Appunti sulla dispersione scolastica

Questa nota contiene alcuni appunti sulla questione della dispersione scolastica, mediaticamente sollevata, nelle scorse settimane, da Tuttoscuola e, in particolare, documentata dal relativo dossier “La scuola colabrodo”. Non derivando da un’analisi approfondita gli appunti presentati sono esposti a possibili imprecisioni anche indotti dall’ingresso in un’area tematica complessa ed affollata e risentono delle inevitabili approssimazioni in un testo di poche pagine. L’intenzione è, comunque, di contribuire al dibattito in corso.

Alcune considerazioni di quadro (1.) sono necessarie prima di entrare nel merito della questione (2.) e di avanzare qualche suggerimento (3.).

1. La “scuola colabrodo”

La tradizionalizzazione delle questioni in campo educativo ne assicura, senza dubbio, la sopravvivenza nel tempo, ma talvolta ne limita anche la comprensione sotto il peso di categorie consolidate che diventano le coordinate accettate delle opinioni correnti. Dopo l’abate di Barbiana è mancato un ‘cigno nero’ per orizzonti alternativi in grado di rivisitare diagnosi e terapie, condivise ma consunte dal tempo e dalla non azione, di quella che il presidente Mattarella, commentando il dossier, ha definito un’ “amputazione civile”. I numeri del lavoro di Tuttoscuola scuotono il bandwagon della dispersione scolastica e possono sollecitare riflessioni all’insegna del pragmatismo e del realismo uscendo da quel fatalismo implicito cui l’inerzia sembra averci condotto.

a. L’analisi del percorso degli studenti

Rispetto ad altri schemi di analisi, l’esame del percorso degli studenti è senza dubbio una rilevante soluzione per capire i processi scolastici, per approfondirne i caratteri e, soprattutto, per avere una conoscenza, diremmo hands-on, delle nostre scuole. Le tendenze sono sempre state un punto di attenzione sia nelle statistiche scolastiche di un tempo che fotografavano l’andamento negli anni delle bocciature e delle ripetenze o, più in generale, del ritardo, sia, più recentemente, nelle analisi rese possibili dalle valutazioni standardizzate che mettono a confronto le performances nel tempo di campioni di studenti. Per la verità lo studio delle coorti e le ricerche longitudinali in campo educativo  hanno da tempo fornito contributi significativi (cfr. http://www.cls.ioe.ac.uk/Default.aspx), e sono utilizzate anche nelle diffuse descrizioni dei sistemi scolastici (cfr. lo studio sul completamento della scuola secondaria superiore in OECD, Education at a glance 2017 p.161ss).

Il dossier di Tuttoscuola propone una lettura diacronica della scuola secondaria superiore statale, mettendo a confronto, in valori assoluti, la popolazione scolastica all’inizio del percorso di scuola secondaria superiore statale con la popolazione degli studenti in uscita a conclusione[1]. Sulla base degli scarti esistenti il verdetto, in sintesi, è: “Dal 1995 a oggi 3 milioni e mezzo di studenti hanno abbandonato la scuola statale, su oltre 11 milioni iscritti alle superiori (-30,6%). Il costo è enorme: 55 miliardi di euro. E l’emorragia continua: almeno 130 mila adolescenti che iniziano le superiori non arriveranno al diploma”.

La strada scelta per la compilazione del dossier, che ha avuto risonanza mediatica, è di indubbio interesse, e apre una strada che vale la pena di approfondire. Dall’iniziativa di Tuttoscuola scaturisce chiaramente la sollecitazione a partire dall’esperienza degli studenti per qualificare un sistema scolastico (l’espressione ‘colabrodo’, purtuttavia, non è senza dubbio felice in termini di rispetto per le professioni educative). Lo spunto offerto potrebbe essere sviluppato per lo meno in due direzioni prendendo a riferimento non solo l’area della scuola secondaria statale, ma tutto il campo dell’offerta di istruzione e di formazione che riguarda i giovani dai 14 ai 19 anni.

In primo luogo le interruzioni del percorso scolastico vanno esaminate da vicino nella loro diversa natura e nella loro articolazione. Dietro lo scarto tra le popolazioni scolastiche misurate all’inizio e al termine del ciclo ci possono essere, infatti, fenomeni tra loro molto diversi: l’abbandono della scuola, l’ingresso nel mercato del lavoro, il reclutamento aziendale, la transizione alla formazione professionale (soprattutto attraverso i percorsi triennali), l’ingresso nell’apprendistato, il prolungamento del tempo di completamento, la mobilità internazionale, la migrazione verso la scuola non statale, l’abbreviazione per merito o l’istruzione parentale[2]. Le biografie individuali degli studenti ci potrebbero restituire una visione più di dettaglio e una comprensione a fondo delle traversie, ma anche delle linearità presenti, necessarie per capire quanto avviene dietro la variazione dei numeri calcolati da Tuttoscuola e per collocare tali numeri nell’ambito complessivo del sistema di istruzione e formazione. C’è ampio spazio per altri dossier.

