Il pensare positivo

L’istituzione dell’insegnamento nazionale, questo è chiaro, ha bisogno di investimenti economici, alla scuola servono fiducia, entusiasmo, amore per il grande potere della conoscenza. Serve un investimento etico ed emotivo.” (p.9)

L’essere ottimisti sulla scuola non è atteggiamento diffuso, soprattutto sui media. Guardare positivamente, tuttavia, rimane un’ottica attraente, quasi ricercata perché significa, paradossalmente, andare controcorrente. In qualche misura si impone oggi nel momento in cui si riscopre, anche fisicamente, il senso dimenticato dell’andare a scuola dopo i due anni di altalenante confinamento da pandemia. Appaiono così fuori luogo la “triste inerzia”, il “silenzio condiviso”, lo “sconcerto” e la “mancanza di fiducia nel futuro” (p.8) che hanno dilagato, e dilagano, nelle narrazioni sui giorni di scuola. Ricostruire una visione gradevole, confortante e conciliante di un’istituzione spesso sotto attacco è un ingrediente per il riemergere della speranza. Riconcilia, peraltro, anche con quel tanto di nostalgia che le esperienze scolastiche di molti alimentano pur a distanza di anni.

Gli ottimisti ragionevoli, non inseguitori di chimere idealistiche ma interpreti di realtà in movimento, tendono a condividere temi alternativi a quelli, ripetitivi e non di rado iconoclastici, dei critici a cui le vicende, recenti e passate, del nostro sistema di istruzione hanno fornito spunti e motivi. Questi temi sono i tasselli di un mosaico che ispira la speranza nella scuola a cui affidare la salvezza individuale e collettiva. Sarebbe errato parlare di un buonismo di maniera o di una lettura superficiale e approssimativa di un paesaggio, quello scolastico, attraversato dalle immagini le più svariate. Pur insolito, in verità, il pensare positivo sulla scuola è un modo di accostarsi alla realtà che val la pena di decifrare con attenzione.

Il volume (2021) “La scuola ci salverà” della scrittrice, saggista e poetessa Dacia Maraini[1] non nasconde, fin dal titolo, un’impegnativa ambizione: ricollocare la scuola al centro partendo dagli insegnanti e dagli studenti ben sapendo che se “abbiamo bisogno di futuro” (p.24) è alla scuola che dobbiamo guardare. Edito da Solferino il volume ripropone scritti dell’autrice di rango, distribuiti lungo un ampio arco di tempo a partire dal 2002, comparsi su quotidiani nazionali[2], riviste di settore o come contributi in opere collettanee. Sono raccolti in sezioni dedicate agli insegnanti, all’istituzione scuola e agli studenti. Seguono tre brevi ma incisivi ricordi personali di scuola (Memorie di una studentessa) a conferma del carattere evocativo delle biografie scolastiche. I tre racconti successivi che occupano più della metà del volume, sono la narrazione di intrecci tra la vita di scuola con i rituali e le vicende personali, collocati in tempi e contesti diversi. L’esame è la storia della crescita di uno studente alle prese con la preparazione di un esame, con le dure dinamiche familiari e con l’interazione con una scuola (“la mentalità che si accettava entrando a scuola era qualcosa di opprimente”, p.96) di professori e di amici. Berah di Kibawa è una bambina che rompe le tradizioni e va a scuola per amore dello studio: così da un villaggio periferico della Tanzania approda in Italia con il suo maestro, continua a studiare, ottiene borse di studio e diventa insegnante di geografia. Il bambino vestito di scuro racconta delle giornate di studio con ”i libri sparsi un po’ dappertutto” (p. 167) per recuperare un anno buttato via di un’adolescente interrotta nei suoi dialoghi con Schelling e Hegel da un bambino saccente che irrompe nelle sue giornate e con cui il dialogo si apre e rimane sospeso.

Il compendio di editoriali, saggi e racconti[3] riflette la poliedrica produzione della scrittrice. Rivela, così, un interesse, meno conosciuto, per la scuola che viene da lontano, coltivato da una passione radicata, forse anche nelle esperienze di docente in un Liceo di Palermo o di lavoro con i detenuti di Rebibbia, oltre che dalla generosa frequentazione delle scuole stesse, alcune delle quali citate nel testo[4]. Un libro sulla scuola, peraltro, è coerente con l’impegno civile[5] che ha accompagnato su diversi fronti il ricco itinerario letterario di Dacia Maraini.

L’investimento etico ed emotivo

Scorrendo di pagina in pagina si ritrovano i caratteri del pensare positivo. Emerge un paesaggio tratteggiato della scuola; sullo sfondo o implicite si rintracciano ipotesi di lettura che hanno riscontri nella ricerca e risuonano temi presenti nel dibattito pubblico, ma amalgamati da una incalzante attenzione a quanto resiste nel tempo, nonostante le intemperie, al cuore dell’impresa scolastica. Come sappiamo il benessere della scuola dipende da risorse di vario tipo, da quelle materiali a quelle funzionali, da quelle sociali a quelle culturali[6]. Si potrebbe richiamare la contrapposizione, forse un po’ ardita, tra l’hard power fatto di quote del PIL destinate all’istruzione, di riforme strutturali e di decisioni centrali, e il soft power che trova espressione nel quotidiano della vita nelle classi e nell’impegno di chi vi lavora. Parlando di scuola, la scrittrice afferma la necessità di un “investimento etico ed emotivo” (p.9). Tra le diverse tipologie[7] la nozione di capitale emotivo ed etico in qualche modo riassume quel sentire empatico, partecipato, solidale di chi fatica a scuola. E la scuola è “il più grande investimento di un Paese per il futuro” (p.24), oltre che “la prova del nove di una società che funziona” (p.31). Non è la facile scelta di un’ottica acritica, bensì l’individuazione di criteri per rileggere le debolezze del sistema e per fondare sulle sue potenzialità ipotesi di terapia.

