Abstract: Le indagini valutative internazionali hanno aperto uno scenario globale mettendo in evidenza sistemi scolastici prima sconosciuti. In questo contesto le ‘Asian tigers’ hanno interessato esperti e analisti per la persistenza di elevati livelli di performance dei loro studenti. Le politiche educative della Repubblica di Corea e di Singapore, Paesi diversi per dimensioni e per storia, ma entrambi al vertice nelle indagini TIMSS e PISA per oltre un decennio, sono un terreno da indagare per capire le ragioni dei risultati ottenuti nelle valutazioni standardizzate. In questa prospettiva, nel presente contributo si affrontano, con un approccio descrittivo, le due diverse strade seguite dalla Corea e da Singapore nella costruzione e nello sviluppo dei propri sistemi scolastici. Nell’Asian way al cambiamento emergono diversità culturali (‘education fever’ in Corea e l’approccio ‘ability-driven’ di Singapore) da considerare. Accanto alle criticità (stress per gli studenti, rote learning…) che le scuole di entrambi i Paesi conser- vano e stanno affrontando, nel contributo si evidenziano risultati raggiunti nel contenimento del numero di studenti insufficienti e l’elevata quota di studenti eccellenti. Il saggio vuole contribuire ad avviare la riflessione e l’analisi.

Premessa

In un momento in cui si rileggono criticamente anni di tentativi di innovazione (Ravitch, 2010), si esprimono dubbi sulla praticabilità di riforme sistemiche (Oecd, 2010b) e si riformulano obiettivi troppo ambiziosi (European Commission, 2011), è di stimolo guardare ai sistemi scolastici ca- paci di miglioramento. Le Asian tigers (Hong Kong, Singapore, Taiwan, Corea del Sud) si sono imposte all’attenzione di esperti per i traguardi raggiunti dalle proprie scuole e documentati dalle iniziative di testing internazionale1, anche se l’Asian way al cambiamento non è un modello omogeneo (Hallinger, 2010). Sotto questo profilo due Asian dragon (Tu Wei-Ming, 1996), la Corea del Sud (riferita di seguito come Corea) e Singapore, diversi per storia e per dimensioni2, ma uniti dalle performance elevate dei propri studenti, dai livelli di investimento in istruzione e dalla continuità di leadership politica e strategica, offrono il terreno per un’esplorazione sulle convergenze e sulle divergenze nelle politiche educative adottate. Nell’ambito del crescente interesse per le scuole in movimento (Hargreaves e Shirley, 2009; Mourshed et al., 2010) la Corea e Singapore vengono, peraltro, spesso citate per esemplificare modelli di cambiamento (Darling-Hammond, 2010) e a testimonianza pratica di filosofie politiche dell’istruzione (Spring, 1998).

I caratteri della scuola coreana e di Singapore portano l’attenzione su temi sociologici, dalla costruzione del capitale umano al ruolo del capitale sociale, dalla valenza del raccordo tra crescita economica e si- stema di istruzione allo status delle professioni educative. Dal punto di vista storico, l’innesto sulle tradizioni educative di nuove impostazioni scolastiche e la discontinuità con le soluzioni elitarie del colonialismo individuano un campo di indagine in cui la forza della path dependency può alternativamente rivelarsi fattore propulsivo o baluardo di resistenza. Sotto il profilo della costruzione delle politiche l’interazione tra i carat- teri dei regimi di governo e le strategie d’azione presenta motivi di inte- resse, dai modelli di gestione dell’espansione scolastica alle strutture di implementazione, dalle visioni elaborate alle culture dell’apprendimento (oecd, 2009). Questi rilevanti interrogativi rimangono sullo sfondo di questo contributo che intende affrontare quell’iceberg di cui le performance elevate nelle valutazioni standardizzate rappresentano solamente la parte emersa.

Molti programmi di riforma su scala generale (Fullan, 2000) sono falliti. Capire le ragioni della riuscita in altri contesti, senza alcun intento di gerarchizzazione o di mera classificazione, può contribuire a rivitalizzare l’attenzione per l’innovazione, oltre che far conoscere realtà citate, ma conosciute prevalentemente per le posizioni nelle graduatorie del testing internazionale.

1. Educational zeal: la scuola coreana

Il sistema scolastico coreano serve oltre 7 milioni di studenti, distribuiti in diecimila scuole con quasi quattrocentomila docenti (Mest, 2009a). L’ordinamento prevede la scuola dell’infanzia (3-6), la scuola primaria (6-12) della durata di sei anni, obbligatoria e gratuita, la scuola seconda- ria distinta in scuola media (12-15) di tre anni, obbligatoria e gratuita, e high school (15-18) di tre anni con percorsi generali (circa il 70% degli studenti), di specializzazione (ad esempio science high school) e di for- mazione professionale (circa il 25%). A livello post-secondario si colloca il college e l’università.

Con le indagini timss e con il programma pisa la scuola coreana si impone a livello internazionale entrando nel novero dei top-performer. Secondo i dati pisa del 2003, gli studenti coreani si posizionano al vertice per il problem solving, sono secondi per la lettura, terzi per la matematica e quarti per le scienze; risultati eccellenti confermati nell’edizione del 2009 (kice, 2010). Tra il 2000 e il 2009 l’impatto delle variabili socio- economiche sui livelli di apprendimento e la variabilità dei risultati tra le scuole rimangono stabili, inferiori comunque ai valori medi oecd, men- tre aumenta la variabilità interna alle scuole (Invalsi, 2010).

Alcune espressioni (educational zeal, education fever), presenti nella letteratura (Oh, 2000; Seth, 2002), cercano di cogliere l’anima della scuola coreana sottolineando la salienza culturale ed emotiva delle que- stioni educative. Seth (2002) parla della «most exam obsessed culture in the world» e Park (2009) identifica «the English fever» nell’esplosione della domanda di lingua inglese. La Corea è uno dei casi di studio nell’a- nalisi della shadow education, cioè degli interventi di tutoring privato (Bray, 2009). La storia della scuola in Corea, inoltre, è emblematica del raccordo tra crescita economica e diffusione dell’istruzione (Wolf, 2002) e della visione dell’educazione come leva nell’innovazione tecnologi- ca (Kim, 1997). Sia per particolari punti di forza quali la pianificazione delle risorse umane (Spring, 1998), sia per le radici storiche e culturali (Sorensen, 1994; Tu Wei-Ming, 1996; Kim, 2009), il sistema scolastico coreano è presente in molti studi comparativi e ricorre nei rapporti delle organizzazioni internazionali.