In secondo luogo oggi è proponibile un esame più accurato seguendo i singoli studenti andando oltre il mero confronto quantitativo tra le popolazioni scolastiche. L’avanzamento dei sistemi di informazione, soprattutto l’anagrafe nazionale studenti e le connessioni tra anagrafi nazionali e anagrafi regionali, permettono oggi soluzioni fino a ieri impensabili. Alcuni esempi parziali, e talvolta criticati, documentano le potenzialità esistenti. L’esperienza di Eduscopio, ad esempio, al di là delle criticità e delle discussioni che ha introdotto, dimostra che è possibile utilizzare i dati esistenti per seguire i tracciati personali degli studenti nel passaggio dalla scuola all’università.[3] E’ un peccato non sfruttare le basi dati esistenti.

b. La struttura del sistema di opportunità

Il percorso degli studenti si dipana all’interno di un sistema di opportunità che riflette la struttura dell’ordinamento dell’istruzione e della formazione. Le caratteristiche del sistema determinano gli spazi di manovra e delimitano i tracciati possibili aperti agli studenti. Occorre, pertanto, interrogarsi sulla configurazione dell’istruzione e formazione superiore e sulle possibilità che offre, al termine della scuola secondaria di primo ciclo, agli studenti per imboccare e disegnare la propria strada formativa. Sotto questo profilo alcune osservazioni possono contribuire a mettere a fuoco aspetti della questione della dispersione non frequenti nella discussione.

In primo luogo la durata quinquennale della scuola secondaria superiore nel nostro Paese è decisamente impegnativa, non è adottata da tutti i paesi europei, presenta rigidità nelle scelte possibili dopo l’opzione iniziale. Lo studente a 14 anni compie delle scelte che lo vincoleranno per cinque anni. I cicli lunghi possono stancare e logorare, soprattutto per gli studenti meno motivati. Peraltro l’ipotesi di ciclo quadriennale coinvolge al momento una quota limitata di studenti mentre la ri-funzionalizzazione del quinto anno in chiave di anno ponte non ha avuto, a oggi, soluzioni strutturali pur in presenza di un crescente numero di iniziative avviate.

In secondo luogo l’orientamento per la scelta del percorso di scuola secondaria superiore è fondamentale, ma non è sufficiente per affrontare i primi due anni caratterizzati da tassi elevati di bocciature (nel 2015-16 14% nel primo anno e 8,3% nel secondo anno – Annuario Statistico 2017) e per accompagnare per tutto il quinquennio il singolo studente rendendo possibili correzioni di rotta, migrazioni tra settori e passerelle tra istituti in grado di adeguare l’itinerario ai risultati ottenuti, agli ostacoli sopravvenuti, alla modifica di interessi o all’emersione di talenti (non è un dato senza peso che quasi la metà degli studenti si dichiari pentito a fine ciclo delle scelte compiute, come documenta Almadiploma).

In terzo luogo i percorsi intermedi, a ciclo più breve, dai percorsi triennali all’apprendistato, si rivelano ancora deboli, spesso marcati da uno status minore, con limitata attrattività, quasi assenti in alcuni territori del Paese, con opportunità di proseguimento (diploma al quarto anno, formazione tecnica superiore…) non ancora generalizzate. In altre realtà il raggiungimento di elevati livelli di completamento del secondo ciclo è dovuto proprio al ruolo giocato dall’offerta di opzioni professionali scolastiche e non scolastiche. Nel caso, ad esempio, della Svizzera, paese in cui il completamento raggiunge l’86% tra i giovani della fascia 25-64 anni e l’89% di quella 25-34 (i valori OECD sono rispettivamente 75% e 82%) la formazione professionale occupa un posto centrale con oltre il 65% degli studenti a livello di scuola secondaria superiore iscritti in programmi pre-professionali o professionali (la media OECD è del 44%). Tra questi studenti, peraltro, il 93% partecipa a programmi che combinano componenti scolastiche e componenti basate sul lavoro, a differenza di altri paesi OECD in cui la formazione professionale è esclusivamente o quasi esclusivamente di tipo scolastico.

In quarto luogo è da considerare con attenzione la ripartizione degli studenti tra i percorsi generalisti e quelli professionali (cfr. Tab.n.1). A livello di Unione europea nel 2015 il 49,3% degli studenti era inserito in percorsi professionali a livello di scuola secondaria superiore. Comparativamente la situazione italiana (nel 2015 1252.000 nei percorsi generalisti e 1580.000 nei programmi professionali) è intermedia tra i paesi con forte presenza di percorsi professionali rispetto a quelli generalisti (Austria, Svizzera, ) e quelli in cui prevale l’offerta generalista (Francia, Spagna…) senza quindi trarre vantaggio dalle rispettive scelte di politica complessiva. Probabilmente è all’interno dei due grandi settori che vanno presi in carico i processi di abbandono. Il dossier documenta i livelli diversi di scarto della popolazione tra il primo e il quinto anno passando dai licei agli istituti tecnici e ai professionali.

