Albania: l’ultimo avamposto stalinista nell’Europa del Novecento                                                                                                                                                    

La maggior parte dei terremoti avvengono lungo il piano di faglia che separa le masse rocciose. L’Albania non da oggi è sulla linea di frattura tra oriente e occidente, tra Est e Ovest. Per questa ragione è terra irrequieta nella sua storia, dal medioevo ai tempi moderni, nonostante la lunga durata dell’Impero Ottomano. Il Novecento è un alternarsi di regimi, con un progressivo isolamento geopolitico. Dalla breve repubblica albanese negli anni 20 dopo il collasso dell’Impero Ottomano al regno di Albania del re Zog dopo il 1928, dall’invasione fascista e dall’occupazione nazista alla lotta di resistenza (l’Albania è uno dei pochi paesi liberato dai propri partigiani), dalla repubblica socialista di Enver Hoxha (1946-1991) al collasso del regime dopo il 1985, dalla successiva devastante crisi economica con la diaspora verso l’occidente alla guerra civile del 1997.

Diversamente dalla Corea del Nord e da Cuba, ultimi baluardi del comunismo reale, l’Albania ha conosciuto uno stravolgimento politico, sociale ed economico che ne ha segnato gli ultimi decenni.La caduta del muro di Berlino (1989) con la disintegrazione dell’Unione sovietica ha avuto un impatto a largo raggio pur avendo l’Albania da tempo rotto i rapporti con Mosca. Lo sfaldamento della Jugoslavia e l’affermarsi delle diverse nazioni che la componevano ha privato l’Albania di un interlocutore privilegiato. I rapporti allacciati con la Cina, d’altra parte, non si sono tradotti in legami duraturi. Con i paesi limitrofi (Grecia, Macedonia…) i confini sono stati a lungo sigillati. Le relazioni con il paese più a portata di mano, l’Italia, erano storicamente compromesse. L’ospitalità nei secoli data dall’Italia alle successive ondate migratorie albanesi era un retaggio storico, testimoniato dalle comunità albanesi insediate sul territorio italiano e dal riconoscimento nella legge italiana dell’arberesh come lingua da tutelare[1].

In un breve arco di tempo un paese, dalle splendide spiagge, dai paesaggi montani spettacolari e da un ricco patrimonio culturale, diventa un tragico terreno di sconvolgimento per la propria comunità civile in cui convivono mussulmani, ortodossi e cattolici. Uno scenario intrigante per le biografie individuali come quella di Lea Ypi che in un memoir raccoglie ricordi della propria infanzia e adolescenza ivi trascorse negli anni 1990 (Free: Coming of Age at the End of History, Allen Lane 2021).

Il libro è, anzitutto, un prezioso contributo di informazioni su un paese dalle dimensioni limitate (poco meno di 3 milioni di abitanti nel 2020), a lungo segregato e poco conosciuto in passato, con vicende apparentemente marginali rispetto alle crisi di altri paesi dell’Est europeo. La citazione, tuttavia, di Rosa Luxemburg in esergo (“Human beings do not make history of their own free will. But they make history nevertheless“) e il titolo dell’ultimo capitolo (“Philosophers Have Only Interpreted the World; the Point is to Change It”, p.294) avvertono chi legge che non si è di fronte a un semplice racconto autobiografico. L’autrice nata a Tirana nel 1979, dopo un laurea in filosofia all’Università La Sapienza di Roma e un dottorato presso l’ European University Institute di Fiesole (FI), è attualmente professore di Political Theory presso la London School of Economics.

Crescere in un periodo di turbolenta svolta

Nelle oltre 300 pagine del memoir Lea Ypi riordina ricordi della propria storia dagli 11 ai 18 anni: nata in una famiglia di intellettuali, con un passato, pur travagliato, di rilievo nelle gerarchie del paese che attraversa, direttamente, gli alti e bassi delle successive stagioni politiche. Drammi, contraddizioni e ripartenze, tra il 1990 e il 1997, si susseguono nel racconto filtrato attraverso gli occhi di una giovane in crescita, fino al 1997 quando la protagonista lascia l’Albania per l’Italia.

Con rispettivamente 10 e 12 capitoli il raggiungimento della maggiore età è scomposto in due scenari, non del tutto scindibili, in parte successivi, in parte sovrapposti, determinanti, comunque, per il paese e le persone che lo abitano.

Nel regime del socialismo

Nella prima parte ci sono i ricordi a partire dai dieci anni: accuratamente descritti, pieni di conversazioni in famiglia e arricchiti di aneddoti significativi del vivere nel regime del socialismo.

