Note in margine a Carlo Cottarelli, La lista della spesa. La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare. Feltrinelli, Milano 2015.

Nell’ultimo triennio i libri di Carlo Cottarelli, affacciatosi sulla scena italiana dopo 25 anni di lavoro al Fondo Monetario Internazionale, sono stati dei best sellers. La Lista della spesa, il primo della trilogia[1] di un autore che si è rivelato prolifico e generoso con i proventi dirottati all’Unicef, è un testo impegnativo, da leggere con attenzione e da consigliare senza indugio. La prosa è diretta e serrata, la conoscenza è densa pur in linguaggio apparentemente parlato quasi colloquiale. Capitoli e pagine da leggere svelti, ma da rileggere per capirne a fondo i contenuti.

Seppur indirettamente è anche un itinerario nella cultura politica e amministrativa del nostro Paese, da parte di un osservatore più che qualificato per curriculum e competenza, e partecipante, con l’incarico di commissario straordinario per la revisione di spesa da ottobre 2013 a novembre 2014. Ed è in questa ottica che ho trovato il volume stimolante: sollecita più di un interrogativo sul policy style italiano, cioè su come si prendano le decisioni, sul perché delle inerzie che durano nel tempo, sui modi per legittimare la non azione anche contro le intenzioni. La lettura delle oltre duecento pagine è stata dominata, comunque, dall’interesse per le vicende della scuola, probabilmente l’unico settore dove i tagli sono stati significativi e operati quasi senza clamore: nel periodo 2008-2011 ben 8 miliardi sono stati risparmiati strutturalmente nell’istruzione con la contrazione di oltre 100 mila posizioni di ruolo. Non è un tema centrale del volume ma alcune ‘verità’ sulla spesa pubblica per l’istruzione sono affermate chiaramente (1., 2., 3., 4.) e alcune osservazioni di carattere generale riguardano anche tale settore (5., 6., 7.,8). La lettura è completata da qualche incursione nelle pagine degli altri due volumi della trilogia citata.

Spendiamo ‘troppo’ in quasi tutti i settori, con l’eccezione di cultura e istruzione” (pag.23).

Nella lista della spesa pubblica nel nostro paese cultura e istruzione sono sottorappresentate: per questa ragione, il Commissario può scrivere: “Questo risultato … spiega perché le proposte da me avanzate non prevedevano tagli per cultura e istruzione” (pag.23). Una scelta, tale contenimento di risorse, risulta  immotivata, se come annota Cottarelli con chiarezza: “Fra l’altro, studi condotti dal dipartimento di Finanza pubblica del Fondo monetario internazionale, che ho diretto fino al 2013, indicavano che la spesa per l’istruzione è quella che più fa aumentare il reddito di un paese nel medio periodo”. E, indirettamente, ribadisce questo punto di vista scrivendo nella pagina successiva: “Effetti positivi sull’economia si potrebbero avere anche sostituendo una spesa pubblica ‘cattiva’ con una ‘buona’ (per esempio quella per l’istruzione)”(pag.24).

Questa lettura dello status quo da parte del Commissario conferma, senza la retorica di contorno, le critiche da più parti rivolte al disinvestimento per la scuola e i valori degli indicatori più volte confermati nelle statistiche comparative. Due commenti sorgono immediati. Anzitutto vien da chiedersi come mai nel settore dell’istruzione i ‘tagli’ sono stati operati con relativa facilità senza le ostruzioni vincenti incontrate in altri settori o il clamore suscitato in aree sensibili come quella delle pensioni. Sorge, inoltre, l’interrogativo se la contrazione delle risorse finanziarie per l’istruzione, soprattutto nel periodo 2008-2011, e il livello di spesa del settore, comparativamente contenuta, abbiano contribuito alla riduzione della spesa pubblica complessiva o alla contrazione del debito pubblico del Paese. Sarebbe interessante trovare delle evidenze.