Tab. n.1 Studenti nella scuola secondaria e post secondaria

c. La scuola secondaria per tutti: un obiettivo ancora da raggiungere non solo per l’Italia

L’abbandono scolastico e, più in particolare, la mancata conclusione dei percorsi, siano generalisti o tecnici e professionali, di scuola secondaria superiore, sono gravidi di conseguenze per il capitale professionale del nostro Paese oltre a denunciare il fallimento delle istituzioni formative e a preoccupare per i destini degli studenti. I giovani di 23-35 anni che hanno concluso la scuola secondaria in Italia sono, ancora oggi, in misura decisamente inferiore a quelli di altri paesi: nel 2016 il 26% di essi non aveva terminato il ciclo secondario a fronte di valori pari al 16% dei paesi OECD e al 15% nei paesi EU22 (OECD, Education at a glance 2017, p.53). è l’esito di un’eredità del passato che continua a pesare oggi pur in presenza di percentuali elevate di passaggi dal primo al secondo ciclo di istruzione.

La generalizzazione della scuola secondaria rimanda, come obiettivo politico, a scelte progressiste degli anni 1970 e dei successivi decenni: i giochi, tuttavia, non sono chiusi e sarebbe un errore interpretare le intenzioni di allora alla stregua dell’obbligo scolastico riferito al primo ciclo dell’istruzione. Per la verità, infatti, il completamento della scuola secondaria per tutti rimane ancora un obiettivo non solo per il nostro Paese di cui non si può certo ignorare il ritardo sulla tabella di marcia (cfr. Table A9.1 dell’OECD riportata di seguito).

I dati statistici sulla conclusione della scuola secondaria sono ben lontani dal 100% delle rispettive classi di età anche nei paesi considerati leader nelle politiche educative (si vedano i dati relativi al 2015 in OECD, Education at a glance 2017 p.164). Seguendo le coorti di studenti di un certo numero di paesi per i quali i dati sono disponibili (l’Italia è assente) solo il 68% degli studenti (58% nei percorsi professionali) porta a termine il ciclo superiore nei tempi previsti (il 75% considerando due anni aggiuntivi a quelli di norma). Guidano l’elenco Israele (91%), Irlanda (91%) e USA (92%), ma i risultati sono riferiti agli studenti iscritti, non alla popolazione corrispondente alle singole classi di età. Valori di rilievo, comunque, sono in Estonia, (75%), Finlandia (74%) e Francia (72%).

In Francia peraltro l’attuale governo di Emmanuel Macron si è proposto di arrivare al 80% di studenti con il Bac a conferma che per una quota di studenti la conclusione del percorso secondario appare problematica e non facile da garantire. Nelle ultime elezioni per il Parlamento nel Regno Unito il partito conservatore ha ridotto l’obiettivo per la partecipazione all’English Baccalaureate dal 90% al 75% da raggiungersi nel 2022.

A completare il quadro occorre notare che l’andamento del completamento della scuola secondaria superiore non è del tutto lineare, ma è fatto di progressi e di regressi a conferma di processi in corso e di tendenze non del tutto consolidate come documentano le esperienze dell’Estonia e della Svezia (cfr. la Fig.A9b dell’OECD riportata di seguito).

Fonte; OECD. Education at a glance 2017, pag.161.

Il fatto che non solo l’Italia ma anche altri paesi siano ancora alla ricerca della strada per avvicinarsi al 100% delle rispettive classi di età significa probabilmente che gli ostacoli sono dovuti non solo a disfunzionalità contingenti ma anche a difficoltà strutturali. Il completamento della scuola secondaria superiore in ogni caso è ancora un cantiere aperto.

L’immagine della ‘scuola colabrodo’, efficace per rendere icasticamente la “fuga” dalla scuola, potrebbe indurre a sottovalutare i nodi strutturali che tutti i sistemi incontrano. Pur essendo una sfida comune, non si possono dimenticare, tuttavia, per il nostro Paese le dimensioni del mancato completamento e la disomogeneità territoriale, pur ricordando che, dal 2000 al 2016, la percentuale di giovani italiani compresi nella fascia d’età 23-35 che non hanno concluso il ciclo secondario scende dal 44% al 26% (OECD, op. cit., p.51).

