la debolezza delle basi conoscitive e scientifiche delle ipotesi messe in campo.

“La liberazione”

L’essere riusciti, comunque, a tener insieme questioni diverse tra di loro inserendole in una cornice di senso largamente condivisibile si direbbe che è un capolavoro in un contesto di interventi tradizionalmente segmentati e gerarchizzati.

Fusacchia ha facile gioco nello smascherare le rituali manifestazioni in Viale Trastevere nel periodo felice della primavera. In occasione dello sciopero del 10 ottobre dei 4000 annunciati si presentano in 400, “…a parlare di studenti ci sono solo adulti coi capelli bianchi“(p.97) e con “un linguaggio e una retorica che si ripetono da decenni” (p.97). La fallacia degli slogan è evidente: “…sono contro la privatizzazione e la svendita della scuola” e “…accusano chi sta adesso al Ministero dei tagli di otto anni prima” (p.97).

Fusacchia non è certamente ingenuo. Già nella fase di definizione della legge della ‘Buona Scuola’ percepisce che i fondi necessari calcolati per la messa in opera (un miliardo e 148 milioni nel 2015, 3 miliardi e 213 milioni nel 2016 e più di 4 miliardi a decorrere dal 2017 in poi) non saranno completamente disponibili (p.97). A suo giudizio il progetto risulta fragile già nella fase di impostazione, con evidenti ripercussioni nella successiva messa in opera.

il capo di gabinetto avverte, inoltre, le criticità che derivano dalla mancata sincronia dei diversi interventi che compongono il progetto complessivo e che sono tra di loro interconnessi. Tra i numerosi esempi troviamo l’abolizione delle supplenze brevi prima di aver assegnato i docenti extra per coprire le ore mancanti (p.98), la riduzione del personale ATA prima di aver condotto in porto la digitalizzazione delle procedure amministrative, l’abolizione dei collaboratori dei presidi prima di aver definito la carriera degli insegnanti per rendere disponibili docenti per ruoli organizzativi di supporto (p.98). Così mentre il contratto di lavoro potrebbe essere l’appuntamento per passare dall’anzianità alla competenza seguendo la filosofia meritocratica sposata dalla ‘Buona Scuola’, si fa fatica, riconosce Fusacchia, a evitare il blocco degli scatti stipendiali per il 2015 (p.98). La situazione si fa drammatica quando ci si rende conto che se anche la ‘chiamata diretta’ venisse approvata non ci sono i tempi per la messa in opera: i dirigenti scolastici non dispongono delle informazioni sui portfolio dei docenti prima del 2016-2017 e non hanno ancora varato il Piano triennale dell’offerta formativa premessa per la scelta dei docenti (p.158).

Con il tempo il capo di gabinetto si rende conto dei margini di manovra realmente esistenti e deve contrastare turbolenze imprevedibili. All’ostruzionismo delle opposizioni (p.148), infatti, si unisce il caos dei ricorsi (p.140) che è endemico nella pubblica istruzione, mentre gli errori del Cineca ricorrono nella complessa gestione delle operazioni di massa. Così la rimessa in campo dei diplomi magistrali conseguiti prima del 2001 grazie ad una sentenza del Consiglio di Stato che potenzialmente riguarda 120 mila persone rischia di “far saltare in aria tutto il piano assunzionale della “Buona Scuola” (p.148). Fusacchia riscopre le ambiguità volute per accontentare tutti, annotando filosoficamente “c’è un modo solo per essere chiari, ma ce ne sono infiniti di essere oscuri” (p.112).

Non può che arrendersi di fronte allo status quo, generato dalle scelte del passato e dalla mancata innovazione delle procedure. Quasi tartufesco è il dialogo con il capo dipartimento ormai in pensione che illustra l’impossibilità di indire un concorso per bidelli dato che il numero di candidati potrebbe superare il milione di persone (p.149-150). Lo stallo non è strutturale, è il punto di arrivo della miopia del passato incapace di varare nuove procedure di reclutamento e l’inerzia accettata negli anni.

I tempi stretti sono una preoccupazione costante. Ad aprile, ad esempio, rispetto all’avvio dell’anno scolastico a settembre la percezione è che “il piano assunzionale è a rischio” (p.142) anche perchè il bargaining su un terreno affollato è estenuante (p.137).

Fusacchia mette in discussione prassi ritenute universalmente virtuose, unendo l’autonomia delle scuole all’irresponsabilità dell’amministrazione centrale[25].  é il caso delle risorse europee del PON utilizzate per la scuola, la cui gestione viene considerata esemplare anche dalla Commissione europea. Le somme ingenti spese non hanno frenato l’aumento della dispersione scolastica: il modello di azione non convince, sostiene il capo di gabinetto. La distribuzione a pioggia dei fondi alle scuole sulla base di partecipazione a gare a cui si interviene presentando progetti, non genera innovazione. Sagacemente Fusacchia nota che questa è la strada meno rischiosa per il Ministero, talmente radicata nelle procedure correnti e ben rodate per cui anche il direttore generale di competenza non può che affermare che non ci sono vie alternative (p.147). Di fronte a prassi considerate virtuose ma senza l’impatto atteso (pp.146-147), riflette il capo di gabinetto, “mi dico che bisogna assolutamente cambiare impostazione” (p.147). Tranchant è la considerazione dell’amministrazione che “appare incapace di modificare prassi consolidate negli anni anche quando ne sono evidenti i limiti” (p.148) pur precisando “a prescindere dalla capacità del singolo dirigente” (p.148).