Accompagnate dalle parole della maestra Nora, quasi contrariata per aver troppi figli di intellettuali nella classe (sarà il padre a rassicurare la piccola Lea che “everyone is a worker. We all live in a working class state”, p.32), scorrono le giornate di scuola. Sebbene lo sguardo dello zio Enver (così si faceva riferimento al capo dello Stato Enver Hoxha) fosse una presenza continua, la giovane Lea non si spiega perchè non ci fosse un suo ritratto incorniciato in salotto. Al quasi rimprovero rivolto ai genitori “You don’t love Uncle Enver” la nonna reagisce facendosi promettere dalla nipote “you will never say again to us or to anyone else, that we don’t love or miss Uncle Enver” (p.54). In seguito anche un vicino di casa, membro del partito comunista, Le dirà con fermezza: “a very stupid thing to say … Your parents love Uncle Enver. They love the party. You must never again say these stupid things to anyone.”

Le. conversazioni con le compagne di classe, soprattutto con Elona, origina un dialogo che riemerge lungi i diversi capitoli accompagnando la crescita dell’adolescente; dialogo di cui Lea sentirà la mancanza dopo la perdita delle tracce di Elona in seguito alla sua fuga in Italia (p.255).

Gli eventi politici non sono rimossi ma attentamente filtrati. La rottura con la Jugoslavia negli anni 1940, l’interruzione dei rapporti diplomatici con l’Unione Sovietica negli anni 1960 e l’abbandono dell’alleanza con la China negli anni 1970 sono tappe di una orgogliosa storia nazionale. Per la maestra Nora la protesta del muro di Berlino è uno scontro tra imperialisti e revisionisti (p.13). Negli alunni si rafforza la convinzione che “We were surrounded by powerful foes, but knew ourselves to be on the right side of history” (p.14).

La caduta del re Zog e il destino del primo ministro ucciso sono nella biografia nazionale contenuta nel libro di testo, mentre la lotta antifascista viene ricostruita con le testimonianze raccolte dagli alunni nelle proprie famiglie. Così Lea incontra un primo ministro Xhaferr Ypi di cui condivide il cognome e che ha lo stesso nome del padre. Di fronte all’omonimia è imbarazzante per lei dovere tutte le volte chiarire l’estraneità della sua famiglia. Già messa in difficoltà dall’assenza di testimonianze familiari di lotta antifascista al contrario della compagna Elona che vanta un padre partigiano, Lea arriva al punto di minacciare di non andare a scuola.

La scomparsa nel 1985 di Hoxha, ‘lo zio Enver’ nel lessico della scuola (p.43ss), è oggetto di conversazioni e suscita reazioni tra le alunne: la  morte e il dopo vita diventano fonte di interrogativi. La maestra Nora illustra il passaggio dall’epoca delle religioni a quella successive con la chiusura di moschee e chiese, spiegando la funzione della religione tra i capitalisti (pp.49ss).

La giovane Lea è ben consapevole dei cardini dell’insegnamento ricevuto in quegli anni: “We studied nature with the eyes of Darwin and history with the eyes of Marx” (p.49). I cortei del 1° maggio segnano anche la vita della scuola e l’essere tra i giovani Pionieri è un traguardo ambito di cui andare orgogliosa, mentre le proteste già a dicembre 1990 risuonano nelle piazze.

Le file per gli acquisti fanno parte delle routine quotidiane con i loro riti. La disputa tra vicini di casa attorno alla lattina vuota di coca cola in salotto rispecchia – con una nota di celato umorismo ripreso nell’immagine di copertina dell’edizione inglese – il peso dei miraggi occidentali e dei relativi status symbols. L’odore dei turisti in spiaggia spalmati di crema di protezione solare introduce una variante nell’atmosfera. Il bullismo a scuola rispecchia l’inizio di una società allo sbando. E i primi sguardi attraverso le riviste per adolescenti occidentali portano al confronto con i coetanei stranieri: Unlike my world, their was divided: between the rich and the poor, the bourgeois and the proletarian…” (p.89).

Il Partito è un attore presente e incombente. Arriva a controllare anche l’ammissione anticipata alla scuola della dodicenne Lea, ottenuta con un colloquio a carattere politico. I segreti di famiglia sugli espropri subiti, sugli anni passati in carcere da vari componenti e la rimozione incerta del passato gettano un po’ di foschia sulle interazioni familiari.