Ripercorriamo questo profilo insolito della scuola richiamando alcuni passaggi del testo.

Dal basso i veri cambiamenti

Per Dacia Maraini il mondo della scuola è anzitutto quello delle classi e delle insegnanti. La salvezza viene dall’ultimo miglio là dove entrano in campo “l’esempio, la fascinazione della cultura e l’intelligenza dei rapporti” (p.20). Questo è il terreno su cui si costruiscono le esperienze autentiche di formazione e l’humus che può alimentare iniziative di svolta. “I veri cambiamenti vengono sempre dal basso, dalle esigenze primarie di chi vive il disagio della crescita, della ricerca del lavoro” (p.60). Anche perché “i mutamenti non possono essere imposti dall’alto meno che meno per decreto. Devono crescere dal basso, come una necessità innegabile che coinvolge tante menti. Tanti corpi e si lega a un progetto collettivo per il futuro” (p.60)

Sotto questa angolazione, la realtà della politica e dell’azione amministrativa appare lontana, fuori dall’esperienza diretta e di difficile interpretazione. Per questo le affermazioni possono essere generiche (“… tutti i governi hanno provato a legiferare, senza riuscire a migliorarla” p.13), i riferimenti, come alla riforma morattiana, un po’ incerti (p.34). E realizzazioni quali il sistema di valutazione con prove standardizzate, una strada imboccata da molti paesi, possono essere minimizzate (“Le prove Invalsi fatte con le crocette e le domande prefabbricate non aiutano a capire il valore dei ragazzi”, p.29).

Come vedremo, la fonte di informazione e di conoscenza della scuola sono anzitutto i contatti, diretti e senza filtri, con chi vi opera e chi le frequenta. Peraltro, scrive Maraini, “ci si ricorda della scuola perché ci si ricorda dei compagni e dei professori”, p.75). I cambiamenti vengono dal basso, ma quando sono maturi vanno promossi per tutto il Paese, così che siano per tutti e per ciascuno.

Gli insegnanti competenti e motivati

Il ruolo degli insegnanti è la sezione più estesa nella raccolta di articoli. C’è un’implicita condivisione empatica se non identificazione dell’autrice nel riferirsi a “i nostri bravi insegnanti”, pagati poco e senza più autorità riconosciuta” ma indispensabili per “tener su la scuola” (p.29). Novelli Colapesce della leggenda siciliana che si immola per sostituire, nel profondo degli abissi, una delle tre colonne che sorreggono l’isola (p.29). Nel momento in cui si discute di valorizzazione della professione docente e di riconoscimento del merito è illuminante la definizione dei buoni insegnanti (“Per buoni si intendono uomini e donne che mettono passione e generosità nel loro lavoro, che conoscono la materia di cui parlano e danno un esempio di impegno e partecipazione” (p.20). Questi sono gli antidoti contro il bullismo (p.20). Il tema della professione docente da anni sotto stress e della sua non sempre avvertita tenuta ricorre in diverse pagine: “Insegnanti motivati nonostante il degrado” (p.20), “straordinari insegnanti che, nonostante la scarsa considerazione, la paga bassa, le frustrazioni, si rimboccano le maniche e danno ai ragazzi fiducia e voglia di apprendere” (p.21). Più avanti Maraini esprime gratitudine invitando ad un ringraziamento collettivo (“dobbiamo ringraziare”, p. 66) per quegli insegnanti del ‘nonostante’ che “pur essendo pagati poco, trattati come fastidiosi ingombri, aggrediti da padri e madri iperprotettivi che hanno perso ogni rispetto per la sacra arte dell’apprendimento, credono ancora nell’insegnamento come servizio e lo portano avanti con passione e con spirito di sacrificio” (pp.66-7). Insegnanti di cui si “parla poco pubblicamente” (p.10).

Di qui, cioè dall’incontro con quanto avviene nelle classi, nei corridoi e negli spazi affollati degli edifici scolastici, deriva l’indicazione per risollevare la scuola: non solo condizioni diverse di esercizio ma decisive risorse immateriali. “Penso che la scuola abbia bisogno di persone preparate, colte e motivate” (p.21) scrive Maraini.

Nelle parole di un insegnante la scrittrice riconosce il dilemma da affrontare ogni giorno e l’angoscia che l’accompagna per la scelta compiuta: “C’è la crisi? Ci sono le aule che cadono a pezzi, i ministri che parlano dei professori come numeretti da macelleria? Non importa. Vorrei provarci” (p.22). La testimonianza continua con un cenno all’io diviso degli insegnanti, “strepitosi e pieni di difetti, stanchi e appassionati che dicono: non ce la faccio più, quando arriva la pensione? In realtà vorrebbero che non arrivasse mai” (p.22). Conseguenti e stringenti sono gli interrogativi che seguono in cui Dacia Maraini fotografa la condizione insegnante, sfibrante e sfidante a un tempo, in termini chiari e diretti: “Ma a chi spetta continuare a proporre idee e memorie? Gli insegnanti scontenti dovrebbero forse andarsene a casa, aspettando che vengano tempi migliori? Aspettando che i politici se la prendano a cuore? Aspettando che le cose si aggiustino da sole per necessità?” (p.22). La sola via d’uscita è “provarci’ anche se può sembrare “perdente” (p.22): un riconoscimento drammatico della durezza del continuare ad essere insegnante, ma profondo e lungimirante sull’animo che nelle classi resiste[8].

Sullo sfondo, Maraini non ignora che ci sono insegnanti quasi estranei, incapaci di comunicare, “assenti e demotivati” (p.20) che tirano a campare, come il professore che legge il giornale o che perseguita lo studente con domande pressanti e puntigliosità da erudito.