A fronte di “un capo del governo che ha fatto la sua scalata grazie ad una incredibile capacità di comunicare” (p.150), scrive Fusacchia “qualcosa sulla comunicazione della ‘Buona Scuola’ non ha funzionato” (p.150) ipotizzando un concorso di colpa tra Palazzo Chigi, il ministro e il ministero. Nel discorso renziano ‘sblocca Italia e ‘sblocca le scuole’ sono slogan retorici ad effetto. L’intento di Fusacchia va nella stessa direzione. Il capo di gabinetto porta al ministero dell’Istruzione l’esperienza innovativa maturata in altri campi, quello delle startup ad esempio, anche se ogni trasposizione è problematica. Innovare in un sistema consolidato è il nodo centrale che Fusacchia cerca di sciogliere mettendo “lo Stato a nudo” come da titolo scelto riassuntivo della propria esperienza (p.133).

Nello scorrere delle pagine cambia il tono. Muta, ad esempio, l’atmosfera negli appuntamenti dell’apertura dell’anno scolastico. Alla benedizione del presidente della Repubblica all’inizio del 2014-2015 (p.95) fa seguito la “stoccata” lanciata dallo stesso Presidente due anni dopo (p.210) contro le “inefficienze dell’amministrazione”, “gli errori e le polemiche dei docenti” (p.210). Gli eventi si accavallano: pochi mesi separano il successo alle elezioni dalla débacle del referendum del 4 dicembre, un turning point della stagione renziana. L’effervescenza iniziale si stempera e subentrano i dubbi sulle scelte compiute. Nubi procellose si avvicinano, la malinconia (p.213) si insinua. C’è una percezione condivisa tra ministra e capo di gabinetto. “…non crediamo di durare. Non durerà lei, nè ho intenzione di durare io senza di lei” (p.213) scrive Fusacchia e aggiunge:” Quando succederà sarà come una liberazione. Usa questa parola qui, e solo io so cosa intenda millimetricamente”. Affiorano i sottintesi: l’uscita di scena è quasi attesa come “la liberazione dalla fatica e dalla tensione. Dalla necessità di accettare troppa approssimazione”, nonchè “la liberazione dalla solitudine” (p.213).

Fusacchia partecipa senza remore il senso di delusione e di personale autocritica.

All’annuncio da parte di Paolo Gentiloni, subentrato a Matteo Renzi come capo del Governo, del nuovo ministro dell’istruzione, il capo di gabinetto e la ministra in uscita sono accomunati dal destino: “Lei sta come me. Io sto come Lei. Pietrificati. Liberati (p.214). Stefania Giannini, peraltro, è l’unico ministro ad essere sostituito: “il capro espiatorio di tutto quello che negli ultimi mesi è precipitato, di un referendum perso, di troppi errori” (p.214).[26] Per Fusacchia la ceramica di Edmund De Waal (p.213) è occasione di evasione per stemperare la tensione.

Un libro per riflettere

Capire la scuola in Italia non è facile e la comprensione esige un faticoso lavorio di scavo sul campo, di confronto tra le analisi, di revisione di opinioni correnti e di rivisitazione di schemi interpretativi. La testimonianza ragionata di un capo di gabinetto sui generis offre una preziosa chiave di lettura della “nobiltà” dei momenti dinamici in un contesto tradizionalmente di “non decisione” o di “scuola bloccata” e della “miseria” nella concezione e nella realizzazione di intenzioni di riforma. A distanza di anni, inoltre, il triennio 2014-2016 può essere letto in prospettiva storica nella sequenza di tentativi di riforma e di fallimenti, di iniziative ricorrenti e di inerzie radicate. Nel solco di un policy style da decifrare e di un sistema scolastico rimasto mediocre nel tempo con le sue divaricazioni territoriali mai attenuate.Le lucide pagine di Fusacchia trasmettono anche emozioni. Il lettore può rivivere il “clima di possibilità inedite” (p.10) dei primi mesi del triennio. L’immedesimazione nel progetto dell’incursore scatta immediatamente con l’andamento narrativo del testo. Fin dal prologo Fusacchia non nasconde, inoltre, un intento, si direbbe, pedagogico: “ho scritto… pensando a giovani donne e uomini pronti, o almeno predisposti, a fare la loro parte: sperando che arrivino all’ultima pagina con un po’ più di voglia di impegnarsi nel settore pubblico, entrare al servizio dello Stato, di dedicarsi alla politica, e di farlo senza tracce di cinismo o scoramento, e solo con coraggio…” (p.9).

