In educazione, i termini, chiari in origine, diventano semanticamente volatili con la transizione dei contesti d’uso, riservando trappole. Alla semplice riproduzione occorre, quindi, sostituire spesso un’attenta esegesi. E’ il caso dell’espressione studenti “capaci e meritevoli” di cui parla l’art.34 della nostra Costituzione (“I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”). Ragioni economiche, o altro, non possono sbarrare la via delle superiori o dell’università a chi dimostra capacità e buona volontà.

Il principio era plausibile certamente quando andare a scuola non era per tutti. Con un tasso di partecipazione alla scuola secondaria passato dal 10% nel 1950 al 60% nel 1990 per superare il 90% nel 2010 è ancora attuale la dicotomia tra “capaci e meritevoli” e “immeritevoli e incapaci”? Se a conseguire un diploma è oltre il 70%  delle rispettive classi di età hanno bisogno di protezione gli studenti di talento?

Non solo i numeri, anche il cambio di agenda ha compromesso il destino dell’espressione con quella accattivante allusione, quasi deamicisiana, al bravo studente privo di mezzi. Dopo le elementari e le medie, dominate le prime da filosofie progressiste e le seconde dalla social promotion (superano positivamente l’esame di Stato conclusivo il 97% degli studenti a fronte di stime attorno al 30% di preparazione inadeguata), varcano la soglia di licei, tecnici e professionali, studenti, buoni ed ottimi, discreti e sufficienti. Di fronte a questa esplosione non gestita funzionalmente policy makers, burocrati, dirigenti scolatici si sono trovati ad armeggiare attorno alle strutture insufficienti, agli organici carenti e all’identità della scuola secondaria da ricomporre. In questo contesto di tassi crescenti, di riforme dibattute ma fallaci e di nodi rimasti irrisolti, degli studenti “capaci e meritevoli” si perde traccia.

Sullo sfondo di tradizioni, liceale, tecnica e professionale, destinate a una lunga penombra per ricomparire come assi portanti dell’assetto attuale, nasce comunque una nuova e diversa sceneggiatura: dalla lotta contro la selezione all’educazione per tutti, dalla ricerca delle pari opportunità all’equità da assicurare il focus si sposta, come testimoniano slogan politici di successo (No Child Left Behind – NCLB) e nuovi indicatori (resilients students, early school leavers e neets).

Per la verità la contrapposizione tra ‘capaci e incapaci’ e tra ‘meritevoli e immeritevoli’ fatica a misurarsi con le ragioni del fallimento scolastico, una ricerca con una storia senza fine: prima attribuito a carenze personali quali il deficit intellettivo, poi riportato al condizionamento sociale e al background familiare, successivamente messo in rapporto con l’inefficacia delle scuole, progressivamente puntando l’attenzione sugli insegnanti o sui dirigenti scolastici. L’idea di capacità personali e di impegno come fattori a sè stanti appare approssimativa sotto il peso delle analisi sulla partecipazione diseguale all’istruzione e sugli ostacoli permanenti, quali il background socio-economico, alla riuscita scolastica. Paradossalmente “capaci e meritevoli” potrebbe indicare un punto di arrivo perché ‘capaci e meritevoli’ si può diventare in una buona scuola.

Sui termini usati all’art.34 della Costituzione, inoltre, pesa un’immagine statica e riduttiva della scuola. Senza sminuire l’accesso “ai più alti gradi” secondo la lettera del testo costituzionale, la scommessa è oggi quella di garantire al nostro Paese una scuola in grado di operare con ‘capaci e meritevoli’ e con ‘incapaci e immeritevoli’, come provocatoriamente si potrebbe dire. L’ambivalenza della scuola, infatti, è strutturale: palestra per costruire conoscenza, luogo privilegiato per l’ingresso alla cultura, terreno per la coltivazione di talenti, e , allo stesso tempo, fonte di demotivazione per alcuni studenti, origine di disagio sociale per chi non trova la propria strada, area di discriminazione e di esclusione per chi rimane indietro, catalizzatore di mediocrità per chi non condivide completamente la proposta educativa.