Studenti protagonisti del proprio pensiero

Gli articoli e i racconti del volume risalgono al periodo pre-Covid, ma mantengono la loro attualità. “Ho incontrato ragazzi che non corrispondono affatto agli stereotipi che li dipingono inerti, pigri, svogliati e incapaci di pensare in proprio” (p.67): annota la scrittrice chiosando con saggezza che “troppo pessimismo danneggia gli studenti” (p.66) mentre il pensare positivo fa bene. Lo sguardo di Maraini si allarga e nei ragazzi vede i protagonisti, una generazione capace di una svolta, di un “cambio di rotta” (p.65). E sono i ragazzi “le facce nuove, fresche che usano le parole della ragione e della necessità” a fronte di un “Paese imbolsito”, ad una “classe dirigente vecchia”, ai “politici divi del piccolo schermo” (p.59). Paradossalmente, scrive Maraini, sono state proprio le difficoltà e le incertezze di un futuro precario a far venire a galla “la voglia di studiare, di imparare un mestiere, nel prendersi la responsabilità nella costruzione di un futuro comune” (p.59), un’attitudine non colta o ignorata perché nascosta “sotto la coltre di apparente abulia” (p.59).

Osserva, si direbbe compiaciuta, di poter “finalmente” vedere “ragazzi per strada solidali e vicini, nelle piazze seduti in cerchio ad ascoltare lezioni prestigiose, pacifici in corteo per opporsi contro un sistema drastico di cambiamento che piove dall’alto come un ordine odioso” (p.59). Si ritrova “a proprio agio” (p.11) nell’incrociare gli sguardi degli studenti.

Ritorna nel testo la sottolineatura della necessaria simbiosi tra chi insegna e chi apprende: “Nelle scuole in cui gli insegnanti si mettono in discussione, parlano con i ragazzi, li rendono protagonisti del loro pensiero, gli studenti rispondono splendidamente” (p.9). Al contrario “quanto i docenti si trincerano dietro la loro professione che considerano intoccabile e rigidamente costruita, i ragazzi si perdono e diventano preda delle peggiori trappole mediatiche” (p.9). Le conseguenze di una mancata empatia e intesa non sono senza dolori: “Là dove i professori non sono motivati… disistimano il proprio compito… i ragazzi mostrano tutto il loro disprezzo e la loro disaffezione … verso i professori, strapazzati e umiliati” (p.17). Là dove docenti e studenti si allontanano gli uni dagli altri “si consuma la separazione fatta di silenzi, di menzogne, di finzioni, di paure, di segreti solitari e disperati” (p.15). Dai diari e dalle testimonianze degli studenti, infatti, vengono fuori realtà celate e rifiutate da insegnanti e presidi come l’esperienza delle droghe (“ne circolano molte e di diversa natura nelle scuole, con una frequenza e una diffusione che noi non immaginiamo”, p.14).

Partendo dai ragazzi di scuola l’attenzione si sposta sulle prospettive di azione di cui si fanno interpreti i giovani oggi a livello non solo locale ma addirittura globale. Le testimonianze recenti e travolgenti di Malala Yousafzai e di Greta Thunberg sono la più rilevante espressione di un nuovo clima per le giovani generazioni. Per Dacia Maraini Greta “è stata la miccia che ha acceso il fuoco, ma il fuoco stava covando da tempo” (p.65).

Gli stereotipi da contrastare

La scuola è un argomento “pesantissimo”,volatile” (p.13). Non si parla abbastanza di scuola, non si conosce la scuola, non si ha un rapporto diretto con studenti e insegnanti. La terapia non è solo guardare alle scuole che fanno la differenza, ma andare nelle scuole, entrare nelle aule, parlare con gli studenti, ascoltare le loro voci, prendere sul serio le loro istanze. Così si scopre che cosa è la scuola.

La scuola non fa notizia (p.68) se non per i problemi che sorgono, per le criticità che emergono, per i conflitti che genera (p.68). La mediatizzazione della scuola non traduce la realtà quotidiana di un sistema complesso la cui tenuta non può che essere ricondotta a fattori costanti.

Mentre le ripetute lamentele sulla dispersione diventano rituali, Maraini incontra “bambini che sono stati contagiati dall’amore per la lettura, che scrivono, che dibattono, e stanno imparando a riflettere con la propria testa.” (p.67) commentando “proprio quello che dovrebbe fare la scuola”.

Ascoltare per capire

Il mondo della scuola si presta a una pluralità di usi: fornisce scenari per romanzi creativi e realizzazioni teatrali, offre materiale per la produzione letteraria, crea occasioni per compilare best sellers, si presta ad analisi quantitative sempre più avanzate, diventa oggetto di progettazione politica e alimenta controversie ideologiche. Alternativa è la pratica del contatto e del wandering around, cioè dell’andare per scuole in modo non strutturato e senza schede descrittive o moduli analitici. Socializzare con gli insegnanti e, soprattutto, con gli studenti non è impresa facile ma è la chiave di volta per comprendere la scuola, lo stato dell’arte, le tensioni e gli ostacoli, le debolezze e i punti di forza. Saper dialogare presuppone la disponibilità sincera ad ascoltare, a prendere sul serio gli interlocutori, a non scansare le domande imbarazzanti, ad interagire senza rete protettiva.

Dall’esperienza dei dialoghi nelle scuole di Dacia Maraini nasce una lezione, anche di metodo, per chi si occupa di istruzione[9].

Là dove le analisi sui livelli di apprendimento denunciano carenze diffuse (molte delle scuole citate sono collocate al Sud), Dacia Maraini incontra “la spina dorsale” di un “sistema di insegnamento che viene lasciato andare alla deriva” (p.68).