La lettura del memoir è proficua soprattutto in due direzioni. Ripropone, anzitutto, gli interrogativi storici sulla impraticabilità di proposte ragionevoli nella scuola del nostro Paese e, in secondo luogo, lascia intravvedere margini di azione e possibilità di sblocco in un contesto di conservazione dinamica dello status quo.

Il paradosso del rifiuto

Fusacchia non nasconde la non riuscita della ‘Buona Scuola’, peraltro, si potrebbe dire, nella tradizione della scuola dei “no”[27]. Rimane sorpreso soprattutto dal paradosso che l’accompagna. Potenziare le risorse finanziarie invertendo la rotta seguita per la contrazione e trovarsi di fronte ad un’opposizione di alta adesione appare del tutto illogico e per nulla plausibile. Più del perché dell’insuccesso colpisce l’interrogativo sul paradosso ad essere posto esplicitamente. Contraddice la linearità dell’approccio formalizzato nei titoli dei capitoli del volume: concepire una legge da scrivere e approvare e da attuare successivamente.

Ancora recentemente Fusacchia è ritornato sul tema: “Nonostante siano entrati in 140-160 mila grazie alla Buona Scuola, hanno organizzato uno sciopero che ha avuto uno straordinario successo. Uscire dal ginepraio delle graduatorie dei docenti è impossibile. L’idea di quella stagione era puntare sui concorsi per alzare il livello complessivo di chi sarebbe entrato a scuola. Ma con questa massa di precari non solo non funzionano le sanatorie, ma nemmeno i concorsi pubblici, che andrebbero ripensati in modo da riuscire a prendere persone in grado di affrontare la complessità”.[28]

Così anche sulla meritocrazia non furono sufficienti gli stanziamenti cospicui di risorse finanziarie. “Renzi mise sul piatto 200 milioni per premiare il merito degli insegnanti ma apriti cielo, il principio non poteva passare e non passò. Sarà interessante vedere cosa succederà ora, che abbiamo il Ministero dell’Istruzione e del Merito: meritevoli dovranno essere solo gli studenti o anche gli insegnanti? Chi definirà il merito e come? All’epoca della Buona Scuola, gli insegnanti e gli studenti delle superiori boicottarono in massa le prove Invalsi e le famiglie furono con loro. Nessuno voleva essere valutato. E ora?”.[29]

La sorpresa di Fusacchia è condivisa. Marco Lodoli, membro della task force, ricorda recentemente: “Ci rimasi un po’ male quando ci fu lo sciopero contro la riforma della “Buona Scuola”: adesione pressoché totale, classi deserte, solo io e un bidello a vagare per i corridoi. Ci rimasi male perché avevo partecipato a parecchie riunioni al Miur provando a dare il mio contributo, e mi ero addirittura illuso che alla fine qualcosa di utile fosse venuto fuori, anche se molti aspetti, più tecnici, più burocratici, mi sfuggivano completamente” “… più di centomila preari sarebbero stati assunti in pianta stabile, gli insegnanti avrebbero avuto un bonus da 500 euro da spendere in consumi culturali, si sarebbe creata la figura dell’insegnante di potenziamento, che avrebbe sostituito supplenti volanti: insomma non mi sembrava il disastro che invece appariva evidente a tutti i prof. italiani”.[30]

Fin dal prologo, per la verità, Fusacchia è consapevole della complessità. Nei tre anni di lavoro a Viale Trastevere misura “ogni giorno la distanza tra quello che si studia sui commentari di diritto costituzionale o sui manuali di scienza politica e quello che accade in realtà” (p.6). Riassume: “Ho visto come vanno davvero le cose” (p.6). Non si può non osservare che sono proprio le ricerche sulle politiche pubbliche in educazione che hanno ormai da anni studiato, analizzato e interpretato quello che avviene nella realtà. La narrazione del capo di gabinetto trova conferma nelle risultanze consolidate della ricerca: dai limiti degli approcci top-down all’erosione delle intenzioni nella fase di implementazione, dal fallimento per mancanza delle condizioni per la messa in pratica delle decisioni alla composizione e ricomposizione delle policy communities, dai processi articolati e conflittuali del policy cycle alla non linearità attesa ma sistematicamente tradita tra l’intended policy, l’actual policy e la policy in use.

Eppur si muove…”

Per cultura professionale raramente i policy actors impegnati nel rinnovamento della scuola hanno familiarità con gli strumenti della policy analysis. Passare al vaglio la ‘Buona Scuola’ alla luce dei requisiti per una riforma di successo[31] richiederebbe ulteriori studi. Il memoir di Fusacchia adombra, solamente e per di più implicitamente, l’analisi delle politiche educative. illumina, tuttavia, alcuni meccanismi imprevisti di sblocco e alcune leve di azione.