Dopo la dominazione giapponese (1910-1945) e l’amministrazione militare degli usa (1945-1948), con la nascita della Repubblica (1948) inizia la storia recente della scuola, peraltro non priva di nobili tradizioni educative (mest, 2009a). Da quel momento la progressione è imponente. La spesa per l’istruzione sale dal 2,5% del Pil nel 1951 al 17% nel 1966. Negli anni 1950 viene generalizzata l’istruzione primaria. Sono aboliti gli esami di accesso alla scuola media nel 1968 e alle high school nel 1974, e nel 1980 si crea un esame unico per l’ingresso al college. Nel 1970 il 20% delle rispettive classi di età frequenta le superiori; già nel 2005 tale percentuale supera il 90%. Con la nascita nel 1972 del Korean Educational Development Institute iniziano i primi sforzi per la qualità del sistema scolastico. Anche l’istruzione post-secondaria conosce un’e- spansione significativa: nel 2008 (oecd, 2010a) la Corea con il Giap- pone, il Canada e la Federazione Russa, è al vertice per la percentuale di popolazione compresa tra 24-35 anni con istruzione post-secondaria (Corea: oltre il 60%; in Italia: 20%; media ocse: 35%).

1.1. Istruzione e innovazione: una sinergia

L’avanzamento economico negli ultimi cinquant’anni trasforma la Corea da Paese agricolo e preindustriale in Paese con un’economia industriale e terziaria di rilievo globale. L’investimento in istruzione e formazione è da sempre una priorità fin dal difficile dopoguerra e anche nella grave crisi finanziaria del 1997. L’educazione è alla base del robusto impegno per l’innovazione di un Paese con uno dei più alti livelli di spesa per la ricerca e lo sviluppo (oecd, 2010d) e con una forza lavoro tra le più qualificate per la forte incidenza delle competenze tecnologiche e scientifiche. Oltre che per la storica dipendenza da altri Paesi per le risorse naturali, l’educazione mantiene la sua rilevanza per fronteggiare la forte competizione con la Cina e con altre economie a industrializzazione re- cente, nonché per il basso tasso di natalità della popolazione.

Vari osservatori hanno legato la scuola coreana al background cul- turale, a cui vanno ricondotti alcuni punti di forza e il suo carattere di ‘ossessione nazionale’. La cultura della scuola come valore è condivisa e radicata. Nel 2007, l’88% degli alunni nella scuola primaria, il 78% degli studenti nella scuola media e il 63% a livello di high school frequentano lezioni private variamente organizzate (Bray, 2009) e si preparano spe- cificamente per gli esami di ammissione al college il cui esito determina il loro futuro. Le famiglie sono disponibili a onerosi sacrifici per l’educazione dei propri figli in misura che non ha confronti nell’area oecd. Nel 1984 la spesa totale per l’educazione, pubblica e privata, ammontava al 13,3% del pil; valori decisamente alti se confrontati con il 5,7% in Giappone (1982) e il 6,7% degli usa (1981). Nel 2007 il valore si attesta al 7% (oecd, 6,1%). A questa cultura della scuola si fanno risalire anche lo spirito di solidarietà e di condivisione, in contrasto con l’enfasi occidentale sull’individualismo e la competizione, e il forte senso della disciplina a scuola come sul lavoro.

Sotto il profilo socio-culturale l’attenzione si concentra sulla tradi- zione confuciana, sulle origini dell’etica pubblica e sui caratteri della cultura contemporanea. La ricostruzione storica della scuola rivela un lungo itinerario di tradizioni e istituzioni educative che hanno nel tempo formato le élite culturali, sociali e politiche e ancorato a fondo atteg- giamenti culturali. Tu Wei-Ming (1996) identifica nella new confucian ethics, un’amalgama di valori familiari e orientati alla comunità e di valori occidentali pragmatici, rivolti alla realizzazione e alla produzione economica3. La sinergia tra l’eredità culturale e il progetto di crescita e sviluppo del Paese è una fertile ipotesi di lavoro per analizzare la struttu- ra profonda alla base della scuola coreana.

1.2. Il curriculum

Tra le variabili organizzative e funzionali interne al sistema scolastico coreano, l’impostazione e le dinamiche legate alla definizione e messa in opera dei programmi scolastici sono i fattori di maggior rilievo. La scuola ha un proprio curriculo che viene definito e aggiornato con periodiche revisioni. La cultura curricolare risente dell’influenza della peda- gogia progressista statunitense del secondo dopoguerra (di John Dewey e di Jerome Bruner): c’è nel curriculum un’attenzione alla ricerca e alla scoperta, con una sintesi tra lo sviluppo integrale del bambino, estetico, spirituale, morale, intellettuale e fisico, e l’insegnamento completo delle discipline. Il curriculum è bilanciato: accanto alle discipline come lingua e matematica c’è spazio per studi sociali, scienze, educazione fisica, mu- sica, arti, educazione morale, inglese, arti pratiche e attività extracurricolari. Ci sono standard nazionali relativi ai singoli anni, ma il curriculum viene sviluppato a livello di scuola dagli insegnanti. I libri di testo sono scritti, commissionati o approvati dal governo; genitori e insegnanti giocano un ruolo importante nella loro scelta.

La qualità del curriculum è oggetto di monitoraggio: gli ispettori visi- tano le scuole e il Korean Institute of Curriculum and Evaluation (kice) conduce ricerche sulle pratiche didattiche e sui processi di implementazione.