Se, quindi, come si legge nel rapporto citato OECD, “Increasing the number of students who complete upper secondary education is a priority for many education policy makers” (OECD, op.cit., p.161), il completamento della scuola secondaria superiore è un terreno aperto, oltre che per denunce critiche, per confrontare soluzioni nel panorama internazionale, per catturare ipotesi rivelatesi efficaci nelle nostre esperienze positive, per rivisitare le strategie correnti e per disegnare le prossime pratiche, senza cedere alla facile retorica inconcludente.

d. I traguardi a portata di mano

In una fase in cui la fiducia nella scuola è un fattore incidente sul miglioramento, potrebbe essere miope non guardare con attenzione ai piccoli passi che si sono compiuti negli ultimi anni e non circoscrivere con precisione le situazioni critiche su cui focalizzare gli interventi. Considerando, ad esempio, uno degli indicatori più comuni, cioè la quota di Early school leavers, alcuni territori del nostro Paese hanno valori al di sotto del 10%, come % di studenti della fascia 19-24 anni senza diplomi superiori alla terza media, altri si stanno avvicinando, altri ancora sono comunque in movimento, all’interno di uno scenario, dal 2002 al 2013 (gli anni per i quali il dossier misura la ‘fuga’ degli studenti) di miglioramento, seppur con ritmi che vorremmo più rapidi tenendo conto che “dal 2015 è inferiore all’obiettivo nazionale di Europa 2020 (16%)” (Annuario statistico nazionale 2017, p.41).

Sostanziali dinamiche di miglioramento si sono registrare, ad esempio per le performance in matematica nelle valutazioni effettuate del programma PISA. Senza dimenticare che i risultati dei nostri studenti quindicenni rivelano una variabilità complessiva tra le scuole e all’interno delle scuole vicina ai valori medi dei paesi OECD, che l’impatto dei fattori socio-economici sui risultati scolastici è relativamente meno incidente rispetto a quanto avviene in altri paesi e che il numero degli studenti resilienti nelle aree leader del nostro paese è confrontabile con quello dei paesi a elevata performance.

Assume rilievo, inoltre, in questa prospettiva di sottolineatura delle potenzialità del nostro sistema di istruzione e formazione, l’affermarsi del settore dei percorsi triennali (oltre 300.000 studenti ogni anno), probabilmente una delle maggiori strategie di lotta alla dispersione messe in campo nel nostro Paese negli ultimi anni (cfr Tab. n.2).

Questi elementi testimoniano le capacità presenti nelle nostre scuole e nelle nostre regioni, che attendono di essere disseminate per superare una certa impresentabilità del sistema nel suo complesso di cui la dispersione è uno dei tratti più negativi.

Tab. n.2 Gli iscritti alla IeFP (I-III anno) negli ultimi 4 anni per tipologia

e. Le risorse finanziarie: alcuni caveat

Il tema dei costi delle patologie dei sistemi scolastici è oggetto di studi e analisi con riferimento all’uso efficiente dei finanziamenti disponibili, ai costi di sistemi educativi inadeguati, all’impatto, diretto e indiretto, dei fallimenti personali, alle ripercussioni negative sul capitale umano di un paese. Tra i temi critici del dossier di Tuttoscuola uno spazio è riservato alla dissipazione di risorse, calcolata in 55 miliardi  di euro nel periodo considerato (dal 1995 ad oggi), che accompagna la dispersione. Pur lasciando agli esperti le tecnicalità della misura dei costi affrontati da un’istituzione formativa con esiti fallimentari, è fuori di dubbio che il costo per studente se calcolato con rifermento agli studenti che portano a termine l’intero ciclo, cresce con l’aumentare del dropping out. Attorno al nodo dello spreco ingente di risorse, tuttavia, alcuni caveat possono essere utili.

Il moltiplicare la spesa per studente per il numero degli abbandoni è un calcolo semplice ma forse un po’ approssimativo perché non tiene conto dei margini di flessibilità del sistema per cui l’andamento dei costi non corrisponde, direttamente e automaticamente, all’andamento puntuale della popolazione studentesca e alla sua variazione nel breve periodo. Entro certi limiti il numero degli studenti può variare, in aumento o in diminuzione, senza un impatto immediato sul livello complessivo di spesa.

Non va dimenticato, peraltro, che nel nostro Paese l’andamento della spesa per l’istruzione secondaria superiore non ha mai raggiunto i valori medi dei paesi europei, sia come spesa pro capite (nel 2014 8.859 contro 10.182 dell’area OECD e 10494 dell’area UE[4]) sia come % del Pil, realizzandosi, purtuttavia, proprio nel periodo considerato, un’estensione significativa della popolazione delle scuole secondarie superiori. Alcuni traguardi di cui si è detto, inoltre, sono stati raggiunti proprio in un periodo di contrazione delle risorse destinate all’istruzione (fissando a 100 le risorse per l’educazione del 2010 l’andamento per l’Italia è oscillato da 108 per il 2008 a 95 per il 2011 e a 99 per il 2014 a fronte di andamenti crescenti dell’area OECD – 95, 98, 109 – e dell’area UE – 96,98,103. Fonte: OECD, Education at a glance 2017).