Le scuole sono migliorate

Nessuno dimentica un buon insegnante, era lo slogan di una campagna pubblicitaria nel Regno Unito. Se ne ricordano le manie, i tratti somatici, i modi di fare; gli insegnamenti lasciano tracce di lunga durata. I buoni fondamentali anche di cultura civica come il pagamento delle tasse ritornano nel discutere le misure attuali (p.78). “Il mondo mi faceva paura, ma non la scuola. Mi piaceva l’idea di apprendere” (p.70): la memoria della scuola ha i volti della professoressa di disegno, di quella di storia o del professore di matematica (p.72s).

Contrariamente a chi sfiducia la scuola di oggi risalendo con rimpianto a quella di ieri[10] l’autrice guardando alla propria esperienza di studentessa afferma: ”certamente da allora la scuola è migliorata, perlomeno voglio sperarlo(p.78) anche perché, sostiene, che non è stato  tutto un idillio. Anzi annota “a me sono rimasti dei ricordi sgradevoli e la sensazione che l’apprendimento fosse qualcosa che riguardava soprattutto il doposcuola” p.78). Non manca di richiamare, in coerenza con quanto sostenuto nelle pagine precedenti, che sono i professori a fare la differenza rispetto al passato: un mutamento generazionale perché, scrive, “I professori, forse grazie al Sessantotto, sono diventati più consapevoli e moderni, più attenti e partecipi” (p.78). Affermazioni del tutto contrastanti con chi ha interpretato come declino l’andamento degli ultimi decenni                  appellandosi ad una passata età dell’oro della scuola nel nostro Paese.

Occorre oggi prendere maggiore consapevolezza della realtà. “Nessuno ha mai composto una mappa dell’eccellenze scolastiche” (p.68), scrive Maraini. Un’istanza condivisa e talvolta affrontata seppur non sistematicamente[11], che oggi può essere trattata in modo del tutto nuovo rispetto al passato. L’autrice forse non ha la familiarità necessaria per sapere che esistono ormai base dati in grado di permettere di conoscere la qualità delle scuole, che varie ricognizioni sono regolarmente in atto[12], che nuovi sistemi pur controversi esistono per rendere disponibili ai genitori informazioni pertinenti[13], che esiste un albo nazionale degli studenti eccellenti[14]. E’ vero, tuttavia, che l’”andrebbe fatto un censimento” delle scuole “coraggiose e meritevoli” è un suggerimento da raccogliere.

Tra conflitti e fratture

“Pessimismo, sfiducia stanchezza collettiva” (p.10) sono del tempo presente. Dietro la speranza posta sulla scuola non c’è traccia di un facile buonismo ingenuo. La faccia dura e ostile della scuola, ormai senza “prestigio e carisma” (p.16) non rimane in ombra. Ritorna con frequenza a partire  dai professori che “se non conquistano personalmente, con fatiche immense, una propria autorevolezza, sono trattati come pezze da piedi” (p.16). Una fatica improba quella della scuola, riconosce l’autrice, con conflitti che non si riescono ad evitare e fratture difficili da sanare. Dalla scuola le lezioni “alternative a un modello che la nostra onnipresente televisione tende a diffondere”.

Una scuola che si sta “disgregando” (p.25) “incapace di formare il bravo cittadino, impaurita dalle novità si chiude in sé stessa” (p.25) anche se scrive Maraini con una felice espressione “funziona nonostante sé stessa” (p.16).  Il contrasto è alla radice della situazione di oggi e ad una visione strabica a cui siamo costretti: da un lato “la scuola…, come istituzione, è in forte crisi e non sa dare più niente” ma dall’altro, “resiste e vive per la rete di insegnanti generosi che continuano a offrire tempo e attenzione” (p.27). Non ha dubbi l’autrice che “la scuola come istituzione effettivamente sia ridotta a pezzi” (p.29). Ne deriva, al di là delle intenzioni, una visione decadente e erosiva salvata solo grazie alla prorompente affermazione della forza degli insegnanti creativi e del potenziale innovativo degli studenti. In verità Maraini non manca di richiamare il livello di fiducia che l’istituzione scuola, nonostante tutto, mantiene nel tempo rispetto alle considerazioni pubbliche di altri attori collettivi, dai partiti ai rappresentanti degli interessi collettivi.

Si percepisce una dicotomia, quasi radicale, tra il lavoro degli insegnanti e la scuola, positiva la prima, del tutto negativa la seconda. Ma la contrapposizione è forse solo apparente. Ci sono fratture più profonde che non sfuggono a Maraini. Anzitutto nella concezione della scuola, spazio aperto per cogliere i talenti di ciascuno o arena di competizione per selezionare i migliori: un dualismo nella contrapposizione che porta ad atteggiamenti e a pratiche diverse (“C’è chi ritiene urgente rendere più rigida la selezione lasciando indietro i ritardatari, i deboli: che se ne occupi il volontariato! E chi invece considera civile favorire l’integrazione sostenendo i più svantaggiati”, p.34). Collegata a questa antitesi c’è una divaricazione nel vedere le finalità della scuola stessa: agenzia per sfornare professionisti o dirigenti o istituzione per formare i cittadini (“prima di scodellare dirigenti e professionisti non ha il compito importantissimo di creare una coscienza nazionale, uno spirito collettivo, una etica della conoscenza?” p.34). L’autrice non elabora la questione ma è evidente la scelta che le appartiene rispetto alle alternative di concezione e di finalità della scuola, pur rimanendo restia ad approfondire le politiche di riforma.