La presenza vigile della nonna Nini, poliglotta e nobile nei modi, accompagna la vita familiare che rispecchia le traversie del padre, vincitore delle olimpiadi di matematica, fisica, chimica e biologia nella scuola secondarie (p.32) ma costretto dal Partito a studi di forestazione e l’attivismo della madre che non nasconde l’opposizione al socialismo.             Gli scacchi, di cui la madre è stata campionessa nazionale a 22 anni (p.39), diventano simbolo di indipendenza dal percorso biografico (“The beauty of chess … is that it has nothing to do with biography. It is all up to you“, p.38). Molta parte hanno i rapporti di vicinato. L’assalto alle ambasciate straniere nel 1990 e gli inizi dell’opposizione fanno scoprire a Lea le proteste contrastate dai poliziotti con i cani (“I hardly knew what a protest was”, p.6).

Con i primi anni 1990 il cambiamento che avviene è profondo nelle cose ma anche nelle persone: con la solita prosa incisiva Lea Ypi riassume: “Things were one way, and then they were another”, aggiungendo,”I was someone, then I became someone else” (p.138). Questo è il tempo della sua prima socializzazione politica.

Negli anni del collasso

Nella seconda parte del memoir si volta pagina. Cambia lo scenario a partire dalle elezioni e nel 1990 l’Albania diventa uno stato multipartito. Scorrono le vicende in una prosa più pensierosa e le pagine si infittiscono di riflessioni meditate della protagonista, quasi abbozzi di analisi. Cambia la scelta dei genitori di lasciare che i figli credessero a quello che veniva loro insegnato a scuola. Il Party vince, tuttavia, le prime elezioni e rimane al potere fino al 1992; le ammissioni, quindi, sul passato vengono dilazionate nel tempo.

Nuovi temi entrano nel dialogo con Elona. Si parla di religione e di lotta di classe. “Nobody believes in socialism any more. Not even the working class” sostiene Elona p.142). Si avverte che il clima in famiglia è cambiato; Lea nota a proposito dei genitori:“They never used to get angry with power cuts and now they just lose their temper for nothing” (p.143).

In famiglia del passato rimane un “repertoire of amusing family anecdotes” (p.240), su cui scherzare a tavola come tra marinai sopravvissuti ad un naufragio. Per l’adolescente, tuttavia, sono anni di tormento, divisa tra l’attesa dei genitori perchè apprezzasse la libertà e il fatto che, come scrive, “I did not feel free at all (p.251).

I rischi di uscire di casa (incidenti automobilistici, cani randagi, ubriachi molesti, sparizione…) impedivano di andare fuori dopo il tramonto. E rendono triste la vita: interviene la nonna suggerendole vie di uscita dal pianto che arriva dopo i tentativi di meditazione buddista o dall’ossessione dei racconti della persecuzione della famiglia ad opera degli agenti della polizia segreta (p.217). Si iscrive alla Croce Rossa e lavora come volontaria in un orfanatrofio. I tempi da reclusa nella sua camera sono, comunque, regolarmente interrotti dalla nonna con il bicchiere di latte e un frutto (p.262).

Nuove regole di comportamento diventano necessarie. La nonna mette in guardia la nipote dall’innamorarsi di figli di agenti della precedente polizia segreta e la famiglia proibisce alla giovane adolescente di portare il velo perché “there is difference between religion and fanaticism” (p.256). Le attività creative della scuola, dalla poesia al teatro, dalla musica agli scacchi, spariscono lasciando un vuoto nella giornata. A scuola cambiano le materie di insegnamento con Market Economy che sostituisce Dialectical Materialism, mancano i libri di testo o, come per la storia e la geografia, i materiali descrivono il paese come “the lighthouse of anti-imperialist struggles aroud the world” (p.253). Non è più prevista la divisa per la scuola e l’abbigliamento delle studentesse si ispira ai modelli occidentali.

Iniziano, comunque, per Lea anni di forte attivismo con un lungo elenco di civil society activities a cui prende parte (p.217): gruppi di discussione dell’Open Society Institute, campagne di informazione sull’AID, volontariato con la Croce rossa, gruppo di lettura del Corano.

C’è naturalmente un mutamento nei lavori. Lea Ypi, in particolare, ricorda che “people smugglers, drug-dealers or sex-traffickers” diventano occupazioni normali come in passato poteva essere infermiere in ospedale, autista di autobus o operaio in fabbrica (p.253).

Si costruiscono le forze di opposizione con molti leader pronti a cambi di casacca (“replaced Brezhnev jacket with Hugo Boss”, p.156) e molte revolving doors. La professoressa marxista di filosofia alle secondarie (“The Mule”) che prima organizzava serate per gruppi giovanili e spettacoli per celebrare la nascita di Enver Hoxha, arrotonda lo stipendio lavorando per due ONG straniere coinvolgendo nelle attività i propri studenti (p.213).