In tema di spese per l’istruzione Carlo Cottarelli, commissario per la revisione della spesa pubblica, nelle sue recenti analisi e nelle proposte da esse scaturite ha sempre escluso l’istruzione dai settori su cui intervenire per la razionalizzazione della spesa proprio per la loro rilevanza e per il fatto che drastici contrazioni già erano state portate a termine. Nella sua analisi (La lista della spesa. La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare. Feltrinelli, Milano 2015) appare anzi evidente l’anomalia della scuola come settore in cui, a diversità di altri, i tagli alle spese sono stati realmente praticati.

Naturalmente, pur in presenza di livelli di spesa, comparativamente contenuti e in diminuzione, non si può certo escludere che con le risorse disponibili le scuole avrebbero potuto ottenere migliori risultati, ma questo dovrebbe essere oggetto di un’analisi approfondita e circostanziata per poter individuare sprechi nella gestione finanziaria dovuti agli abbandoni.

2. Le strategie di scuola e l’altra dispersione scolastica

Venendo ai nodi cruciali della dispersione scolastica riterrei opportuno mettere in evidenza, da un lato, la rilevanza delle strategie di scuola e, dall’altro esplorare le dimensioni della dispersione scolastica non comprese nella non frequenza o nell’abbandono dei percorsi scolastici.

a. Il sistema scolastico e formativo conosce tutti, o quasi, gli studenti di riferimento

Tutti a scuola? La domanda può apparire retorica. Si legge sull’Annuario ISTAT 2017: “I tassi di scolarità, che esprimono la partecipazione ai corsi scolastici della popolazione giovanile nei vari ordini, si attestano su valori intorno al 100 per cento per i percorsi della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado. Il tasso di scolarità dei 14-18enni calcolato considerando solo gli iscritti alla scuola secondaria superiore di II grado risulta pari al 93,0 per cento. Se invece si considera la partecipazione al sistema formativo nel suo complesso, il tasso di partecipazione dei 14-18enni calcolato considerando anche gli iscritti ai percorsi triennali di Istruzione e formazione professionale (Ifp), raggiunge il 99,2 per cento” (ISTAT, Annuario statistico 2013, p. 177)

Se si esclude qualche incertezza per i contesti di migrazione la continuità e il completamento del percorso scolastico sono affidati alle strategie delle singole scuole e delle relative comunità professionali che, tuttavia, hanno bisogno di un contesto amministrativo attivo e lungimirante e di uno scenario politico di azioni coerenti. In questo senso i numeri del dossier sono un evidente richiamo alle difficoltà che le scuole hanno a mantenere gli studenti nel percorso prescelto. L’impatto dei docenti e la leadership di scuola sono i fattori interni di maggior peso e, quindi, le leve sui cui far forza ben sapendo che i miglioramenti avvengono generalmente per tempi lunghi. Per questo l’immagine devastante del dossier mina non tanto la credibilità del sistema scolastico la cui percezione è soggetta a valutazioni politiche, quanto piuttosto quella delle nostre scuole che quotidianamente affrontano le vicissitudini autentiche degli itinerari, ora spezzati ora lineari, ora altalenanti ora spenti, dei nostri studenti.

In questa prospettiva serve un approccio meno ideologico e più pragmatico partendo anche da aspetti apparentemente marginali e, pertanto, non presi in considerazione, com’è il caso della non assiduità scolastica (Cfr. graf.n.2), possibile sintomo e causa della ‘fuga’ dall’istruzione.

b. “Tutti a scuola”: oltre lo slogan

 L’obiettivo “tutti a scuola” diventato lo slogan consolidato per l’avvio dell’anno scolastico sembra appartenere al secolo scorso. Avere in classe tutti gli studenti è solo il punto di partenza, la condizione per un viaggio, malauguratamente non la garanzia del suo avverarsi. E qui si apre un terreno che è stato esplorato, ma che richiede ulteriori sviluppi in termini di decisioni e di iniziative. Ci sono, infatti, varie dimensioni della dispersione che vanno oltre, da un lato, la mera frequenza scolastica e, dall’altro, il puro conseguimento di un diploma (Fig.1).

Per la formazione di uno studente l’essere a scuola è una sorta di livello soglia che non è garanzia di miglioramento e di apprendimento come documenta la quota di studenti con livello inadeguato di competenza (vedi livelli 1 e 2 del programma PISA) o i numeri di studenti che arrivano all’esame di Stato senza la preparazione attesa. Completare, inoltre, il percorso scolastico con livelli soddisfacenti di performance non significa che si sia pronti per le tappe professionali successive. L’intreccio delle situazioni esistenti compone un paesaggio interno alle scuole che è da osservare da vicino guardando con apprezzamento il lavoro di chi insegna che, come l’artigiano, lavora per pezzi unici senza potersi permettere scarti, che siano ‘capaci e meritevoli’ o che appaiano ‘immeritevoli e incapaci’. Per alcuni adolescenti la scuola è l’unico spazio sociale di vita, dove si può anche non diventare mai studenti. Sono pochi gli studenti ‘indesiderati’ che la scuola allontana con sanzioni disciplinari o sbarramenti, ma in classe ci sono i “disaffiliati”, che non trovano motivazione, interesse o curiosità nel lavoro di scuola, passano i “drop out capaci” studenti con abilità che però preferiscono uscire dal percorso scolastico o gli “studenti stop out” che si mettono in stand by. Non mancano gli studenti “in school drop out” che abbandonano la scuola senza lasciare mai i banchi di scuola perché è il loro mondo di vita, significativo di relazioni sociali. Nelle classi ci sono anche i “tuned out”, studenti e studentesse non sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda della scuola. C’è l’area degli eccellenti, ma anche il paesaggio dell’underachievement , e la mediocrità dalle molte facce è il terreno da dissodare per chi spende i propri giorni in classe lontano dalle parole d’ordine accattivanti e altisonanti.