Come parlare di scuola

Gli studi sulla mediatizzazione[15] dell’educazione hanno rintracciato costanti nel modo di trattare temi di scuola: la semplificazione delle questioni, la presenza prevalente degli attori dominanti con l’esclusione delle voci dei ‘dominati’, il ritualismo degli interventi (i marronniers della stampa francese), l’immancabile riferimento al ranking dei sistemi di scuola nelle classifiche internazionali. A queste costanti si aggiunge la settorializzazione con il separare le dinamiche generali dal mondo delle classi come una bolla a sé stante e dal riferimenti ai malfunzionamenti con il prevalere di  visioni fratturate dell’istituzione scolastica. Quando, inoltre, alla leva dell’istruzione si attribuiscono compiti ambiziosi senza discernere il fattibile dall’improbabile e dall’impossibile si ha una problematizzazione educativa delle questioni che quasi sempre rivela assenza di approfondimento.

A questi codici della comunicazione mediatica Dacia Maraini sembra sottrarsi con la propria strategia di scrittura. Anzitutto con il procedere selettivo: la salvezza della scuola, ricorda Maraini, riguardare la piaga del femminicidio (“Solo la scuola può salvarci dagli orribili femminicidi”, p.48) e l’immigrazione (“Quell’aiuto che la scuola può dare all’integrazione”, p.49). Con il ricondurre, inoltre, il valore aggiunto della scuola al nucleo centrale dell’interazione tra insegnanti e studenti, a cui dà voce, l’autrice ne isola il fattore cruciale evitando di fare della scuola la soluzione magica di tutti i mali della società. L‘equilibrio e la ragionevolezza, peraltro, le impediscono di allinearsi acriticamente alle tendenze in atto: l’inglese senza servilismo e il caveat rispetto a legami troppo stretti che ne offuscano la laicità. Maraini non scivola, infine, nella facile comparazione approssimativa delle perfomance degli studenti pur non evitando il confronto dei salari degli insegnanti italiani rispetto ai loro colleghi europei.

C’è da ritenere che una scrittura ‘a chiara lettere’ tenga lontano l’autrice sia dai codici della pedagogia sia dal parlare critico della scuola. Dacia Maraini, con la propria statura culturale e con l’innesto nella propria biografia, riesce a coniare un approccio originale, distante mille miglia dalle rigidità dei linguaggi istituzionali ma anche estraneo ai toni accesi dei pamphlets di critica alla scuola[16]. Questa è probabilmente la ragione della sintonia con il mondo di chi fatica nelle classi e del successo dei suoi incontri “sempre felici” (p.9) con ragazzi e ragazze.

Gli interrogativi aperti

Se ci lasciamo prendere dalla prosa efficace della Maraini quasi ci dimentichiamo degli indicatori, degli standard di riferimento, dei livelli di competenza con cui oggi si descrivono e si analizzano i sistemi di insegnamento. Tutto bello quello che avviene a scuola, partecipate le discussioni, attraenti i giornali di classe, rivelatori i diari studenteschi, creativi i progetti, funzionali i laboratori, ma come stiamo a matematica? E a scienze? O a dispersione scolastica? Le scuole menzionate sono quasi tutte scuole collocate nel Sud del Paese, aree che non brillano per qualità dell’istruzione alla luce delle comparazioni. Come si conciliano le propensioni attive degli studenti che affiorano nel dialogo con la scrittrice con i livelli di competenze quali vengono sondati nelle valutazioni strutturate di massa? Il ranking come categoria di analisi di uso corrente può essere fuorviante: ma è possibile prescindere? Le disuguaglianze che si creano a scuola sono inevitabili? Il peso del condizionamento socio-ambientale può essere contrastato? Sarebbe interessante poter vedere l’intreccio tra la realtà dinamica percepita sul campo e le diagnosi ormai disponibili sulla qualità dei sistemi di istruzione.

Non tutti gli studenti hanno un ricco background familiare in cui la lettura e lo scrivere siano costumi apprezzati e coltivati. Così non per tutti la lettura individuale può rivelarsi come un percorso quasi alternativo al regime scolastico e alle sue noiosità. Devono entrare in campo gli insegnanti, occorrono programmi di insegnamento, che siano indicazioni nazionali o linee guida, sono necessari processi di sviluppo delle competenze professionali richieste ai docenti, servono scuole capaci di superare le proprie fragilità. Chissà se la Maraini sa che nelle Indicazioni nazionali del 2010 gli estensori non solo si erano dimenticati di Ignazio Silone, un autore citato nel testo (p.61), ma non avevano menzionato alcuna scrittrice e alcun scrittore meridionali[17].

La prospettiva del bottom-up, cioè dell’energia innovativa che proviene dal campo di azione, ha certamente la sua validità, largamente condivisa[18] oltre che essere confermata dalle ricerche sui processi di implementazione che mettono a nudo le inadeguatezze degli approcci top-down[19]. Tuttavia siamo proprio sicuri che un sistema scolastico possa funzionare per tutti senza una efficace struttura di decisione? Le reti di scuole di eccellenza sono in grado di raggiungere la massa critica necessaria per generalizzare la scuola che vorremmo? Come si smuove quella maggioranza disallineata rispetto a quella che Maraini identifica come la spina dorsale della scuola? Le annotazioni di grande attualità possono non trovare riscontro nelle decisioni amministrative e politiche?[20]

Pur apprezzando il soft power della scuola che assicura positività anche in circostanze sfavorevoli, l’hard power ha la sua rilevanza. La scrittrice per la verità non ignora la dimensione dei complessi problemi di sistema. Mentre stigmatizza la classe dirigente, si domanda perché tagliare risorse alla scuola e non ridurre gli sprechi che ci sono in altri settori (“tagli che eliminano i precari e gli insegnanti di sostegno” p.15) Le scuole soffrono perché abbandonate a sé stesse anche “dal punto di vista architettonico” (p.15): “gli edifici cascano spesso a pezzi, le aule sono sporche, le porte non si chiudono, i gabinetti sono intasati” (p.16). Ribadisce con quel “Gli insegnanti meritano di più” il divario stipendiale rispetto ad altri paesi. Ricordando “i tanti schiaffi dati alla scuola in questi anni di riforme mai realizzate, di promesse deluse, di tagli sconsiderati, di colpevole abbandono” (p.24), si interroga “Ma si può andare avanti contando sulla buona volontà dei meno contro l’incuria dei più?” (p.18).