“… sostituendo una spesa pubblica ‘cattiva’ con una ‘buona’ (per esempio quella per l’istruzione)” (pag.24)

Nel testo non solo si legge che nella scuola non si possono fare altri ‘tagli’[2], si sostiene che la spesa per l’istruzione è un esempio della ‘buona spesa’ che dovrebbe sostituire quella ‘cattiva’. Perché l’alterazione della gerarchia di valori nel nostro Paese? Perché tagli, anche pesanti, vengono fatti nel settore con più possibili ritorni, mentre in altri settori è una fatica improba se non fallace? Sono per alcuni domande fuori tema ma l’annotazione di Cottarelli è un invito a riflettere su quale sia la cultura politica della scuola, un settore dove infliggere colpi di scure è strada percorribile. Le grandi centrali sindacali o le presunte potenti burocrazie scolastiche forse hanno contribuito a quella che è stata definita la moltiplicazione dei pani e dei pesci con la riduzione delle politiche educative a politiche del personale; non sembrano essere, tuttavia, riuscite a bloccare, nonostante i livelli di sindacalizzazione, le affollate e calde manifestazione di piazza e la decantata resistenza dell’alta burocrazia, decisioni pesanti sulle risorse per l’educazione. Che l’istruzione sia un settore dove i tagli sono non solo possibili ma anche concretamente praticabili, non è una notazione statistica, connota l’agenda politica. [3]

“… questo non vuol dire che non ci sia da risparmiare … ma se si risparmia si dovrebbe reinvestire nel settore stesso” (pag.23)

Sempre più l’attenzione si sposta dai valori complessivi alle voci di spesa, ai singoli fattori che concorrono al costo complessivo. In questa prospettiva gli interrogativi si moltiplicano se si applica con rigore l’analisi dei costi e benefici delle varie e continue modifiche che si introducono. Diminuiscono gli studenti, ma non i docenti. La numerosità delle classi è ancora comparativamnrte favorevole ma non sembra associata a benefici evidenti. La diversità di capitale sociale e capitale umano tra Nord e Sud rimane fuori dall’agenda politica. L’educazione civica, al di là del facile consenso, non è presa seriamente in considerazione.

In questo quadro le disomogeneità di retribuzioni tra i dipendenti pubblici riguarda anche la scuola. Il Commissario scrive: “i presidi (per cui non ci sono fasce) hanno stipendi piuttosto bassi: in media meno di 67.000 euro lordi l’anno (dati del 2012), molto più bassi dei dirigenti di prima fascia ministeriali (181.000 euro)” (pag. 120).

“… Questo trasferimento resta per me un mistero…” (pag.145)

Tra le pagine e le righe del volume ci sono annotazioni che fanno risorgere anche gli stupori che non emergono più perché spesso rimossi o tollerati. Il commissario Cottarelli dichiara di non riuscire a capire come si possano dare finanziamenti alle scuole non statali in presenza di un articolo della Costituzione che lo vieta. Anche noi vorremmo saperlo, ma le risposte non sono disponibili immerse come sono nelle diatribe di una controversia che dura da decenni con ricorrenti assopimenti.

Esaminando i trasferimenti dallo Stato, scrive il Commissario: “Un po’ più di 300 milioni li riceve l’istruzione privata. Questo trasferimento resta per me un mistero, tenendo conto dell’art. 33 della Costituzione, che recita: ‘Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo stato’. Mi si dice che quel ‘senza oneri per lo stato’ significa che lo stato non è obbligato a trasferire risorse a scuole e università private, ma che può farlo se vuole. Mah! Resto perplesso” (pag.145)

Ci chiediamo anche perché la Corte costituzionale che si pronuncia su un elevato, e talvolta incredibile, numero di questioni aperte, in oltre mezzo secolo di vita non sia stata coinvolta da qualche giudice per un chiarimento di interpretazione del testo che ponga la parola fine alle letture contrapposte che antagonisti di varia estrazione continuano a proporre.