Non c’è nessun testing esterno individuale per gli studenti prima della fine della scuola secondaria; c’è un test per campione al sesto e al nono anno del percorso scolastico (1% della popolazione scolastica) e al deci- mo anno (3%) riguardante la lingua, la matematica, le scienze, gli studi sociali e l’inglese, sul modello del naep (National Assessment of Educational Progress) americano. La valutazione degli studenti è realizzata dagli insegnanti. Oltre alle prove ‘carta e penna’ sono state incoraggiate tecniche alternative al test con domande a risposta multipla come il performance assessment, l’essay examination e le prove hands-on, al fine di promuovere il critical thinking e le problem-solving skills. È promossa, altresì, l’autovalutazione delle scuole. Il sat, test per l’ammissione al college, rimane comunque motivo di grande preoccupazione per ogni studente coreano e per le famiglie, con un forte impatto sull’equilibrio tra le discipline e il rischio di marginalizzazione delle aree non incluse nei test, dalle materie artistiche, all’educazione fisica, alla musica (Choi, 2007)4. Rispetto alla rigidità dell’impostazione didattica, soprattutto con riferimento all’apprendimento mnemonico (rote memorization), la di- scussione è aperta e sono in atto tendenze innovative.

Il tempo scuola nell’arco compreso tra i 7 e i 14 anni non raggiunge le 6.000 ore (lo studente italiano supera le 8.000 ore) (oecd, 2010d); recentemente si è passati dai sei ai cinque giorni settimanali di scuola per un alleggerimento del carico scolastico5. L’impegno cospicuo di tempo per il lavoro extrascolastico e le lezioni private sono motivo di preoccupazione e vari sono gli interventi di contrasto.

L’enfasi sulla tecnologia si riflette negli investimenti realizzati e in corso, con soluzioni innovative quali l’introduzione dei robot nell’insegnamento6. Nel 2006 la Corea, con la Danimarca e l’Islanda, è paese campione per la somministrazione via computer del test pisa di scienze (oecd, 2010c).

1.3. La politica per gli insegnanti

Dopo il curriculum, le strategie per le risorse professionali sono una delle variabili chiave della scuola coreana. La Corea ha controllato con equilibrio il passaggio alla scuola di massa, evitando la riduzione della qualità dei docenti dovuta alla crescita improvvisa del fabbisogno. Anzi, ha investito per salvaguardarne la qualità accrescendo gli standard per la preparazione e l’abilitazione all’insegnamento.

Lo status dell’insegnante è di alto valore. Nella tradizione confuciana si ricorda che «il re, l’insegnante e i genitori sono uguali». Nella ge- rarchia degli stipendi gli insegnanti si collocano appena al di sotto dei medici, ma sopra gli ingegneri. Gli stipendi sono determinati su base nazionale e tengono conto dell’anzianità, dei crediti professionali e della posizione. Comparativamente le retribuzioni sono elevate: nel 2008 la Corea offre stipendi nell’ordine di 52.666 usd per un insegnante della scuola primaria con 15 anni di esperienza (tra i paesi oecd è tra gli sti- pendi più elevati) con un aumento possibile fino a 84.263 usd. Il rapporto tra stipendio minimo e stipendio massimo è pari a 2,76 (media oecd di 1,71) nella scuola primaria e di 2,77 (media Oecd di 1,71) nella secon- daria (Oecd, 2010a).

L’apprezzamento dell’insegnante è rafforzato dal livello di preparazione raggiunto attraverso una formazione specifica (quattro anni per la laurea e programmi per laureati) da seguire per l’abilitazione e prove altamente selettive da superare per l’ingresso nella professione. Per ottenere l’abilitazione il candidato deve sostenere test e prove scritte, un col- loquio e una prova pratica e la verifica delle competenze informatiche per le scuole secondarie. Le buone competenze disciplinari sono un punto di forza: la riuscita in matematica degli studenti coreani, per esempio, viene fatta risalire al fatto che il 95% dei docenti che insegnano matematica hanno una laurea in matematica o in educazione matematica. Il piano di studi per la formazione iniziale comprende contenuti disciplinari, metodi di insegnamento e metodi specifici per disciplina, lo sviluppo del bambi- no e i processi di apprendimento, la valutazione, l’uso delle tecnologie e l’insegnamento agli studenti con bisogni speciali e di talento.

Le condizioni di lavoro sono coerenti con l’attività professionale. Solo una parte del tempo è spesa in classe; il rimanente è utilizzato per la valutazione, per compiti amministrativi, per lo sviluppo professionale, per incontri con genitori e studenti. Rimanendo a scuola, i docenti condividono ambienti collettivi favorevoli alla collaborazione. C’è una progressione nella carriera (assistant teacher, grade I e grade II) sulla base della formazione e dell’esperienza. La qualità professionale è l’obiettivo dichiarato delle quattro organizzazioni di insegnanti esistenti.

All’inizio della carriera l’insegnante segue un periodo di sei mesi di induction organizzato dalla scuola stessa con apposita supervisione. La formazione in servizio è finanziata dallo Stato. Dopo i primi quattro anni di insegnamento, ogni tre anni l’insegnante deve seguire un corso di almeno 90 ore. Dopo i primi tre anni di esperienza lavorativa gli insegnanti possono concorrere per la frequenza di un corso di cinque settimane (180 ore) per ottenere una certificazione avanzata che comporta un aumento di stipendio e permette la promozione a dirigente o vicedirigente. Opportu- nità di sviluppo professionale sono offerte a scuola e on line, con la par- tecipazione a learning communities (Mourshed et al., 2010: 52). Edunet è un servizio on line di insegnamento e apprendimento con un Digital Library Support System e già nel 2003 l’80% dei docenti era coinvolto. Ci sono incentivi per colmare il fabbisogno di insegnanti e promozioni per chi è disponibile a lavorare in contesti particolari.

 

1.4. L’agenda per il futuro alla prova della realtà

La definizione di visioni rivolte al futuro è ricorrente, dalla Charter of National Education nel 1968 al Cultivating Koreans to Lead the 21st Century nel 1985: più che dalle leggi riguardanti la scuola, l’evoluzione è scandita da manifesti contenenti le priorità politiche. Questi documenti testimoniano i passaggi dalle preoccupazioni quantitative iniziali alla ri- cerca di qualità dei decenni successivi.

La critica di rigidità eccessiva, di enfasi sul rote learning and memorization (Stevenson, 1992), i nuovi bisogni di una società caratterizzata dall’ubiquità dell’innovazione e dalla centralità della conoscenza, uniti alle preoccupazioni per le conseguenze dello stress scolastico sugli stu- denti7 e per l’insostenibilità di alcune pratiche didattiche datate e contra- rie alla sensibilità di oggi, quali le punizione corporali (Brown, 2009)8, hanno determinato una riformulazione del discorso politico sulla scuola. Nel recente documento base Major Policies and Plans for 2010 del Mini- stero dell’Educazione, Scienza e Tecnologia (mest, 2009b), questi nuovi orientamenti trovano chiara espressione:

«Across all levels of education from primary school to university, the focus of education will be on helping students to self-identify their potential and release creativity. Rather than simply delivering knowledge and information, education will essentially aim at drawing forth the vast ability that lies within each student» (Mest, 2009b: 2).