3. Tempo di svoltare?

 Al capezzale della nostra scuola le voci sul ‘che fare’ contro la dispersione non mancano per cui sarebbe superfluo riprendere proposte conosciute. Dei fattori intervenienti e dei processi che determinano l’abbandono si sono soffermati non da oggi illustri studiosi compilando diagnosi a largo spettro e istituzioni autorevoli con eventi pubblici (Camera dei deputati, 2014). Due imperativi, uno di metodo e uno di contenuto, sono d’obbligo per chi vive di scuola in classe e per chi ha responsabilità pubbliche.

a. Concentriamoci sulle misure dimostratesi efficaci o che sono ad elevata probabilità di impatto

I repertori di misure da mettere in campo (si vedano gli interventi al convegno di Tuttoscuola) sono conosciuti e condivisi. Per sfuggire al mero attivismo come al richiamo rituale al contrasto alla dispersione aggiunto a qualsivoglia decisione politica o iniziativa ministeriale sarebbe opportuno, con un po’ di rigore, puntare su quei fattori il cui impatto è sorretto da evidenze di ricerca. é ormai obbligo, infatti, guardare a pratiche che si siano dimostrate efficaci e tener conto dei fattori che realmente influenzano, quali la leadership di scuola, l’azione focalizzata dei docenti (focused instruction) e la loro capacità collettiva o la fruizione dei servizi alla prima infanzia. Guardare alle singole scuole, ai territori o ad altri sistemi che hanno tassi elevati di completamento del percorso scolastico è un passo importante per individuare le soluzioni da mettere in campo. Così, solo per fare un esempio, i recenti interventi varati dal governo francese (paese con tassi comparativamente elevati di completamento della scuola superiore) di dimezzamento delle classi e di assegnazione di insegnanti bravi in particolari contesti, come il rinnovamento di alcune pratiche didattiche fondamentali come l’insegnare a leggere e scrivere nei primi anni delle scuole primarie sono esempi da osservare. A fare la differenza nelle strategie di contrasto alla dispersione non sono le campagne culturali, ma l’adozione di misure efficaci e la loro compiuta implementazione.

b. Ritroviamo un nuovo equilibrio tra livelli di apprendimento e benessere degli studenti

In termini di contenuto è da cogliere l’opportunità di un allineamento con le priorità che stanno emergendo nelle azioni pubbliche in educazione. Dopo un’intensa e faticosa stagione di accertamento delle performance degli studenti l’attenzione si va spostando verso nuovi orizzonti. Il rapporto OECD-PISA sul benessere degli studenti (2017), la nuova agenda della scuola di Singapore, gli esempi dell’Australia e della provincia canadese dell’Ontario convergono nella ricerca di un migliore equilibrio tra il benessere degli studenti a scuola e i loro livelli di apprendimento. Lo student well-being si propone come paradigma di riferimento alternativo a quelli del recente passato, dall’autonomia delle scuole all’analisi dei livelli di performance.

Un nuovo equilibrio tra competenze e benessere dello studente potrebbe rivelarsi un humus fertile per riscrivere le biografie di chi frequenta le scuole. Il benessere dello studente è una condizione favorevole per la riuscita scolastica. è molto probabile che l’allievo, sereno, consapevole, con una propria identità, si trovi in condizioni migliori per affrontare il lavoro scolastico rispetto al compagno ansioso, turbato da eventi esterni, non a proprio agio nel mondo della scuola. D’altra parte il successo scolastico è spesso un requisito per il benessere dello studente. Il fallimento a vari livelli genera demotivazione, disinteresse e sfiducia mentre al contrario il successo pur parziale consolida la percezione delle proprie capacità e rafforza la spinta al miglioramento. Il benessere dello studente e la riuscita scolastica sono due ingredienti ugualmente importanti da prendere in considerazione sempre evitando gli estremi della polarizzazione: enfasi eccessiva sui risultati di apprendimento e trasformazione della scuola, ambiente di apprendimento per eccellenza, in un club di relazioni sociali positive. Il benessere degli studenti, peraltro, ha anche un valore in sé. L’accentuazione della verifica dei livelli di apprendimento ha talvolta fatto passare in secondo piano l’esperienza personale di ciascun studente. La scuola è uno spazio di vita autentica per chi la frequenta e gli esiti in termini di competenze disciplinari non sono l’unica componente significativa.