A seguire l’evoluzione della scuola non statale si ritrovano le fila di un divenire che non è stato controllato, ma è il risultato di spinte e controspinte, con scelte simboliche, battaglie ideali frammiste a interessi di settori, senza una reale capacità di incidere, anche per il bastione che il valore legale dei titoli di studio continua a costituire rispetto alle intenzioni di superamento di comportamenti inappropriati. Periodiche incursioni della magistratura con scandali esaltati e poi tramontati senza esiti significativi non hanno risposto alle criticità esistenti.

“Ostacoli a livello strategico”

Nell’affrontare, nel capitolo finale, gli ostacoli da superare per proseguire nel cammino della revisione della spesa, Cottarelli mette al primo posto difficoltà di strategia e tra queste la mancanza di chiarezza sui principi generali. Scrive: “Se non si enunciano in modo chiaro i principi che guideranno la revisione della spesa, le decisioni specifiche continueranno a essere preda di interessi particolari, di motivazioni passeggere o, semplicemente, del caso” e ribadisce che per eliminare gli sprechi è essenziale avere dei principi (“Il problema del ‘perimetro’ dell’azione pubblica è una questione centrale per la revisione della spesa” (pag.184).

E’ evidente quanto sia importante chiarire se l’educazione è considerata una priorità per la spesa pubblica o rimane una voce di costo da contenere il più possibile. Il settore dell’istruzione risente fortemente della chiarezza o meno degli indirizzi politici anche tenendo conto che, purtroppo, carenze storiche nelle performance degli studenti (come i divari tra le aree del Paese) permangono nel tempo e non necessariamente danno origine a reazioni automatiche di contrasto.

Un aspetto che Cottarelli annota trattando del crollo demografico è la relativa indipendenza delle spese per l’istruzione. Se si riduce il numero di studenti si dovrebbero realizzare risparmi nelle relative spese di scolarizzazione. In realtà questo è avvenuto solo in parte perché comunque il numero di insegnanti non si è ridotto quanto quello degli studenti (pag.105).

“… non è chiaro perché i vertici dell’amministrazione … finiscano spesso per essere esperti di diritto amministrativo…”

Nella Lista della spesa troviamo considerazioni generali pertinenti anche per il settore dell’istruzione come l’accenno sul background professionale dei vertici delle burocrazie. Tradizionalmente l’istruzione ha avuto un forte assetto amministrativo, basato sulle culture giuridico-amministrative, pur essendo un settore di livello inferiore ad altri quali il Ministero della giustizia o dell’economia… (non pochi vertici del Ministero dell’istruzione erano candidati falliti per carriere nella magistratura o in altri ministeri di maggior prestigio). Il governo amministrativo ha prevalso a lungo sul governo tecnico. Si è assistito all’erosione del potere tecnico, lunga agonia dell’ispettorato tecnico e trasformazione del preside e del direttore didattico in dirigenti pubblici.

Nel tempo il cambiamento ha, tuttavia, investito anche Viale Trastevere, nonostante il riemergere con gli uffici scolastici regionali, per lo più occupati dalle seconde linee del ministero centrale: è andato aumentando il numero di persone provenienti dalle scuole e i confini, prima baluardi difesi anche con controversie sindacali e baruffe di fronte alla magistratura amministrativa, si sono allentati. La contrapposizione di cultura e di filosofia è evidente se si mette a confronto il timido impianto dell’autonomia scolastica pensato dagli esperti di diritto amministrativo pur dipinto con forti pennellate retoriche, e la vitalità delle scuole disseminate nel Paese che hanno interpretato in senso accrescitivo la progettualità della scuola.