In primo luogo l’approccio degli attori di posizione elevata è fondamentale. Di fronte alla frequente affermazione che i politici passano e i tecnici rimangono, Fusacchia oppone una inusuale ma perspicace constatazione. Smonta la facile contrapposizione e la collegata narrazione del potere dei tecnici, per lo più destinati a rimanere, e dell’impotenza dei politici soggetti a radicale instabilità. In risposta alla denuncia del peso dell’alta burocrazia da parte del vertice politico, il capo di gabinetto si domanda retoricamente a chi si debba la nomina dei capi dipartimento e dei direttori generali (p.141), se non agli stessi responsabili politici. Nel travaglio dei passaggi amministrativi per la stabilizzazione degli organici Fusacchia parla del miracolo di Giannini” per indicare come a fronte dei tentennamenti e dei dubbi dei vari responsabili amministrativi il ministro può adottare una posizione ferma che non lascia alternative. A conferma che gli apparati non sono amovibili. La stessa determinazione del capo di gabinetto fuori dagli schemi usuali di ruolo, diventa nel triennio coperto dal memoir un fattore costante di propulsione innovativa. Si rivela soprattutto decisiva quando si tratta di seguire rigorosamente, da vicino, ora per ora, i processi ingarbugliati delle procedure amministrative. Quando questa vigilanza attiva viene meno l’alta amministrazione entra in stato di coma e si arrende facilmente

Oltre che per dinamiche propulsive di vertice lo “sblocco” può avvenire anche per influenza esterna e per intervento proveniente dal contesto internazionale. La contestazione europea, ad esempio, al governo italiano per i contratti per docenti precari rinnovati per lunghi periodi si trasforma in una pressione forte e decisiva alla base del piano assunzionale del governo del premier Renzi e delle posizioni che negli anni successivi dovranno essere assunte. Su questo tema il capo di gabinetto Fusacchia viene convocato a Bruxelles: il dialogo e il confronto con la Commissione dopo la sentenza della Corte di giustizia europea investe tutti i contratti a termine rinnovati oltre i trentasei mesi (p.108).

Le potenzialità, inoltre, del Ministero vengono fuori, inattese, soprattutto sotto la pressione di gravi emergenze. Se con il precariato o con i risultati scadenti degli studenti, emergenze storiche della nostra scuola, si può convivere, con la catastrofe di eventi sismici devastanti l’inerzia non è praticabile. “I terremoti” è un capitolo della parte terza (pp.206ss), apparentemente fuori luogo, ma efficace per dare un’idea più completa dell’agire pubblico nel campo educativo. Il ministero è infatti un misto di potenzialità e di blocchi, di capacità operative e di paralisi permanenti. Nel 2016, dalla fine di agosto al 15 settembre, si riattiva l’insegnamento nelle aree del terremoto, un settore dove ci sono esperienze consolidate (pp.206-208) in Emilia e Abruzzo. Commenta Fusacchia: è il “doppio corpo del Miur”, “è lo stesso Ministero che da un lato non riesce a chiudere le procedure di assunzione dei docenti, la mobilità, o le supplenze; e che dall’altro riapre la scuole dopo appena tre settimane nei comuni dove il terremoto ha lasciato solo macerie, distruzione e morte” (p.210)[32].

Fusacchia è consapevole delle difficoltà di passare dai buoni insegnanti all’istruzione di qualità per tutti. L’intero progetto della ‘Buona Scuola’ si basa su una forte e determinata azione centrale con esclusione delle sperimentazioni e dei progetti territoriali, quasi simbolo di un’epoca da superare e di una filosofia operativa inconcludente. Riemerge nel memoir, tuttavia, qualche concessione per soluzioni intermedie quali progetti pilota ed esperienze limitate di collaudo delle ipotesi da generalizzare. A proposito di una formula innovativa per lo sviluppo professionale dei docenti, annota Fusacchia, “non ho insistito per metterlo nel Piano” (p.212), però per periodi all’estero “preferisco partire con una bella sperimentazione ritagliando magari uno spicchietto dei fondi disponibili sul Pon Istruzione” (p.214). La strategia di aggredire il sistema con iniziative parziali ricompare.

Fusacchia testimonia gli ostacoli all’innovazione, ma trova anche il modo di smontare opinioni consolidate sull’immobilismo del sistema illuminando sia le penombre sia gli spazi di manovra.