All’origine della dispersione non è estraneo il mancato intreccio tra le istanze indicate da cui occorre ripartire, pur consapevoli che in un Paese dai giorni tristi un velo di tristezza può appannare l’esperienza di scuola. Così se i nostri livelli di life satisfaction sono inferiori ai valori medi OECD (5,9 rispetto a 6.5 su una scala da 0 a 10)[5], non possiamo stupirci se gli studenti italiani (6,89) non superano i coetanei OECD (7,31) nell’esprimere il proprio gradimento, o se solamente il 24,2% di essi raggiunge i punteggi massimi della scala (9-10) a fronte del 34,1% dell’universo OECD o se la fascia di studenti con valori bassi (0-4) è leggermente più estesa (14,7%) se messa a confronto con la media OECD (11,8%).

4. Perché sfiduciare la scuola?

La tentazione è costante e forte per chi scrive o parla di scuola: lo sguardo indignato, la parola critica e il disdegno culturale premiano il parlare, o scrivere, di cose di scuola moltiplicando espressioni e metafore (‘immane catastrofe culturale’, ‘amputazione civile’ …) in totale assenza di avvocati difensori, né d’ufficio né di parte. Purtuttavia se dal 1995 a oggi la scuola ha perso 3 milioni di studenti in fuga, come calcola il dossier di Tuttoscuola, quanti nuovi studenti ha accolto, di anno in anno, nell’arco di oltre due decenni? Se si sono dissipati 55 miliardi di euro, quanto sono riuscite a fare le nostre scuole a risorse finanziarie costanti se non in contrazione, nell’arco del periodo considerato? Sono interrogativi le cui risposte dovrebbero integrare l’immagine devastante del ‘colabrodo’.

Finché, comunque, la dispersione scolastica rimarrà una, ricorrente e rituale, mega-categoria per sfiduciare la nostra scuola e, implicitamente, di chi in essa spende le proprie risorse ed energie, il rischio è, per riprendere una dicotomia d’autore, di alimentare, e perpetuare, i policy talks lasciando sostanzialmente immutate le institutional practices. Per questo il dossier di Tuttoscuola è utile più come strumento di riferimento per esaminare realisticamente i processi e per calibrare pragmaticamente le misure da mettere in campo che come documento di analisi e di denuncia.

Allegato n.1

Giovani che abbandonano prematuramente gli studi (1) Regionale. Anno 2017 Unità di misura: Valori %.
Serie storica.

 

2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017
Piemonte 22,3 20,7 20,0 17,3 18,4 19,8 17,6 16,0 16,3 15,8 12,7 12,6 10,2 11,3
Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 22,3 22,3 21,9 24,3 25,9 21,4 21,2 22,4 21,5 19,8 16,2 16,3 14,5 13,9
Lombardia 21,8 21,6 18,5 18,3 19,8 19,9 18,4 17,3 15,3 15,4 12,9 13,1 12,7 12,0
Trentino-Alto Adige 21,6 19,7 17,3 17,2 17,0 16,7 17,3 14,0 15,9 13,9 10,9 10,9 9,5 10,9
Bolzano/Bozen 30,7 26,6 23,6 23,3 21,5 21,0 22,5 18,2 19,5 16,7 13,1 13,1 11,1 13,8
Trento 11,9 12,2 10,5 10,6 12,3 12,3 11,8 9,6 12,0 11,0 8,5 8,7 7,9 7,8
Veneto 18,2 18,4 15,0 13,1 15,6 17,0 16,0 16,8 14,2 10,3 8,4 8,1 6,9 10,5
Friuli-Venezia Giulia 13,7 15,9 19,8 12,6 15,3 14,5 12,1 13,9 13,3 11,4 11,1 6,9 8,0 10,3
Liguria 16,3 17,0 16,1 16,5 12,7 12,4 16,2 15,0 17,2 15,1 13,6 12,0 11,4 13,1
Emilia-Romagna 20,0 19,4 17,7 17,4 16,6 15,0 14,9 13,9 15,4 15,3 13,2 13,3 11,3 9,9
Toscana 21,0 17,2 16,3 18,0 16,5 16,9 17,6 18,6 17,6 16,3 13,8 13,4 11,5 10,9
Umbria 13,3 15,5 14,8 12,7 14,8 12,3 13,4 11,6 13,7 11,9 9,1 8,1 6,7 9,3
Marche 16,7 19,2 18,0 16,4 14,7 15,6 15,0 13,1 15,7 13,9 10,9 10,0 11,0 10,1
Lazio 15,6 14,8 12,3 10,9 13,2 11,2 13,4 15,7 13,0 12,3 12,5 11,3 10,9 11,0
Abruzzo 16,6 16,1 14,7 15,0 15,6 14,8 13,5 12,8 12,4 11,4 9,6 14,2 12,4 7,4
Molise 15,2 15,6 16,2 16,4 16,5 16,6 13,5 13,1 10,0 15,4 12,1 10,1 10,3 12,0
Campania 28,6 27,9 27,1 29,0 26,3 23,5 23,0 22,0 21,8 22,2 19,7 18,8 18,1 19,1
Puglia 30,3 29,4 27,0 25,1 24,3 24,8 23,4 19,5 19,7 19,9 16,9 16,7 16,9 18,6
Basilicata 17,0 18,3 15,2 14,1 13,9 12,0 15,1 14,5 13,8 15,4 12,3 10,3 13,6 13,8
Calabria 21,9 18,3 19,6 21,3 18,7 17,4 16,2 18,2 17,3 16,4 16,9 16,1 15,7 16,3
Sicilia 30,7 30,2 28,1 26,1 26,2 26,5 26,0 25,0 24,8 25,8 24,0 24,3 23,5 20,9
Sardegna 30,1 33,2 28,3 21,8 22,9 22,9 23,9 25,1 25,5 24,7 23,5 22,9 18,1 21,2
Italia 22,9 22,4 20,6 19,7 19,7 19,2 18,8 18,2 17,6 17,0 15,0 14,7 13,8 14,0