La cultura amministrativa e le capacità manageriali sono due variabili con un rapporto critico, Il Commissario si rivela capace di dichiararsi sorpreso di fronte a luoghi comuni o prassi acriticamente accolte dai più. Vari sono gli aspetti di interesse. Uno in particolare mi ha colpito. Finalmente qualcuno che parlando dell’amministrazione si interroghi se la cultura amministrativa sia la garanzia migliore di capacità manageriali. Per altro a pensare bene, sorge qualche dubbio sulla grande preparazione tecnica dell’alta burocrazia e dei suoi organi di consulenza, (Uffici legali, Corte dei Conti, Avvocatura dello Stato…) amministrativa di fronte a cause perse al TAR, a pareri contrari del Consiglio di Stato, a contestazioni da parte della Commissione europea, oltre  all’invisibilità a livello europeo o internazionale. O quella capacità è illusoria, o non viene applicata seriamente, sotto la spinta dei maggiori vantaggi assicurati dall’inerzia.

“…performance budgeting…” (pag.194)

C’è un altro aspetto di carattere generale, e più di fondo rispetto al precedente, che Cottarelli richiama in più punti. Nonostante l’inserimento formale nella normativa, la transizione dalla logica del budget per input a schemi di performance budgeting è ancora da completare nella nostra cultura politica e gestionale. La riforma del bilancio dello Stato del 2009 va resa effettiva (“Purtroppo si è trattato di una riforma abbastanza pro forma. I programmi introdotti sono spesso mal definiti e gli indicatori utilizzati sovente sono troppo vaghi per essere utilizzati effettivamente per guidare il giudizio sulla validità di un programma di spesa”, pag.196). Questo ri-orientamento tocca anche la scuola: l’introduzione di varie soluzioni di svolta (chiamata per competenza, bonus premiale per docenti, voucher per la formazione…) con la Buona scuola e i regolamenti attuativi hanno segnato un ritorno all’investimento nella scuola pur nella contestata stagione della Buona scuola. Si calcola che si sia aumentato di qualche decimo percentuale sul PIL. Cottarelli cita “il maggior esborso … per l’assunzione stabile di personale precario della scuola” (pag.29) Non è del tutto evidente che le spese messe sul tavolo abbiano una chiara probabilità di migliorare i nostri studenti. Nel caso dei nidi e dell’aumento della partecipazione delle rispettive fasce d’età, ci sono evidenze per dedurne un effetto benefico. Non è semplice, tuttavia, identificare le linee di impatto nel campo educativo per i legami deboli che caratterizzano i rapporti tra soluzioni, problemi e risultati, per la pluralità di effetti, alcuni inattesi, altri di segno contrario, per la frequenza di cambiamenti o riforma a somma zero (in grado allo stesso tempo di risolvere problemi e di crearne di nuovi).

La carenza di capitale sociale e umano

Il tema del capitale umano ricorre nelle pagine di Cottarelli, sia per spiegare le lacune, sia per indicare direzioni di lavoro. Trattando del primo dei sette vizi capitali dell’economia italiana (è il titolo del volume), cioè l’evasione fiscale, tra le cause il Commissario indica ‘la scarsità di senso civico o capitale sociale, che dir si voglia” riconoscendo che si tratta di un fattore che influisce anche su altri peccati quali la corruzione e l’eccesso di burocrazia (pag.28). Un indicatore che vede l’Italia collocarsi al di sotto della media rispetto agli altri paesi avanzati.

Al capitale umano e sociale riconduce, almeno in parte, il divariotra il Nord e Sud (pag.128-129) che è divario di reddito, di occupazione, di produttività,di performance della pubblica amministrazione il divario nei saldi dei conti pubblici. Tra le soluzion,i dopo il lasciar spazio al normale funzionamento del mercato economico, l’efficienza della pubblica amministrazione è il tema per un piano di azione che forse è quello più importante (pag.135). Riguarda, infatti, il rafforzamento del capitale sociale e umano del Mezzogiorno. NeI richiamo all’educazione civica Cottarelli chiama in causa la scuola “Occorrerebbe che le scuole diventassero la fucina del nuovo spirito civico di cui l’Italia ha bisogno” (pag.159).