Tracciato biografico e ciclo di policy

Con un originale approccio narrativo il diario di Alessandro Fusacchia apre una finestra inedita sulla ‘Buona scuola’ e la vicenda personale di un protagonista diventa, in controluce, la cronistoria ragionata di una stagione politica. Fusacchia tratteggia le sfumature dei contesti inusuali e traccia con pochi cenni il profilo dei personaggi in campo. Registra le liturgie delle cattedrali della burocrazia e respira il peso del passato nelle routine quotidiane. Scopre, pagina dopo pagina, la padronanza dei processi da parte dell’alta amministrazione, rassicurante ma senza innovazione. Investito quotidianamente da ingorghi che si susseguono e eventi inattesi, l’autore alterna stati d’animo contrastanti: l’ottimismo si intreccia con la percezione incombente della catastrofe. Riporta alle dimensioni umane, ambizioni e sofferenze, slanci prospettici e ricerca di un’exit strategy. Il dolore di fronte alle macerie del terremoto e l’orgoglio per le realizzazioni sono parte di una vita intensa in cui la solitudine del potere si alterna a interazioni intense e pregiate, come l’incontro con il Papa e l’irrituale invito rivoltogli per una visita al Ministero.

Assiste all’incursione anche il palazzo in stile eclettico del primo novecento che ospita il ministero dell’Istruzione. Le decorazioni di Antonio Calcagnadoro e il lampadario di Murano del salone dei ministri sono testimoni di giornate travagliate. Quasi surreali appaiono i panorami romani godibili dalla terrazza e riservati ai custodi del palazzo e alle loro vettovaglie. Registrando le trame interattive fra commessi ossequiosi e funzionari Fusacchia sa rendere quello stato di eccitazione” (p.10), si direbbe di statu nascenti, proprio delle fasi creative possibili anche nelle più rigide burocrazie.[33] L’autore catapultato in un mondo di boiardi di Stato si dimostra in grado di impostare un’azione a tutto campo. Mettendo a nudo una realtà poco conosciuta contribuisce a colmare un vuoto che impedisce di conoscere, per contrasto, i processi reali della costruzione delle politiche, della loro formalizzazione e della fase di implementazione. Il contesto dell’istruzione, riconosce Fusacchia, non è quello sperimentato delle start-up o comunque delle aree dove si incomincia da zero e Roma non è Brussels.

Educatori pionieri e creative bureaucrats si sono alternati nella storia dell’innovazione della scuola. Alessandro Fusacchia è consapevole del significato del racconto che va oltre la dimensione individuale: una forma di autobiografia individuale e collettiva ad un tempo. Scrive di una biografia non autorizzata di un pezzo di storia recente del Paese (p.10). L'”intima storia” non ha senso se non legata al carattere collettivo dell’azione pubblica. La maestria dell’autore di romanzi entra in campo generando un testo ibrido non privo di fascino discreto e di spunti analitici. I giorni personali dell’autore s’intrecciano con le vicende istituzionali. Intermezzi e distrazioni, dalla passeggiata su una spiaggia birmana alla corsa a Gorizia per una cena di compagni di università, alleviano la narrazione delle ore ministeriali. La finale del mondiale di calcio (p.55) accompagna sullo sfondo il lavoro di cesello dei documenti di policy e dei testi normativi. Anche la ricerca di una personale exit strategy (p.140) è coerente con la fine attesa di un ciclo di azione pubblica. Sentirsi come un funambolo (p.145) o un elefante (p.145) è la condizione permanente di una persona coerente nel tempo “senza diventare complice” (p.145) e distante da ogni galleggiamento. A costo di apparire come una meteora nello scorrere delle stagioni.

A distanza di anni gli incursori dell’epopea narrata, e i loro interlocutori, sono oggi altrove. Matteo Renzi ha aperto altri sentieri nei labirinti della politica. La professoressa Stefania Giannini è approdata all’Unesco come vice direttore generale. Per Alessandro Fusacchia si sono aperte le porte del Parlamento. Francesco Luccisano è manager internazionale. Uno dei Capo Dipartimento Sabrina Bono è, oggi, vice segretario generale a Palazzo Chigi; Rocco Pinneri è dirigente generale dell’USR per il Lazio. Giovanna Boda, grande regista di eventi, è diventata Capo Dipartimento prima di essere travolta da una presunta vicenda di malagestione dei fondi ministeriali. Alessandra Migliozzi ha lasciato l’Ufficio Stampa del ministero dell’Istruzione.