Questa nuova retorica segna uno stacco dalla scuola rigida e oppressiva; da questo punto di vista i risultati nelle indagini internazionali, senza dubbio, considerati con attenzione (kice, 2010), non sembrano essere una garanzia sufficiente. Le nuove linee di lavoro comprendono l’alleg- gerimento dei contenuti, la riduzione delle discipline e l’attenzione al «character building and creativity in the core subjects of Korean lan- guage, math, social studies and science, such as communicative skills, awareness of cultural diversity, problem-solving ability, and the capacity for team research» (Mest, 2009b: 2).

Non mancano indicazioni organizzative e di metodo. «As part of the regular school curriculum, creative hands-on experience activities will be provided three hours per week for primary and middle school students and four hours per week for high school students», nonché la revisione delle pratiche di valutazione:

«The student performance system will be improved so as to better assess the creativity development of students. School records will include a more detailed and accumulated account of students’ various experience-based extra-curricular activities including creative writing, crafts, discussions, pre- sentation, experiments, etc., which may later be utilized as information for university admission» (Met, 2009b: 3).

La prospettiva di un creativity oriented school environment appare ambi- ziosa, coerente con le aspirazioni di un Paese proiettato nel futuro (Kim, 1997), praticabile in un sistema amministrativo e culturale capace di rag- giungere traguardi importanti. Nei prossimi anni sarà possibile esami- nare se la sfida lanciata di rivisitazione del modus operandi della scuola nei termini indicati avrà avuto successo. In ogni caso, la scuola coreana pare non accontentarsi delle ottime performance nel testing internazio- nale che amministratori e policy-makers di altri Paesi sono affaccendati a inseguire.

2.Thinking Schools, Learning Nation: la scuola di Singapore

Hub globale e piccola città-stato, Singapore nel 2009 conta 354 scuole, in cui lavorano 29.875 docenti (un quinto ha meno di 30 anni) e 6.446 collaboratori amministrativi per 512.594 studenti. La scuola primaria (6- 12) dura sei anni con un esame finale superato ogni anno da oltre il 98% degli alunni, con funzioni di orientamento alle opzioni successive. La scuola secondaria di quattro anni (12-16) è articolata in tre percorsi fon- damentali (accademico, tecnico ed express course che porta direttamente all’esame di ‘O’ Level) a cui segue l’accesso al college pre-universitario. Negli anni Sessanta e Settanta l’istruzione tecnica (a livello secondario con il corso tecnico o a livello post-secondario con gli Istitutes of Tech- nical Education) ha svolto un ruolo decisivo, mentre sono numerose le misure per facilitare la mobilità sociale dei giovani. Esistono poi scuole per studenti di talento (School of Science and Technology, nus School of Mathematics and Science, Singapore Sports School e School of Arts) e altre iniziative formative per raggiungere qualifiche professionali (Lai Cheng, 2007).

Dal 1995 al 2007 gli studenti di Singapore si collocano al vertice per matematica e scienze nelle indagini timss con il 90% degli studenti al di sopra dei valori medi dell’insieme dei Paesi partecipanti. I risulta- ti confermano il superamento delle difficoltà del passato (Dixon, 2005) tenendo conto che meno del 50% degli studenti parla in casa inglese, lingua utilizzata per i test. L’emergere internazionale della scuola di Singapore (Mourshed et al., 2010) ha molti determinanti. Il modello di dynamic governance (Neo e Chen, 2007) e di state-directed economic growth (Huff, 1999) e l’approccio strategico (Think ahead, think again and think across), secondo gli analisti, hanno assicurato dinamismo tra- sversale e garantito l’efficace implementazione delle decisioni. I processi di modernizzazione, che in pochi decenni hanno cambiato la fisionomia della città-stato, interessano la scuola nel momento in cui «the government began to run the educational system on managerial (as opposed to academic or collegiate) principles» (Ghesquiere, 2007: 77). La stabilità politica permette la permanenza nel tempo di strategic e system leaders (Mourshed et al., 2010: 108) anche se il regime politico a partito unico9 non è privo di criticità.

La storia recente della scuola a Singapore parte dal 1965, anno in cui il Paese diventa una Repubblica indipendente. Data la situazione di partenza – senza scuola obbligatoria e tassi ridotti di passaggio dalle secondarie all’università – il primo obiettivo è stato quello di assicurare l’istruzione, muovendo dall’eredità britannica (scuole d’élite per studenti da inviare alle prestigiose università inglesi) e affrontando la pluralità linguistica e culturale. Essendo il capitale umano accanto alla collocazio- ne geografica l’unica risorsa naturale a disposizione del Paese, l’investi- mento in educazione è la strada obbligata per la sua affermazione in un mondo competitivo e globale10.

2.1. Capitale umano e crescita

Nel 1979 c’è la prima importante ondata di riforme sulla base del rapporto redatto da Goh Keng Swee11, l’economista pragmatico a cui si deve l’architettura del sistema pubblico del Paese. Considerato lo strategic leader per le riforme degli anni 1980 (Mourshed et al., 2010), Goh, diventato ministro dell’educazione, sostituisce, con un gruppo di system engineers, tutta l’alta direzione per assicurare controllo diretto anche in vista dell’imposizione di scelte impegnative (reintroduzione di un regime di streaming, avvio di una politica di bilinguismo) ed efficacia operativa. All’insegna di un approccio efficiency driven il sistema scolastico viene impostato su basi selettive, con la diversificazione dei percorsi sulla base degli esiti agli esami e lo stretto collegamento con i bisogni dell’economia. Dopo la scuola primaria gli studenti, sulla base della valutazione, vengono ‘canalizzati’ nei diversi percorsi generalisti, tecnici e professionali. Diminuisce così la dispersione e migliorano i tassi di superamento degli esami. Si espande la formazione professionale per contrastare il drop out e per assicurare a tutti, all’uscita dai cicli formativi, competenze che abbiano mercato. Alla fine degli anni 1980 il 10% frequenta la formazione professionale. Fino alla metà degli anni Ottanta solo il 10% della classe di età 20-24 aveva accesso ai politecnici o alle università. La pressione sugli studenti rimane elevata, come la preoccupazione delle famiglie per la carriera scolastica dei propri figli. I valori del rigore, della meritocrazia e dell’efficienza, affermati dalla classe dirigente, uniti alla tradizione di rispetto dell’autorità e della mandarin class (Ghesquiere, 2007), rendono possibile una gestione del sistema scolastico in raccordo stretto con i programmi di sviluppo economico: si forma così una generazione di manager e si preparano i tecnici necessari per lo sviluppo industriale, evitando la formazione di quote di diplomati o laureati senza sbocco occupazionale.