Nel volume si ritrovano cenni all’inerzia e al malgoverno, segnali di allerta rispetto alle conseguenze per il futuro delle scelte compiute. Rimangono, a dire il vero, interrogativi su come potrebbe essere possibile creare le condizioni perché quello che una minoranza dimostra possibile, diventi costume universale.

E qui si apre la necessità di approfondire le decisioni che possono far superare l’impasse. Se i nodi sono gli insegnanti e gli studenti la loro azione avviene in un contesto di decisioni e di regole che non sono indifferenti. I progetti delle scuole non hanno massa critica per sostenere un cambiamento a largo raggio. Il passaggio dai “pochi” ai “molti” non è facile e a questo servono anche le indagini internazionali per individuare le strategie efficaci e i fattori determinanti. Il pensare positivo deve confrontarsi con i grandi problemi di gestione e di governo dei sistemi scolastici a meno di dare per persa la causa. Ma questa non è la posizione che traspare nelle pagine del volume di Dacia Maraini. In ogni caso una buona politica per la scuola è una condizione necessaria ma non sufficiente. Il nodo da sciogliere è un altro.

L’insopprimibile energia della scuola

Senza escludere qualche rischio di critica, come non manca di ricordare l’autrice (“Sono stata accusata di indulgente ottimismo” p.59) il pensare positivo è una risorsa importante, probabilmente insostituibile: un grand tour nelle scuole è salutare per il visitatore, soprattutto se altamente qualificato, ma anche per gli studenti se l’interazione è autentica e non mediata o formale. Si raccolgono refoli di vento benefico che rigenerano l’idea di scuola e ridimensionano le letture più o meno catastrofiche che continuano ad essere forgiate[21]. C’è un’insopprimibile energia che prorompe quando la cultura prende il sopravvento e la passione per l’apprendere prevale. Jonathan Kozol, un duro fustigatore delle ineguaglianze selvagge della scuola statunitense, ci ha fatto scoprire l’incredibile resilienza degli studenti, la loro tenacia silenziosa e la voglia di apprendere assieme alla straordinaria forza dei docenti che si dedicano al proprio lavoro[22]. Non è un caso che anche i testi di feroce critica alla scuola affidano sempre ad alcune pagine, spesso nel capitolo finale, le speranze dell’innovazione e del cambiamento di rotta ripercorrendo un percorso che ci rimanda alla. struttura della fiaba a lieto fine.

“L’Italia non è (più) un Paese per insegnanti” dichiara Silvia Avallone annunciando la sua uscita dalla scuola, sconfitta dall’insopportabile frustrazione “che ti attanaglia ogni mattina” (p.21) e catturata dall’amore della letteratura[23]. Di segno opposto all’abbandono è il ritorno di una celebrata autrice al tema della scuola e alla frequentazione delle aule. Un rientro nelle classi per svelare un mondo che contrasta la palude dell’indifferenza, della noncuranza, del tirare a campare.

Affermare la centralità dell’insegnante e degli studenti nel paesaggio dell’educazione non significa, tuttavia, dimenticare che i sistemi scolastici sono amministrati e vanno governati. Maraini si ferma agli interrogativi? Non tocca ad una scrittrice discettare di politiche pubbliche per l’educazione e sarebbe un errore attendersi elaborazioni che appartengono alla decisione politica.

La parola ai cultori della scrittura

A fronte del “Tutti parlano male della scuola” (p.16) le voci dissonanti non mancano. Il volume di Dacia Maraini arricchisce di un nuovo contributo la biblioteca dei “libri dell’ottimismo” che con toni diversi e da svariate angolazioni ci riconciliano con l’idea di scuola. Gli approcci sono sensibilmente diversi, dai romanzi di Alessandro D’Avenia[24], a quanto scrive sulla scuola Roberto Vecchioni[25], dalla ritrovata “Ora di lezione” di Massimo Recalcati[26] all’affermazione dell’orgoglio insegnante di Marco Lodoli[27], ma i messaggi sono convergenti. Paradossalmente ci sono risonanze nella potenza rigenerativa della scuola che ispira il C’è speranza se questo succede al Vho (1963) del maestro Mario Lodi. Ben diverse da quanto scrive, per quanto con una prosa accattivante, Silvia dei Pra’ della vita tra i banchi di scuola[28] e lontane dai best sellers basati su produzioni attribuite agli alunni[29] come dalla supponenza dei saggi giornalistici[30].

Un libro che dà la parola a chi lavora in classe, agli studenti (il primo dei racconti è costruito in prima persona) e non ai responsabili politici o agli opinion-makers, si presta a facili critiche. Inevitabile è la riduzione degli enjeux, in favore dei nodi fondamentali. Tra le narrazioni possibili della scuola la strada scelta nelle pagine di Dacia Maraini è quanto mai promettente, non solo per via di una prosa di qualità e molto scorrevole: è un manifesto di pregio per il futuro e un’indicazione di direzione per il lavoro. Le conclusioni, politiche, amministrative e professionali sono da trarre. Dacia Maraini che ha nel suo palmarès un Premio Campiello (1990) e un Premio Strega (1999) oltre a un Premio Campiello alla carriera (2012), illumina la scena, con lucidità e sensibilità. Disponibile all’autocritica: “Nelle scuole i ragazzi mi chiedono continuamente perché gli scrittori non intervengano più spesso nei guai del Paese” (p.61). L’aver dato voce alla speranza della scuola è una indiretta risposta alla domanda provocatoria dello studente, nei dialoghi dell’autrice nelle scuole “Dove eravate voi scrittori…?” (p.61 ).