Fonte: Ministero della Pubblica Istruzione

(1) Popolazione 18-24 anni con al più la licenza media e che non frequenta altri corsi scolastici o svolge attività formative superiori ai 2 anni (%)
L’indicatore è presente nel set degli indicatori strutturali per la valutazione degli obiettivi europei della strategia di Lisbona,
L’indicatore è espresso in media annua. Il dato diffuso da Eurostat è relativo al II trimestre dell’indagine sulle forze di lavoro.

http://www.asr-lombardia.it/ASR/regioni-italiane/istruzione/dati-di-sintesi-e-livelli-distruzione/tavole/100050/

Allegato n.2

 

Tab. Early leavers

2012 2017 Europe 2020 targets
EU-28 (¹) 12,7 10,6 10,0
Malta 21,1 18,6 10,0
Spain (²) 24,7 18,3 15,0
Romania 17,8 18,1 11,3
Italy 17,3 14,0 16,0
Bulgaria 12,5 12,7 11,0
Portugal 20,5 12,6 10,0
Hungary 11,8 12,5 10,0
Estonia 10,3 10,8 9,5
United Kingdom (³) 13,4 10,6
Germany (¹) 10,5 10,1 10,0
Slovakia 5,3 9,3 6,0
France 11,8 8,9 9,5
Belgium 12,0 8,9 9,5
Denmark 9,1 8,8 10,0
Latvia 10,6 8,6 10,0
Cyprus 11,4 8,6 10,0
Finland 8,9 8,2 8,0
Sweden (¹) 7,5 7,7 7,0
Austria 7,8 7,4 9,5
Luxembourg (¹) 8,1 7,3 10,0
Netherlands 8,9 7,1 8,0
Czech Republic 5,5 6,7 5,5
Greece (¹) 11,3 6,0 10,0
Lithuania (¹) 6,5 5,4 9,0
Ireland 9,9 5,1 8,0
Poland 5,7 5,0 4,5
Slovenia 4,4 4,3 5,0
Croatia 5,1 3,1 4,0
Turkey 39,6 32,5
Iceland 20,1 17,8
Norway 14,8 10,4
Former Yugoslav
Republic of Macedonia
11,7 8,5
Montenegro 6,7 5,4
Switzerland 5,5 4,5
Note: breaks in series.
(¹) For the target to be achieved, the share of early leavers from education and training should be below the target value.
(²) Europe 2020 target is defined as the school drop-out rate.
(³) No Europe 2020 target.
Source: Eurostat (online data code: edat_lfse_14).

 

[1] Per un approfondimento della definizione della dispersione scolastica e delle diverse misure cfr. RAPPORTO DI RICERCA SULLA DISPERSIONE SCOLASTICA WP3
Deliverable n. 3.1
Paese: Italia, 2013.

[2] In un’analisi puntuale, per quanto di dimensioni contenute, dovrebbero anche essere presi in considerazione gli studenti non ammessi agli esami conclusivi del secondo ciclo e gli studenti che non superano l’esame.

[3] Esempi di utilizzo dei dati per ricostruire i percorsi degli studenti sono presenti nell’attività scientifica di IRVAPP della Fondazione FBK (Trento).

[4] I valori per Francia, Germania e Regno Unito erano rispettivamente13.927, 13.615 e 13.776 (OECD, Education at a glance, 2017).

[5] Cfr. OECD, Better Life Indicators (http://www.oecdbetterlifeindex.org/it).