Il funzionamento dell’istruzione segue un modello di produzione industriale. Il Curriculum Development Institute (Cdis) predispone materiali strutturati (piani di lezione, manuali per gli insegnanti e workbook per gli studenti, schemi di attività o esperimenti, video per iniziare le lezioni) per ogni classe e organizza la preparazione degli insegnanti per il loro utilizzo. Gli insegnanti redigono rapporti settimanali al capo di istituto e gli esami diventano determinanti per la progressione.

Sebbene il sistema non conosca una vera e propria crisi, le rigidità delle imposizioni curricolari e i limiti di accesso ai diversi livelli di istruzione diventano con il tempo inaccettabili di fronte alle richieste dell’economia della conoscenza, alla necessità di creatività e di flessibilità mentale che le scuole non riescono sempre a sviluppare. A questo si aggiungono le difficoltà di trovare insegnanti qualificati mentre le dimen- sioni delle classi rimangono elevate. L’approccio fortemente prescrittivo entra in crisi verso la metà degli anni Novanta, quando si fa strada una prospettiva rivolta a coltivare e aiutare ogni singolo studente a sviluppare completamente le proprie potenzialità. Successivi ministri, molto assertivi secondo la tradizione, segnano la svolta verso una gestione ability driven della scuola. Le scuole sono sollecitate a uscire dai programmi rigidi, a superare l’insegnamento in funzione della valutazione standardizzata e considerare le potenzialità di ciascuno studente nonché la rilevanza globale delle competenze da sviluppare.

Cresce l’investimento pubblico che oscilla tra il 4% e il 6% del pil avvicinandosi ai livelli di spesa del Giappone e degli usa, che in quegli anni sono di riferimento. Nel 1996 il Paese adotta una politica di bi-inguismo con l’imposizione di una scelta tendente a contemperare le esigenze prevedibili dello sviluppo e le radici culturali della popolazio- ne. Mentre prima l’insegnamento avveniva nelle quattro lingue ufficiali (inglese, cinese, malay e tamil) con sezioni separate, dal 1996 tutti sono obbligati a studiare l’inglese e a mantenere la propria lingua materna con ore aggiuntive di insegnamento. Gli slogan Thinking Schools, Learning Nation (tsln) nel 1997 e Teach Less and Learn More (tllm)12 nel 2004, lanciati dal Primo ministro, riassumono i nuovi temi e l’approccio al cambiamento nelle scuole. L’invito rivolto agli insegnanti a ‘insegnare di meno’ in modo che gli studenti possano ‘impare di più’, è «in its essence a shift in epistemological beliefs, leading to changes in pedago- gical practices» (Ng, 2008: 12).

In questo contesto (Neo e Chen, 2007), sotto l’influenza statuniten- se e inglese, si impone una forte marketization dell’istruzione, all’inse- gna dell’autonomia e della competizione. Si creano scuole indipendenti (1988), viene data più autonomia ad alcune scuole (1994), si attivano nel 1997 reti di scuole per lo scambio di esperienze positive, si costruisce il modello di excellent school (Ng, 2003). Vengono create scuole speciali per lo sport, per l’arte, per la matematica e le scienze. Per favorire scelte informate da parte dei genitori, dal 1992 tutte le scuole secondarie sono poste su una graduatoria pubblica sulla base di comuni criteri (risultati agli esami di General Certificate of Education – Ordinary Level, il va- lore aggiunto della scuola e la performance nel National Physical Fit- ness Test). Si investe sulle infrastrutture scolastiche soprattutto nel campo dell’information technology13 e del miglioramento degli edifici scolastici.

 

2.2. Organizzazione, curriculum e valutazione

Nel periodo 1959-1978 le preoccupazioni sono di sopravvivenza, data la vastità di problemi da risolvere per accogliere il numero crescente di stu- denti, per far fronte alla necessità di creare nuove scuole e per assicurare docenti in numero adeguato al fabbisogno. Nel successivo arco di tempo, dal 1979 al 1996, la priorità diventa il superamento dei problemi creati dall’espansione precedente (abbandono scolastico, risultati scadenti, ele- vato gap tra gli studenti) e la ricerca di efficienza. Nel 1980 si impone l’approccio molto prescrittivo fortemente legato al libro di testo e agli esami da superare. Nel momento in cui aumentano i livelli di riuscita e diminuiscono le disuguaglianze tra gli studenti in termini di apprendi- mento (risultati questi confermati dagli esiti delle indagini timss già nel 1995 e nel 1999), si apre la stagione nuova accennata.

La rimozione dello streaming, la previsione di curricula più estesi e integrati, l’enfasi sulla creatività, il contenimento del peso degli esami, l’apprendimento comunicativo della seconda lingua, interventi massic- ci sulle tecnologie segnano il passaggio from rote learning to thinking schools (Darling-Hammond, 2010). Per la matematica, l’approccio adot- tato all’insegna dell’higher order thinking, self-reflection, self-regulation (Fan e Zhu, 2007) diventa un brand internazionale conosciuto come Sin- gapore Math14.

Diversità e flessibilità offrono a ogni studente maggiori opzioni. Con la riforma tsln (Thinking Schools, Learning Nation) anche l’imposta- zione curricolare segue l’approccio ability driven (Tripp, 2004): inse- gnamento esplicito delle critical and creative thinking skills, riduzione di contenuti disciplinari, revisione delle modalità di valutazione, maggior enfasi sui processi nel valutare le scuole (Ministry of Education, 1997a).