Che fine ha fatto la “Buona Scuola”? Dopo la fase dei decreti applicativi curati dalla successiva ministra, Valeria Fedeli, la rottamazione è stata in agenda per un paio di governi a guida di Marco Bussetti e di Lucia Azzolina. Smontare, abolire, superare e svoltare sono diventati gli imperativi. Alcuni esperti considerano la politica di Matteo Renzi sulla scuola un caso di policy failure.[34]  Si tratta anche di policy termination?  Siccome c’è un’evoluzione continua, l’eredità della “Buona scuola” non ha un unico destino. Alcune scelte spariscono del tutto, altre permangono e altre si tramandano pur riviste. Gli ambiti territoriali non hanno seguito. L’alternanza scuola e lavoro, pur revisitata con il ministro Marco Bussetti, diventa una componente standard. La card dei docenti viene regolarmente rifinanziata. La valutazione dei docenti praticata in forme più ridotte, rimane un’istanza sul tappeto, così come la carriera degli insegnanti. I finanziamenti riprendono a decrescere anche per via del calo demografico, salvo poi conoscere una nuova stagione con il PNRR in tempi più recenti. L’aumento degli organici diventa strutturale. La stabilizzazione dei precari riaffiora nei programmi dei successivi governi a distanza di anni a conferma di una mancata soluzione radicale. Con le delusioni e le sorprese della Dad nel periodo della pandemia la scuola digitale permane come priorità. La dispersione decresce lentamente a velocità diversa tra le regioni. I risultati degli studenti non migliorano salvo che per la matematica. La pandemia colpisce fortemente i livelli di apprendimento. I punteggi Invalsi sono progressivamente esclusi dalla valutazione scolastica e dopo anni la valutazione standardizzata delle performance degli studenti non sembra generare i miglioramenti attesi nei livelli di competenza che rimangono sostanzialmente stabili nel tempo.

Rileggere la narrazione di una stagione di flow, magistralmente resa nelle pagine quasi passionali di Alessandro Fusacchia, è un antidoto alla tentazione, talora vincente, del pessimismo nello scrivere di scuola. Riflettere sul caso della ‘Buona Scuola’ accresce la consapevolezza della complessità dei processi e delle strategie decisionali. Il lavoro del capo di gabinetto può così contribuire a costruire quella capacità collettiva necessaria per portare la nostra scuola fuori dalle secche della mediocrità in cui spesso va a insabbiarsi. Sarebbe molto utile per l’intelligenza collettiva che altri protagonisti dell’agire pubblico seguissero le orme di Fusacchia con memoir altrettanto attenti, scrupolosi e appassionati[35].

[1] Il volume di Fusacchia è originale nel panorama esteso dei lavori di ex ministri dell’istruzione o aspiranti a tale responsabilità. Si vedano Andrew Adonis, Education, Education, Education. Reforming England’s Schools, Biteback Publishing, London 2012 Letizia; Moratti, La nostra scuola. Conversazione con Piero Ostellino, Rizzoli, Milano 2006; Alain Juppé, Mes Chemins Pour l’école, JCLattès, Paris 2015; Pier Luigi Bersani, Per una buona ragione. Intervista a cura di Miguel Gotor, Claudio Sardo, Editori Laterza, Bari-Roma 2011. Il capitolo VIII è dedicato alla scuola e agli insegnanti (pp.119-132) Luigi Gui, Cinquant’anni da ripensare 1943-1993. Autobiografia e documenti, Morcelliana, Brescia 2005; Luigi Berlinguer con Marco Panara, La nuova scuola, Laterza Roma-Bari 2001; con Carla Guetti, Una scuola di qualità per tutti e per ciascuno, Liguori Napoli 2014; Gianni Nuti, Vorrei una scuola con i suoni del mare. Due giorni a Stigliano a colloquio con Luigi Berlinguer, Franco Angeli, Milano 2019; Tullio de Mauro (a cura di), Idee per il governo. La scuola, Laterza Bari-Roma 1995; Patrizio Bianchi, Nello specchio della scuola, Il Mulino, Bologna 2020.

[2] Cfr. M. Bruschi (a cura di), La Buona Scuola. Legge n.107 del 2015 commentata e legislazione scolastica a confronto, Edises, 2015; G. Cerini e M. Spinosi (a cura di), Una mappa per la riforma. Viaggio tra i 212 commi della legge 107/2015, Tecnodid, Napoli 2015; V.De Feo e A. Petrolino (a cura di), La Buona Scuola. Contributi e idee per un’applicazione di buon senso della legge 107/2015, Spaggiari 2015; C. Palladino, La Buona Scuola. Le novità introdotte nella scuola dopo l.13.7.2015, n.107 di riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione, Edizioni Giuridiche Simone, 2015; V. Capuzza, E. Picozza e M. Spirito, La buona scuola: introduzione alla riforma dell’istruzione italiana, G. Giappichelli Editore, Torino 2016; M.Baldacci, B. Brocca, F. Frabboni, A. Salatin, La buona scuola. Sguardi critici dal documento alla legge, Franco Angeli, Milano 2015.

[3] Cfr. le analisi di sociologi (G. Argentin e C. Barone, “School Reform Innovation and the Rhetoric of Change“, Italian Politics vol.31 (1) (2016) pp.135-154) e di economisti (A. Gavosto, La scuola bloccata, Laterza, Roma-Bari 2022).

[4]  Una finestra di policy è “un intervallo di tempo in cui si verificano le condizioni o si realizza l’opportunità per la formulazione di una politica pubblica” (G. Capuano e M. Giuliani, Dizionario di politiche pubbliche, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1996, p.143).