L’istruzione e le mitiche riforme strutturali (pagg.148-149)

Nel libro sul Macigno sono elencate e discusse le varie soluzioni proposte e dibattute per liberarsi dal debito pubblico. La sesta soluzione riguarda l’effetto della crescita economica sul debito. In questo contesto tra le riforme strutturali (flessibilità del mercato del lavoro, semplificazione della burocrazia, riduzione delle tasse sul lavoro e sulle imprese, aumento della concorrenza, maggiore efficienza della pubblica amministrazione) viene inserita anche l’istruzione (“Una scuola e un’università più moderne, in modo da accrescere il capitale umano” pag.149).

Fuori dalla retorica corrente prendere in considerazione l’istruzione come fattore per la crescita è una scelta corretta, ma richiede l’individuazione dei fattori positivi da irrobustire, l’adozione di soluzioni non approssimative con elevate potenzialità di impatto e le valutazioni su misura degli effetti delle azioni messe in campo. In questo senso programmi di lavoro dovrebbero essere definiti con un’attenta presa in esame dei fattori che incidono, uscendo dalle scelte indotte dalla path dependence.

Food for thought

I volumi di Carlo Cottarelli si integrano a vicenda e sono, comunque, un caso editoriale alimentato dal ruolo di Commissario per la revisione della spesa, ma anche per il ruolo giocato, soprattutto in relazione alle elezioni politiche del 4 marzo, dalla unità di analisi creata presso l’Università cattolica, dall’incarico ricevuto di formazione di un governo tecnico nel ciclo di eventi che hanno fatto seguito alla consultazione elettorale, oltre che dalla presenza ricorrente sui media e nei talk show.

I cenni alla scuola, specifici e generali, che la La lista della spesa contiene, apparentemente sono marginali; non vanno tuttavia lasciati cadere perché riassumono ragionevoli criteri di riferimento che ho cercato di presentare. In una fase in cui le questioni dell’istruzione, pur in secondo piano nella competizione elettorale e nel contratto di governo, rimangono aperte e incombenti (stabilizzazione dei precari, edilizia scolastica, servizi per la prima infanzia…) le scelte da compiere richiedono riflessioni di base, analisi appropriate e decisioni ponderate.

Il contributo del ‘predicatore’[4] Cottarelli continua a suscitare interesse perché insolito e inatteso sulla scena del nostro Paese, a partire dalle intenzioni che lo ispirano (“cerco di informare l’opinione pubblica sperando che la gente poi decida sulla base di fatti e non delle tante bufale che circolano in TV”). Una lezione di metodo di cui si sentiva, e si sentirà probabilmente per un lungo periodo, il bisogno.

 

[1] Gli altri sono Il macigno. Perché il debito pubblico ci schiaccia e come si fa a liberarsene, Feltrinelli, Milano 2016 e I sette peccati capitali dell’economia italiana, Feltrinelli, Milano 2018.

[2] A conferma della posizione sulla scuola con un twit Carlo Cottarelli corregge anche De Maio. Scrive il 25 febbraio 2018 (15.33): “Un chiarimento: Di Maio ha appena detto durante il programma dell’Annunziata che un governo 5stelle applicherebbe il piano Cottarelli, anche se non tutto, in particolare non i tagli alla scuola. Nel mio piano non c’erano tagli alla scuola o in generale alla pubblica istruzione”.

[3] Cfr. quanto dichiarato da Cottarelli a Milano nel corso della presentazione di un proprio libro “Più che avere un reddito di cittadinanza sarebbe meglio avere un’opportunità di cittadinanza, quindi per esempio destinare le risorse disponibili per avere scuole migliori” (Il fatto quotidiano, 3 luglio 2018).

[4] Beppe Severgnini mette come titolo di una recente intervista a Carlo Cottarelli “Io mi sento, come dire, un predicatore“, 7 Corriere della sera 5 luglio 2018m n.27, p.29.