2.3. Le professioni per l’insegnamento

Mirata all’efficienza (Oecd, 2011b) è la politica delle risorse professio- nali. I candidati all’insegnamento sono individuati nella fascia degli stu- denti migliori (McKinsey, 2007) e selezionati per un percorso di quattro anni di formazione iniziale, curato dal National Institute of Education (nie), durante il quale sono stipendiati dal governo. Dal 2001 è maggiore l’enfasi sulle competenze pedagogiche, aggiuntive a quelle disciplinari. Per gli insegnanti elementari è richiesta la padronanza di una disciplina e la preparazione per le materie fondamentali: inglese, matematica, scien- ze e studi sociali.

Ricche e diversificate sono le opportunità di sviluppo professionale (risale al 1998 l’avvio del Teachers’ Network) con soluzioni innovative (learning circles, laboratori, ricerca-azione, reti di Professional Learning Communities). Sono offerte annualmente a tutti i docenti 100 ore di formazione in servizio oltre alle 20 ore settimanali di lavoro collaborativo con i colleghi. La carriera prevede lo sviluppo come specialista currico- lare, come mentore per gli altri insegnanti o come dirigente scolastico, e viene accelerata per i migliori insegnanti. Gli stipendi sono al di sopra dei valori medi e sono competitivi (oecd, 2011b): la retribuzione iniziale dell’insegnante è la stessa riconosciuta a medici, ingegneri e avvocati che entrano nel settore pubblico.

C’è una strategia per l’individuazione dei potenziali leader: i docenti con potenzialità vengono assegnati a posizioni intermedie e frequentano un corso base di quattro mesi (Management and Leadership in Schools) presso il nie (National Institute of Education) per candidarsi a ruoli di vice-direttori e, dopo un ulteriore programma, possono essere scelti per la direzione. Esiste dal 2007 un sistema di mentoring. Tutte le posizioni di leadership fino al livello di direttore generale sono posizioni profes- sionali e rientrano nella struttura delle professioni per l’insegnamento.

2.4. Desired Outcomes of Education: potenzialità e criticità di una sfida

La generalizzazione della riforma tllm (Teach Less and Learn More) è un impegno di lunga durata (Ng, 2008). In un documento sulle compe- tenze per il xxi secolo alla domanda «How do we prepare our children today to thrive in a future driven by globalisation and technological advancements?» si risponde con una retorica generica e quasi moraleg- giante: «We want to nurture each child to become a: Confident person…, Self-directed learner…, Active contributor…, Concerned citizen…» (Ministry of Education, 2010). Le tassonomie ricorrenti lasciano il posto a un diverso codice di declinazione delle competenze. In The Desired Outcomes of Education, le attese nei confronti della scuola sono riassun- te in termini di qualità degli studenti. Per esempio, a conclusione della scuola primaria gli studenti devono essere in grado «to distinguish right from wrong, know their strengths and areas for growth, be able to cooperate share and care for others, have a lively curiosity about things, be able to think for and express themselves confidently, take pride of their work, have healthy habits and an awareness of arts, know and love Singapore» (Ministry of Education, 2009: 2).

Questa costruzione delle visioni sfugge ai rischi della retorica nella mi- sura in cui si accompagna a una efficiente struttura amministrativa, in grado di implementare le decisioni prese. È cruciale da questo punto di vista la ricerca sulla transizione dalle intenzioni politiche, esplicitamente formulate nei documenti di visione e ripresi nelle dichiarazioni dei po- litici, alle pratiche in classe e nelle scuole. Tra gli studiosi non mancano i richiami alle cautele sulla possibilità di cambiamenti di cultura profes- sionale tra i docenti (Tan e Gopinathan, 2000) e la consapevolezza della complessità delle modifiche di pratiche didattiche. Infatti:

«Why should a teacher use two hours to allow students discover a concept for themselves when he can use one hour to teach it and another hour to drill the students to practice-perfection, especially when it is likely that the ex- aminations will test the latter than the former?» (Ng, 2008: 12).

Una riforma richiede molto dai docenti chiamati a passare da implementer a developer. I successi nel testing internazionale testimoniano capacità ed efficacia; in una situazione in cui tuttavia si è a lungo considerato, da parte dei genitori e dell’opinione pubblica, il successo in termini quanti- tativi, diventa difficile spostare il focus sulla qualità.

Il curriculum nazionale e le valutazioni periodiche limitano, al di là delle intenzioni, la discrezionalità, impedendo di fatto il ridimensiona- mento, ad esempio, dell’insegnamento per discipline. Peraltro i dirigen- ti, se responsabili dei risultati degli studenti nelle valutazioni di sistema, non sono propensi a uscire troppo dal mainstream curriculum. Il national ranking delle scuole15, inoltre, invece di favorire la diversità, può spinge- re la focalizzazione sulle discipline oggetto di test. Il successo, tuttavia, nelle indagini timss conferma che gli studenti sono preparati al creative problem solving e alle domande a risposte aperte. Gli anni futuri diranno se le intenzioni si saranno tradotte in realtà e con quali effetti reali (Ng, 2008).

A Singapore, piccolo Paese, multietnico e plurilingue e con la scuola selettiva del passato coloniale, tutta la politica educativa post-coloniale ha avuto lo scopo di dare a tutti i cittadini la possibilità di svolgere un ruolo. La convergenza di un ethos ugualitario, della necessità di integra- re i diversi gruppi etnici e della cultura meritocratica e competitiva del mondo degli affari è un aspetto non secondario dei risultati elevati nei test standardizzati ottenuti da un sistema scolastico che è diventato parte integrante dello sviluppo economico e tecnologico del Paese (Guesquie- re, 2007). Nel momento in cui questa sfida storica è superata, altre si van- no ponendo. Già nel 2000 Tan e Gopinathan affermavano che «a desire for true innovation, creativity, experimentation, and multiple opportuni- ties in education cannot be realized until the state allows civil society to flourish and avoids politicizing dissent» (Tan e Gopinathan, 2000: 10), riconoscendo che la riforma della scuola per far fronte ai nuovi bisogni costituisce, proprio per questo, una questione che tocca il cuore di un Paese.