Questi contrasti mettono fuori corso l’endiade ‘capaci e meritevoli’ se non si entra pragmaticamente, evitando idealtipi e archetipi, nelle classi, là dove chi è “incapace” diventa “capace” e chi da “immeritevole” diventa “meritevole”. Le redini di questi processi sono in mano  a chi insegna il cui lavoro è sempre più simile a una prova di sforzo continua. Come gli artigiani, i docenti lavorano per pezzi unici senza potersi, tuttavia, permettere scarti.

Chi troviamo in classe? L’area dell’eccellenza come il paesaggio dell’underachievement sono il terreno da dissodare per chi spende i propri giorni in classe lontano dalle parole d’ordine altisonanti. In questo caleidoscopio di umanità in costruzione lo studente idealtipico amante dello studio può essere come una barca nel bosco, senza possibilità di veleggiare  ma anche l’insegnante alla ricerca nostalgica di profili di studenti che non esistono più è come un freeclimber su un green a 18 buche.

Per alcuni adolescenti le ore a scuola sono l’unico spazio sociale di vita, dove si può anche non diventare mai studenti; per altri si aprono le porte della cultura e si forgiamo patrimoni di competenze. In classe non incontriamo gli studenti che la scuola allontana o rallenta con sanzioni disciplinari (10-12.000 studenti ogni anno per insufficienza in condotta) ma ci imbattiamo nei “disaffiliati”, che non trovano motivazione, interesse o curiosità nel lavoro di scuola, scopriamo “drop out capaci” studenti con abilità che però preferiscono stare ai margini del percorso scolastico e troviamo gli “studenti stop out” che si mettono in stand by salvo poi ripartire. Non mancano gli studenti “in school drop out” che implicitamente abbandonano la scuola senza lasciare mai i banchi di scuola per la forza delle relazioni sociali che intessono. Nelle classi ci sono anche i “tuned out”, studenti e studentesse non sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda della scuola.

Nella penombra e nelle periferie si realizzano, tuttavia, le “ordinary resurrections” descritte con passione e lucidità da Jonathan Kozol: studenti che ritrovano fiducia, studentesse che si appassionano per una disciplina, ragazzi che sviluppano progetti personali, ragazze che scommettono sulle proprie capacità. Meritano attenzione i loro insegnanti per i quali la ricreazione non è mai finita, docenti che non si sono lasciati ammaliare dalla letteratura decadente, e spesso disinformata, sulla scuola e spendono il loro tempo non soccombendo alla tentazione di tradurre la loro esperienza in reportage narrativi di successo. Talvolta il loro è un esercizio di free-solo in un ambiente ostile e indifferente con il baccano assordante della disaffezione per gli studi lunghi, della dematricolazione dei giovani e dell’assenteismo tollerato. Sono questi insegnanti in team, che spingono i propri studenti oltre le aspettative, a riscrivere oggi gli articoli di una diversa costituzione a favore di una scuola di qualità per tutti e per ciascuno, come scrive Luigi Berlinguer; senza la bagarre dell’aula parlamentare, senza decreti e senza bisogno di un referendum confermativo.

L’ipotesi degli studenti “capaci e meritevoli” è indebolita, peraltro, dai voti e dai limiti della valutazione scolastica. La promozione, le idoneità scolastiche, gli esiti dei diplomi documentano, in modo attendibile, capacità e merito? È difficile una risposta positiva anche se non di rado queste sono le misure disponibili. L’irruzione delle prove standardizzate ha generato ulteriori turbolenze che hanno resa più fitta la nebbia attorno all’espressione “capaci e meritevoli”. La capacità è oggi oggetto di accertamenti metodologicamente sofisticati nelle pagelle che si danno ai singoli paesi. Il merito non è solo il valore assoluto dell’esito di un esame o il punteggio grezzo di un test: richiede soluzioni analitiche più accurate come dimostrano i growth model adottati nella valutazione delle performance. Molta strada è da compiere. Quando, qualche anno fa, un ministro ha cercato di impedire che l’accesso ad alcune professioni, come quella medica, fosse determinato da decisioni prese a 14 anni (sono rarissimi i casi di iscritti a medicina provenienti da un tecnico o da un professionale) una valanga di proteste ha travolto il tentativo di mettere a confronto il merito di uno studente di successo in un tecnico con quello di un liceale. E l’ipotesi seguiva strade intelligentemente imboccate da prestigiose università anglosassoni per catturare studenti con grinta e passione oltre alle capacità.  Così anche l’attribuzione di riconoscimenti economici a studenti eccellenti, puntualmente inseriti nell’albo degli studenti di talento dell’Indire, ha quasi dieci di vita, nella pressoché generale indifferenza.