Potrebbe stupire che, accanto a Dacia Maraini seppur con diversa autorevolezza, a parlare di scuola, direttamente o indirettamente, siano oggi protagonisti della scrittura letteraria, da Paola Mastrocola[31] ad Alessandro D’Avenia da Edoardo Albinati[32] a Maria Pia Veladiano[33] . Per la verità è una tradizione che affonda le radici nel passato[34] con numerosi interpreti nella narrativa della fine del Novecento e dell’inizio del nuovo millennio[35]. Non è forse, di riflesso, la conferma che i tradizionali attori del sistema scolastico mancano di capacità comunicativa? Che il discorso sulla scuola dei tradizionali interpreti (politici, amministratori, opinionisti …) risulta talmente impoverito da non far presa? Nel panorama ricco come non mai di rapporti tecnici, nazionali e internazionali, sui sistemi scolastici, di poderose base dati senza precedenti per l’analisi in profondità, di documenti programmatici redatti a tamburo battente nell’arena politica e di digitalizzazione della comunicazione istituzionale le narrazioni, piane e comprensibili, dei giorni e delle opere di scuola sono rare. Se a parlare di scuola prevalgono oggi i letterati, una ragione potrebbe essere che sono i soli, o quasi, a disporre delle parole necessarie per farlo. Un merito in più, la “partecipazione alla cosa pubblica” (p.63), da riconoscere a Dacia Maraini, figura di assoluto rilievo nella letteratura italiana e interprete civile del vivere sociale. L’“accesso all’ascolto pubblico” (p.63) di cui dispone spiega l’accoglienza che ha avuto il suo libro-manifesto in cui la parola “domani” (p.13) ricompare ricca di significati.

 

[1] Per una panoramica, ampia ed analitica, sulla produzione che spazia dalla letteratura al cinema, dal teatro alla musica, di Dacia Maraini cfr.Aa.Vv. Scrittura civile, Studi sull’opera di Dacia Maraini, Giulio Perrone Editore, Roma 2010.

[2] La maggior parte degli articoli (23) sono comparsi nella rubrica Il sale sulla coda del Corriere della sera.

[3] Come riconosce Dacia Maraini (p.8)  la raccolta è curata da Eugenio Murrali (Phd école des Hautes études en Sciences Sociales, Paris).

[4] Il Liceo scientifico Gioacchino Pellecchia e l’Istituto tecnico Ettore Majorana di Cassino, il Liceo Salvatore >Pizzi e Il liceo Luigi Garofano di <Capua, la scuola elementare Padre Pio di Sacrofano.

[5] In prima linea per i diritti civili, appoggiando le lotte del femminismo, nell’impegno sociale (esperienza con i detenuti di Rebibbia) e nelle posizioni di frontiera tra culture diverse.

[6] In un poderoso studio sul ruolo delle risorse finanziarie per la scuola Grubb distingue tre tipi di risorse: quelle semplici che si possono acquistare sul mercato dei beni e dei servizi, quelle composte che richiedono una catena di decisioni coerenti e quelle complesse che esprimono i fattori immateriali dell’azione in educazione (W. Norton Grubb, The Money Myth. Schools Resources, Outcomes, and Equity, Russell Sage Foundation New York 2009).

[7] Accanto alle categorie del capitale umano, sociale, decisionale e istituzionale (R.D.Putnam, La tradizione civica nelle regioni italiane, Arnoldo Mondadori, Milano 1983), il capitale etico ed emotivo rappresenta quel patrimonio di visioni positive, di impegno ‘nonostante’, che è alla base della vita scolastica.

[8] Questa condizione lacerante dell’insegnante è di lunga data. Oltre dieci anni fa, tra gli altri, Marco Lodoli, scriveva: “ …insegnare è diventato sempre più difficile, sembra quasi di lavorare fuori dal mondo… Però io tengo duro, e i miei colleghi fanno. Altrettanto>: sembra di seminare nel vento, nel nulla, nell’indifferenza, ma in fondo sappiamo che non è vero. Sepolta sotto tonnellate di immagini bugiarde e seducenti, una zolla nella mente dei ragazzi accoglie, incamera, trasforma segretamente. Qualcosa fiorirà, se non oggi domani, se n on domani tra dieci anni…Bisogna avere fiducia, insistere, ricominciare…”. (Il rosso e il blu, Einaudi, Torino 2009 p.VIII).

[9] L’ascolto è una categoria di base dell’insegnare cfr. Marianella Sclavi e Gabriella Giornelli, La scuola e l’arte di ascoltare. Gli ingredienti delle scuole felici, Feltrinelli Milano 2014.

[10] Cfr., tra gli altri, Ernesto Galli della Loggia, L’aula vuota. Come l’Italia ha distrutto la sua scuola, Marsilio Venezia 2019.

[11] L’esigenza di mappare, censire e raccogliere le esperienze delle scuole è stata ricorrente negli anni in risposta ad un sistema, quello scolastico, incapace di rappresentarsi nel suo insieme in modo convincente. Cfr. Antonietta Lelario, Vita Cosentino e Guido Armellini, Buone notizie dalla scuola. Fatti e parole del movimento di autoriforma, Pratiche Editrice, Milano 1998; Domenico Chiesa e Cristina Trucco Zagrebelsky, La mia scuola. Chi insegna si racconta. Einaudi Torino 2005; Tullio De Mauro e Dario Ianes (a cura di), Giorni di scuola. Pagine di diario di chi ci crede ancora. Erikson Trento 2011.