3.Asian ways: convergenze e divergenze

L’esplorazione di due Asian tigers consente alcune prime annotazioni sulla pluralità dei processi e delle strategie genericamente comprese nella parte sommersa dell’iceberg dell’Asian way al cambiamento in educazione.

I comuni stereotipi, dalla dominanza del rote learning alla rigidità dei metodi, richiamano nodi non ancora del tutto sciolti, dagli effetti del- lo stress scolastico alle punizioni corporali, dalle lezioni private al peso delle valutazioni; sono però fuorvianti rispetto alle situazioni più recenti. Ci sono evidenze che obbligano a una diversa lettura. A proposito della contrapposizione, nelle culture dell’insegnamento, tra la ‘trasmissione diretta’ e l’approccio ‘costruttivistico’, nel rapporto talis (Teaching and Learning International Survey) si legge che «countries differ in the strength of teachers’ endorsement of each of the two approaches. The preference for a constructivist view is especially pronounced in Austria, Australia, Belgium (Fl.), Denmark, Estonia and Iceland. Differen- ces in the strength of endorsement are small in Brazil, Bulgaria, Italy, Malay- sia, Portugal and Spain. Hence teachers in Australia, Korea, north-western Europe and Scandinavia show a stronger preference for a constructivist view than teachers in Malaysia, South America and southern Europe. Teachers in eastern European countries lie in between» (oecd, 2009: 94).

Si può, inoltre, richiamare l’influenza della pedagogia progressista statu- nitense di John Dewey e di Jerome Bruner nella scuola coreana. Soprat- tutto le nuove agende, espresse nei documenti di policy citati, segnano una svolta nelle intenzioni e un comune sforzo all’insegna della flessibilità e della creatività, pur all’interno di modelli diversi di governance: dalle filosofie della competizione nella città-stato all’organizzazione sistemica che esclude la school choice (Cheng, 1992-93) in Corea, dai sistemi di accountability di Singapore all’evoluzione dei modi e delle forme di valutazione nelle scuole coreane.

Le due Asian tigers condividono sistemi scolastici solidi, con risorse finanziarie non elevate ma stabili, con politiche per le risorse professionali, non ferme agli incentivi o a stipendi rispettabili, bensì rivolte a catturare e coltivare talenti. In entrambi i Paesi, disomogenei in ragione delle dimen- sioni e della storia politica, è determinante il collegamento funzionale tra l’elaborazione politica, l’efficacia dell’implementazione e la capacità di tradurre obiettivi di sistema in obiettivi di scuola (Hallinger, 2010). «In dieci anni anche le montagne si muovono» recita un proverbio coreano, il- luminante per sottolineare l’importanza della continuità e stabilità politica, da un lato, e della permanenza nel tempo di strategic leader, dall’altro. I nodi irrisolti della scuola coreana e le criticità delle prospettive di Singa- pore dimostrano, tuttavia, che non ci sono aree felici come le classifiche internazionali potrebbero ingenuamente far pensare. Sia la scuola coreana sia quella di Singapore, pur rientrando nei Paesi d’élite nella nuova geo- politica dell’educazione, si trovano a lavorare duramente per liberare gli studenti da modelli rigidi, test-driven e impositivi perché diventino più creativi, imprenditivi, autonomi e capaci di pensiero critico.

L’orizzonte globale svela la ricca trama di sviluppi paralleli e di policy borrowing anche nelle politiche educative. Se il trasferimento di policy è problematico, alcune pratiche positive, a livello di scuola e di decisioni politiche, provenienti dai casi di Singapore e della Corea, sono di interesse per gli analisti delle politiche pubbliche. Il testing internazionale, in entrambi i Paesi, viene seriamente considerato. Le nuove agende, tut- tavia, denunciano la fallacia di strategie costruite in funzione di risultati da raggiungere nei test standard. Le performance elevate degli studenti sono l’esito, collaterale, di complessi processi con forti peculiarità all’in- terno di ciascun Paese. Servono ben altre categorie per comprendere l’ar- chitettura invisibile alla base della scuola di Singapore o le persistenze culturali che generano l’education fever dei coreani.

La centralità della questione educativa ispira le aspettative e i com- portamenti dei diversi attori, dagli studenti ai genitori16. Nel 1990 la Corea prevale per il commitment to education su Paesi come Danimarca, Germania, Italia, Giappone, Svezia, Svizzera, usa e Regno Unito (Kim, 1997). Se nel caso di Singapore l’istruzione può apparire una second or- der issue funzionale allo sviluppo, industriale e tecnologico, il processo di innovazione, metodologica e pedagogica, ha conquistato spazi e va- lenza autonomi, come dimostra l’esperienza del Singapore Math.

Le recenti visioni strategiche si inseriscono in uno scenario più generale di rovesciamento di priorità.

«They (Chinese Taipei, Hong Kong, Japan, Korea e Singapore) seemed eager to abandon what the rest of the world particularly the United States, would love to have: a rigorous, coherent, systematic math and science cur- riculum instead of inquiry-based constructivism-driven, child-centred, pro- gressive math and science education, which many American educators now seem similarly eager to throw away» (Zhao, 2005: 220).

L’ethos egualitario e meritocratico di origine storica e culturale si salda con gli imperativi dell’economia e di un mercato delle risorse umane molto competitivo (Kang e Hong, 2008) e aiuta a capire l’equilibrio rag- giunto tra eccellenza ed equità. Nell’indagine pisa del 2009 (invalsi, 2010) la percentuale di studenti che non raggiungono il secondo livello in matematica sono l’8,1% nel campione coreano e il 9,8% per le scuo- le di Singapore, contro il 25% degli studenti italiani (24,8% è il valo- re medio dei Paesi partecipanti). A livello elevato nelle competenze in matematica (5° e 6° livello) si trova il 25,5% degli studenti coreani e il 35,6% degli studenti di Singapore (il campione italiano si ferma al 9,0% e il valore oecd è 12,7%). Inoltre, oltre il 50% per la Corea e quasi il 40% per Singapore (per l’Italia il 30%) degli studenti provenienti da un background di svantaggio sono resilienti (cioè studenti svantaggiati che raggiungono punteggi elevati) (oecd, 2011a). Dal punto di vista della va- riabile del genere, la differenza tra maschi e femmine per la matematica è di 3 punti per la Corea, 5 per Singapore, raggiunge i 15 punti per l’Italia e per i Paesi oecd. Per la variabilità tra le scuole i valori per la lettura sono di 31,6 per la Corea e di 39,1 per Singapore (77,3 per il campione italia- no e 41,7 per l’insieme dei Paesi oecd); cresce la variabilità interna alle scuole (61,0 per la Corea e 71,5 per Singapore contro il 47,2 per l’Italia e il 64,5 per l’oecd). Da tempo, infine, esiste una strategia dedicata per gli studenti di talento sia a Singapore che in Corea (Han, 2007).