[5] Il periodo renziano apre uno spazio temporaneo per l’azione di policy makers in campo. All’emergenza economica e finanziaria per il Paese si associa la pressione per il cambiamento. Già il governo guidato da Mario Monti (16 novembre 2011 al 27 aprile 2013) era stato creato per evitare l”insolvenza dei conti pubblici che il paese stava rischiando. Le misure varate di austerity e di contenimento della spesa erano state anche dirompenti. Successivamente il professore Francesco Profumo proveniente dal Politecnico di Torino introduceva come nuovo ministro dell’Istruzione un approccio tecnocratico in un’area di policy tradizionalmente conservativa. In questo contesto di apprensione pubblica e di decisioni di emergenza, dopo l’intermezzo del governo di Enrico Letta (fino al 22 febbraio 2014), si afferma la leadership di Matteo Renzi, già sindaco di Firenze e segretario del Partito democratico, all’insegna della “rottamazione” e del “cambio di passo”. Per l’istruzione entra in campo la professoressa Stefania Giannini già rettrice dell’Università di Perugia, senatrice per Scelta civica alle elezioni politiche del 2013 e per il PD dal 2015. Rimane ministra dal febbraio 2014 al 12 dicembre 2016.

[6] L’espressione è entrata in uso nell’analisi delle politiche pubbliche per indicare i modelli di interazione tra gli attori in campo, per lo più istituzioni politiche, burocrazie amministrative e gruppi di pressione. In questo contesto è utilizzato in senso lato per sottolineare la forte personalizzazione del policy-making nell’epoca renziana.

[7] A questo proposito Andrea Gavosto parla di una ministra “politicamente debole e inesperta” (op.cit., p.98).

[8] Già Carlo Cottarelli annotava nella sua analisi sulla spesa pubblica italiana: “… non è chiaro perché i vertici dell’amministrazione … finiscano spesso per essere esperti di diritto amministrativo…” (La lista della spesa. la verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare, Feltrinelli, Milano 2015, p.187).

[9] La legge n.107 di riforma della scuola risulta la meno votata tra quelle varate con il governo di Matteo Renzi. Alla Camera dei deputati ai 227 favorevoli si contrappongono 173 voti contrari; al Senato approvano 159 favorevoli contro i 112 contrari. Alla Camera oltre 120 deputati della maggioranza (395) non votano a favore della legge.

[10] Da “Passo dopo passo, cambiamo l’Italia” del 31 agosto 2014.

[11] Con il renzismo si intende “quella particolare miscela di populismo democratico temperato da uno slancio riformista che surfa ogni giorno tra dinamismo acuto, rivoluzione simbolica, propaganda pura, innovazione politica, disintermediazione esasperata e spregiudicata ricerca del consenso” Treccani Mille giorni per Renzi https://www.treccani.it/enciclopedia/mille-giorni-per-renzi.

[12] La discontinuità rappresentata da Fusacchia appare evidente dal confronto con il curriculum dei capi di Gabinetto che l’hanno preceduto (Luigi Fiorentino con il ministro Francesco Profumo, confermato poi dalla ministra Maria Chiara Carrozza e ripescato con il ministro Luigi Fioramonti) o che l’hanno seguito (Sabrina Bono con il ministro Valeria Fedeli).

[13] Il programma del PD per le elezioni europee del 2014 è silenzioso sulla scuola, ma Renzi fa della scuola una delle priorità della sua azione di governo (2014-2016).

[14] Le pagine di Fusacchia sembrano testimoniare un ruolo del capo di gabinetto non sempre preso in considerazione, per esempio, da parte di Argentin e Barone (“The prime minister thus confirmed his personal engagement with this reform, while Ministro of Education Giannini was only marginally visible during the process. In fact, the entire procedure was handled by a small staff of experts who answered directly to Renzi and to his policy adviser Davide Faraone, undersecretary of education” (Argentin e Barone, op.cit., p. 137).

[15] Un documento risalente al primo decennio del secolo è il Quaderno bianco redatto Fabrizio Barca. Ricco di analisi approfondite non si è rivelato, tuttavia, la base per decisioni politiche conseguenti (F. Barca, Quaderno bianco sulla scuola, MEF-MIUR, Roma 2007).

[16] Per ponderare il lavoro di elaborazione condotto, il livello di approfondimento e la qualità della presentazione è sufficiente un confronto con il documento di policy relativo alla ipotesi della quadriennalizzazione della scuola secondaria superiore prodotto da una commissione nominata dal Ministro Francesco Profumo.

[17] Twitter del premier Matteo Renzi qualche ora dopo l’approvazione della legge 13 luglio 2015 n.107.

[18] Cfr. La Buona scuola La consultazione https://www.istruzione.it/allegati/2014/focus151214_all1.pdf.