[12] Cfr. il movimento delle avanguardie educative che raccoglie esperienze di innovazione realizzate o in corso nelle scuole sul territorio nazionale con l’obiettivo di estenderle progressivamente all’intero sistema scolastico (www.avanguardieeducative.indire.it)

[13] La piattaforma Eduscopio sviluppata dalla Fondazione G. Agnelli sulla base di dati amministrativi disponibili propone ogni anno informazioni sui percorsi degli studenti dalle scuole superiori all’università riferendoli alle istituzioni frequentate (www.educscopio.it).

[14] Cfr. su www.indire.it l’albo nazionale delle eccellenze in cui sono rintracciabili gli studenti con prestazioni elevate sia a conclusione della scuola superiore (conseguimento della lode all’esame di Stato) sia nelle competizioni disciplinari nazionali e internazionali.

[15] Cfr. il dossier L’école dans les médias della Revue internationale d’éducation de Sèvres, 66 Septembre 2014 e, in particolare, l’introduzione di Xavier Pons, Ce que la médiatisation fait aux problèmes éducatifs. Pp.23-30.

[16] Cfr. Giulio Ferroni, La scuola sospesa. Istruzione , cultura e illusioni della riforma, Einaudi, 1997; Francesco Antinucci, La scuola s’è rotta. Perché cambiano i modi dell’apprendere, Laterza Roma-Bari 2001.

[17] Solo a distanza di anni e sotto pressione di autorevoli persone di cultura e istituzioni culturali il Ministero è corso ai ripari con una nota specifica sugli autori da considerare nei programmi di letteratura italiana.

[18] Si veda la prefazione di Giuseppe De Rita (pp.XI-XIV) al volume di Luigi Berlinguer, Ri-creazione Una scuola di qualità per tutti e per ciascuno, Liguori editore, Napoli 2014 e in particolare il capitolo conclusivo “Il cambiamento viene dal basso” (pp.214-229)

[19] Tra i numerosi contributi di una vasta letteratura sulla messa in atto delle politiche educative cfr. James, P. Spillane, Standars Deviation. How Schools Misunderstand Education Policy, Harvard University Press, Cambridge Mass. 2004.

[20] Scrivendo sul Corriere della sera del 16 gennaio 2004 Maraini denuncia che “Mentre si assumono migliaia di insegnanti di religione che vengono scelti dai superiori ecclesiastici, senza sottoporsi a nessun concorso, cosa che porta indietro la scuola di cento anni”, p.15). Nel mese di febbraio dello stesso anno viene aperta la procedura concorsuale in applicazione della legge 186/03 che istituisce i ruoli per l’insegnamento della religione cattolica. Il successivo bando apparirà 17 anni dopo nel 2021.

[21] Cfr. Il volume di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi, Il danno scolastico La scuola progressista come macchina della disuguaglianza, La Nave di Teseo, Milano 2021.

[22] Cfr. Jonathan Kozol, Ordinary resurrections. Children in the years of hope, Perennial, New York 2000.

[23] 25 luglio 2012 Corriere della sera.

[24] Alessandro D’Avenia, insegnante e scrittore, è autore di romanzi tradotti in molte lingue, alcun ambientati tra i banchi di scuola con un retroterra pedagogico (Bianca come il latte, rossa come il sangue, 2010; L’appello 2020).

[25] Roberto Vecchioni, Lezioni di volo e di atterraggio, Einaudi, Torino 2020.

[26] Massimo Recalcati, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Einaudi,Torino 2014.

[27] Marco Lodoli, Il rosso e il blu. Cuori ed errori della scuola italiana, Torino, Einaudi 2009)

[28] Silvia dei Pra’, Quelli che però è lo stesso, Laterza, Roma-Bari 2011.

[29] Cfr. Marcello D’Orta, io speriamo che me la cavo. Sessanta temi di bambini napoletani, Mondadori, Milano 1990.

[30] Si vedano i lavori di Mario Giordano (Cinque in condotta. Tutto quello che bisogna sapere sul disastro della scuola, Mondadori, Milano 2010), di Marco Imarisio (Mal di scuola, Rizzoli, Milano 2007) o di Giovanni Floris (La fabbrica di ignoranti. La disfatta della scuola, Rizzoli, Milano 2009)

[31] I romanzi di Paola Mastrocola (Premio Calvino 2000, finalista Premio Strega 2001, Premio Campiello 2004) (La scuola spiegata al mio cane, Una barca nel bosco etc. etc.), per quanto controversi e divisivi, esprimono una lettura del presente e del passato della scuola del nostro Paese. Cfr. anche La passione ribelle, Laterza Roma-Bari 2015.

[32] Edoardo Albinati, La scuola cattolica, 2016 Premio Strega 2016).

[33] Di pochi mesi successivi al volume della Maraini sulla scuola è il saggio di Maria Pia Veladiano scrittrice (Premio Calvino 2010 e finalista del Premio Strega 2011) Oggi c’è scuola Un pensiero per tornare, ricostruire, cambiare, Solferino Milano 2021).

[34] Appartiene alla storia la provocazione di Giovanni Papini autore del Chiudiamo le scuole, pubblicato nel 1918.

[35] Nella narrativa del Novecento numerosi i romanzi ambientati tra i banchi di scuola, talora con indiretti messaggi pedagogici. Dalle scuole disastrate di cui parla Domenico Starnone nei suoi primi romanzi (Ex cattedra, 1987) all’esperienza di insegnanti come Eraldo Affinati (Elogio del ripetente, 2013), Christian Raimo (Tranquillo prof, la richiamo io, 2015), Paola Matrocola già citata, Giusi Marchetta (L’iguana non vuole, 2011;  Lettori si cresce, 2015), Sandro Onofri (Registro di classe, 2000) ed Edoardo Albinati, La scuola cattolica, 2016 Premio Strega 2016).