Con le approssimazioni proprie delle letture sinottiche, queste note confermano l’interesse per l’analisi della scuola coreana e di quella di Singapore anche per contrastare il pessimismo occidentale (Ng, 2008). In questa ottica, oltre all’esame dell’impatto dei diversi sistemi politici sulle decisioni in educazione e all’analisi delle radici storiche delle culture educative, sono da investigare i processi di costruzione delle politiche educative per una lettura integrata dei complessi intrecci tra i fattori in campo. Alcune pratiche positive possono, peraltro, arricchire il patrimonio di soluzioni a disposizione dei policy-makers, evitando stereotipi e senza cadere nella tentazione della rincorsa a un Asian way che ancora attende di essere perlustrato in profondità (Hallinger, 2010).

Note

1.Va precisato che i punteggi conseguiti nei testi dei sistemi internazionali di valutazione in alcune discipline non sono necessariamente misure valide e accurate della qualità dell’educazione con elevato valore predittivo sullo sviluppo del Paese.

2.La Corea del Sud e Singapore sono due realtà molto diverse tra di loro. Paese di dimensioni medie (100.000 Kmq) con una popolazione di circa 50 mi- lioni la Corea del Sud, città-stato con 5 milioni di abitanti e un’elevata densità demografica (7.600 abitanti per Kmq), Singapore.

3. Occorre ricordare che all’inizio degli anni Cinquanta la popolazione di religione cristiana era inferiore al 3%; negli anni Ottanta supera il 30% (Hun- tington, 1996).

4 In una ricerca empirica recente condotta tra gli studenti coreani viene mes- so in evidenza il rischio che la motivazione per lo studio della musica, che co- munque rimane elevata, non trovi modo di esplicarsi compiutamente nelle sue potenzialità (Seog et al., 2011).

  1. 5  Si veda Han Sang-hee (2011).
  2. 6  Si veda il progetto Enkey per l’insegnamento della lingua inglese con un

robot sviluppato dal kist (Korean Institute of Science and Technology).

7 Il tasso di suicidi tra gli studenti è il più elevato tra i Paesi oecd e la pres- sione derivante dagli studi è il fattore più comunemente associato. Numerose azioni di contrasto sono in atto da parte delle autorità.

8 Recenti disposizioni ministeriali hanno bandito le punizioni corporali ri- chiedendo alle scuole di definire regole alternative alle punizioni corporali in collaborazione con i genitori e gli stessi studenti (Koreatimes, 4 marzo 2011).

9 Dal 1968 al 1997 il supporto elettorale del People’s Action Party (pap) è sempre stato maggioritario pur scendendo gradualmente dall’84% dei suffragi nel 1968 al 65% nel 1997, e, nonostante le regole sulla composizione del Parla- mento, l’opposizione ha avuto sempre un peso marginale.

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SCUOLA DEMOCRATICA – n. 4 nuova serie

10 Nel 2011 il World Economic Forum (2011a) colloca al secondo posto Sin- gapore nella graduatoria tra 142 Paesi per livello di competitività.

11 Nel rapporto (Ministry of Education, 1979) vengono identificate le sfide che attendono il Paese: il ridotto tasso di passaggio dalla scuola primaria alla secondaria (il 30% degli alunni non proseguivano), il basso livello di istruzione, la povertà e la variabilità degli strumenti per l’insegnamento. Le raccomandazio- ni del rapporto hanno informato trenta anni di sviluppo della scuola del Paese. Goh Keng Swee, già ministro delle finanze e della difesa, è un outsider nel 1978 quando diventa ministro dell’istruzione.

12 Lo slogan deriva dal discorso del Primo ministro Lee Hsien Loong nel 2004: «We have got to teach less to our students so that they will learn more». È diventato la frase simbolo di una azione innovativa nel sistema scolastico di Singapore.

13 Singapore è Paese leader per diffusione e uso delle tecnologie dell’infor- mazione e della comunicazione (World Economic Forum, 2011b).

14 L’espressione Singapore Math diventa popolare nel 2000 negli usa per indicare i programmi, e i relativi testi (Primary Mathematics series), di mate- matica seguiti dagli studenti di Singapore, sull’onda dei successi nelle indagini timss (American Institutes for Research, 2005).

15 Ministry of Education (1997b).

16 Èimportanteevitareognisottileformadideterminismoculturaleperspie- gare le vicende dei sistemi scolastici delle Asian tigers. Si vedano in proposito le osservazioni di Sen (2006) in relazione alla necessità di evidenziare l’intreccio delle politiche con le radici culturali, proprio discutendo delle ragioni alla base della modernizzazione della Corea.

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Abstract: International testing programs (timss, pisa) have modified the edu- cational landscape. A few Asian countries are centre stage for their high per- forming students, well above many of the European countries. This has lead to a growing interest in the quality, features and policy strategies behind such persistent, and excellent, results. This short essay develops a preliminary and descriptive approach to the school of two of the so-called Asian tigers (Republic of Korea and Singapore), different for dimension and history but with a common high standing in the international leagues tables. It provides an overview of the cultural, social and economic roots of their school systems and deals with the main internal factors that seem to be influential, i.e. an efficient teacher policy and a well-designed and implemented curriculum. Weaknesses and critical as- pects (school stress, rote learning) are pointed out while recent policy agendas, calling in both countries for flexibility and creativity, are mentioned. The paper identifies similarities and dissimilarities among Singapore and the Republic of Korea and by discussing the educational zeal of Korean students and the ability- driven approach of decision-makers in Singapore, it offers a starting point for further research and analysis that are in great need. The Asian way still remains under scrutiny.

Keywords: Educational Cultures, Teacher Policy, Asian school systems, Eco- nomic growth, Innovation and technological development.

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