[19] Si può ricordare che nella primavera del 1947 il ministro Guido Gonella promosse la costituzione di una commissione nazionale d’inchiesta sulla scuola che a novembre del 1948 diede avvio alla consultazione. Pur in un periodo di mezzi di comunicazione senza confronti con l’oggi, alla consultazione parteciparono 211 mila docenti (su un totale di 247.196) e 85 mila persone non appartenenti al corpo docente (i dati sui docenti da ISTAT Sommario di statistiche storiche 1861-2010. Con il ministro Luigi Berlinguer alla fine degli anni 1990 si sono condotte tre consultazioni di massa su tre temi cruciali della riforma in cantiere, i cicli, l’autonomia e i saperi.

[20] Già negli anni 1990 il Ragioniere generale dello Stato affermava: ” … finora la politica scolastica è stata prevalentemente (con l’eccezione dell’istituzione della scuola media unificata) una politica di spesa per l’occupazione…” (A. Monorchio, La riqualificazione della spesa pubblica e il controllo delle sue principali componenti: sanità pensioni, enti locali, istruzione, Economia italiana, 2 (1992) p. 194).

[21] Si utilizza qui il titolo di un romanzo che Fusacchia ha in cantiere e a cui dedica di tanto in tanto sprazzi di tempo sottratto al pesante lavoro istituzionale (I solitari, Cooper 2016).

[22] La nomina del ministro Valeria Fedeli, già sindacalista a livello nazionale e internazionale, risponde all’esigenza di ricucire i rapporti con le organizzazioni sindacali.

[23] Analizzando i numeri sugli scioperi generali il calo inizia dopo il 2010: il 6 maggio del 2011 Flc Cgil arriva a portare in piazza ancora il 16,76%. Nel 2016 (20 maggio) Flc, Cisl Scuola, Uil Scuola e Snals non superarono il 9,79%. In questo arco di tempo, tuttavia, la manifestazione contro la riforma renziana del 5 maggio 2015 raccoglie il 64,89% di persone del mondo della scuola che non vanno a lavorare.

[24] Il ruolo della burocrazia nel rallentare o bloccare le riforme è un tema molto frequentato ed è opinione diffusa tra esperti e opinion makers (cfr. A. Alesina e F. Giavazzi, “I distruttori delle riforme. L’insostenibile peso della burocrazia“, Corriere della Sera 5, dicembre 2012.

[25] Di fronte alla retorica plaudente sull’autonomia scolastica la posizione di Fusacchia va controcorrente. Già, pur in altro contesto, Galli della Loggia aveva avanzato l’ipotesi dell’autonomia scolastica come forma di deresponsabilizzazione dell’autorità centrale. L’attribuzione di discrezionalità alle scuole svela uno “sganciamento strategico” (p.130) del centro e, più in generale, l’”abdicazione della politica” (p.131) generando una vera svolta caratterizzata dallo spaesamento per chi lavora nella scuola. La scuola esce dall’agenda del Paese. (E.Galli della Loggia, L’aula vuota, Marsilio, Venezia 2019).

[26] Nella storia dell’istruzione anche il ministro Luigi Berlinguer venne sostituito nel 2000 da Tullio De Mauro a seguito dell’insuccesso elettorale del governo di cui faceva parte.

[27] Si veda Maragliano, R., La scuola dei tre no, Laterza, Roma-Bari, 2003.

[28] Io donna, 24 ottobre 2022

[29] ibidem

[30] Il Foglio, 4 giugno 2022.

[31] Capitalizzando le conoscenze maturate nell’ambito del Programma PISA dell’OCSE, Andreas Schleicher ha compilato un elenco di requisiti per la riuscita di una riforma (“darsi una direzione”, “costruire il consenso”, “chiedere l’aiuto degli insegnanti nella progettazione delle riforme”, “introdurre progetti pilota e forme di valutazione permanente”, “costruire capacità all’interno del sistema”, “il tempismo è tutto”, “rendere i sindacati degli insegnanti parte della soluzione”). Cfr. A.Schleicher, Una scuola di prima classe. Come costruire un sistema scolastico per il XXI secolo, Il Mulino, Bologna 2020, pp.262ss.

[32] Per la verità il ruolo principale nel riattivare le attività scolastiche è stato svolto dalla Protezione civile. Cfr. S. Carreras, Ora o mai più. Le storie di chi ha il coraggio di costruire il futuro, Chiarelettere, Milano 2022, pp.32ss.

[33] Nonostante gli stereotipi correnti, il tema delle burocrazie dinamiche appartiene alla tradizione sociologica. Cfr. P. Blau, The Dynamics of Bureaucracy: A Study of Interpersonal Relations in Two Government Agencies, University of Chicago Press, Chicago 1963.

[34] Andrea Gavosto parla esplicitamente di un “fallimento comunicativo e politico” (2022, op. cit., p.99).

[35] In quest’ottica è il caso di citare La vita insegna (Dalla Sicilia al Ministero. Il viaggio di una donna che alla scuola deve tutto, Baldini+Castoldi, Milano 2021) di Lucia Azzolina, ministra dell’Istruzione dal 10 gennaio 2020 al 13 febbraio 2021.