I ‘più alti gradi di studi‘ è una formulazione comprensibile immediatamente; riserva, tuttavia, qualche sorpresa se analizzata più da vicino. Concludere un percorso di scuola secondaria è un traguardo importante, ma può avere significati molto diversi in termini sostanziali. Le performance degli studenti profondamente georeferenziate e fortemente differenziate tra le tipologie di istituti rivelano possibili distorsioni, mentre l’analisi comparativa ha ampliato l’orizzonte dei traguardi possibili. Non è forse tempo che la garanzia costituzionale sia ridefinita in relazione ai livelli di apprendimento da raggiungere, oggi non più assicurata dalla mera frequenza di un corso di studi?

L’espressione “capaci e meritevoli”, tuttavia, non è da rottamare; contiene un elemento di verità e di attualità che va salvato, cioè il richiamo alla responsabilità individuale degli studenti, un tema accantonato o forse nemmeno ritenuto di interesse. Gli studenti, in realtà, sono le prime risorse della scuola e solo dalla loro condivisione, partecipazione e impegno si può avere una buona scuola. “Capaci e meritevoli” oggi sono quegli studenti che scommettono sul proprio potenziale, che non si arrendono se le proprie speranze sono temporaneamente sbiadite e che non dissipano il tempo a disposizione.

Il nostro Paese farebbe bene a parlare con più rispetto degli insegnanti e del loro lavoro. Illustri scienziati, imprenditori di successo, architetti di grido sono stati chiamati a rappresentare il Paese nel ristretto novero dei senatori a vita, l’accesso al quale è stato sbarrato, fino a oggi, per chi semplicemente aveva dedicato intelligenza e passione per l’educazione, cioè per le energie innovabili del Paese. Una buona scuola è necessaria, ma non sufficiente se non si catturano i ragazzi e le ragazze che hanno diritto di trovare nelle proprie classi insegnanti professionali a prescindere dall’istituzione che frequentano e dalla regione in cui vivono. La promozione delle professioni educative mai come oggi è una condizione perché cresca la probabilità di vincere la scommessa di costruire studenti ‘capaci e meritevoli’.

Correttezza ed equità nei confronti degli studenti di oggi, la prima generazione che è entrata a scuola con l’idea di crisi in mente, sono d’obbligo come la loro responsabilità per il loro futuro. Di fronte a una offerta di opportunità che un Paese in seria difficoltà, mette comunque in campo, non ci sono alibi per atteggiamenti di disinteresse, comportamenti di indifferenza e posizioni di rifiuto. Per ogni ragazzo e per ogni ragazza la partita della scuola riguarda un’eredità di pregio, dai ritorni elevati ma senza un secondo tempo: si gioca quotidianamente sui banchi di scuola e si snoda in una sequenza di anni che premia tenacia e costanza, ma anche riprese e ripartenze. Questa convinzione è alla radice dello studente‘capace e meritevole’ oggi.

Per concludere, l’oblio dei “capaci e meritevoli” è un  peccato minore. Il dettato costituzionale è tradito quando studenti, “capaci e incapaci”, “meritevoli e immeritevoli”, dopo i cinque anni delle superiori non trovano il Paese che hanno il diritto di attendersi. Non formati per le competenze del XXI secolo? La denuncia è poco credibile se arriva da settori economico-produttivi a basso livello di competitività, moderatamente innovativi e avari negli investimenti di ricerca. E se gli studenti delle nostre scuole non fossero il vagone lento delle immagini correnti, bensì l’avamposto del nostro Paese? Parliamo di studenti, quelli del Nord con performance significativamente, dal punto di vista statistico, non diverse da quelle dei loro coetanei finlandesi o svizzeri e quelli del Sud capaci di stupire per eccellenze raggiunte ma frenati da contesti locali indifferenti se non ostili.

Naturalmente poche righe, con qualche commento finale, sfiorano appena il tema dei ‘capaci e meritevoli’ degno di ben altri approfondimenti.