La madre si iscrive al Democratic Party formato dagli oppositori al regime precedente, si dedica all’attività politica con entusiasmo e determinazione e diventa leader nazionale della sua associazione delle donne (p.194). Il padre riceve incarichi importanti in un’azienda da riportare in attivo. Gli viene successivamente affidata la responsabilità del porto più grande del Paese e uno dei maggiori dell’Adriatico. Pur con qualche incertezza (p.265) si candida in seguito alle elezioni del 1996 e diventa parlamentare.

Si riflettono nella famiglia l’intervento della World Bank attraverso i contatti informali con un funzionario. La spinta alla privatizzazione viene vissuta in termini drammatici dal padre costretto a ristrutturare le attività portuali con pesanti ripercussioni sulla forza lavoro. L’investimento finanziario diventa una tentazione a cui anche la famiglia, dopo qualche tentennamento, non si sottrae vedendo sfumare i propri risparmi.

Un movimento di massa (“everyone wants to leave”, p.174) genera la fuga dal paese e l’invasione dell’Italia.  La vicenda della Nave Vlora nel 1991 (p.178) è l’emblema storico di quella stagione di abbandono del paese, in cui è coinvolta anche Elona e altre persone conosciute. Si imbarca su una nave per l’Italia anche la madre con il figlio senza avvertire il padre e si insedia in Italia lavorando come assistente di una persona anziana. Si lacerano, così, i rapporti familiari. Il dramma della guerra civile del 1997 è raccontato nella forma di un diario con annotazioni giornaliere. Nel1997 Lea Ypi lascia il paese per l’Italia (nel 2020 sono oltre 400.000 albanesi in Italia, oltre l’8% della popolazione straniera).

Questa seconda socializzazione politica è quanto mai significativa: segna la visione e la maturazione dell’adolescente che perde l’interesse per la scuola (p.274). Riesce, tuttavia, a completare l’esame finale che le aprirà le porte dell’università.

La lettura del memoir sollecita a riflettere sulla storia.

La storia agli occhi di chi la rivive

Com’è la storia raccontata da chi la vive? é diversa da quella contenuta nei manuali scolastici o nei testi di storia? Pecca di soggettivismo e manca di un senso generale degli eventi? Rimane chiusa nei particolarismi e stretta nelle percezioni soggettive? Il memoir di Lea Ypi si rivela di una straordinaria originalità. Ha i tratti dell’osservazione partecipante, propria dei reporter sui terreni di guerra, a cui aggiunge però penetranti interventi di personale meditazione. Ha i caratteri della partecipazione osservante, tipica delle ricerche sul campo, arricchita però dalla ricomprensione propria di una scrittura avvenuta a distanza di anni. Il tutto è filtrato attraverso lo sguardo e il pensiero di una ragazza prima e di un’adolescente poi con un’incredibile capacità di distanza critica dagli eventi, anche personali.

Il succedersi di epoche diverse e di svariate stagioni, con dolorose soluzioni di continuità sono rese con la presenza di generazioni diverse (i bisnonni, i nonni, i genitori e le coetanee) che rappresentano capitoli di storie parallele talora antagoniste. All’intersezione tra il livello macro dei grandi processi e il mondo micro di vita ci sono persone con le proprie emozioni, sofferenze, adattamenti e strategie. Tra biografie individuali e storie del paese sembra non esserci uno iato. A dare un senso alla storia e alle storie, a mettere in fila gli eventi di oltre un decennio e a tessere le trame da una matassa ingarbugliata è la memoria dell’autrice che ricostruisce la propria maturazione personale.

La vita in famiglia è uno straordinario specchio di quanto avviene fuori e altrove e la scrittrice vi incontra, in modo non convenzionale, le vicende nazionali e internazionali nel loro evolversi. Così chiamata dal padre “brigatista” ne scopre solo in seguito il significato.

Gli ideali del socialismo o del liberalismo si misurano con le opere e i giorni; nell’interazione quotidiana le grandi questioni sono tradotte in preoccupazioni quotidiane, in dialoghi concreti, in vissuti emotivi, sfumando le tracce di retorica idealistica. Nelle turbolenze il richiamo delle radici rimane parte della vita, è ineliminabile. Il viaggio ad Atene in compagnia della nonna Nini ha il sapore di un ritorno affettivo ai luoghi dell’infanzia, con la saggezza di chi sa che il passato non ritorna. é l’occasione per scoprire un lungo passato di vita rimosso.

Il racconto di Lea Ypi non è solo un agglomerato di aneddoti o la successione di eventi. Pur in una prosa leggibile e chiara, la realtà rivela la sua complessità. Ci sono intrecci e collegamenti ma anche fratture e discontinuità.  Più razionalità ispirano i comportamenti dei singoli, dei gruppi, delle famiglie e delle collettività. Ci sono momenti di contatto e di sfregatura tra processi ma il destino non è del tutto preordinato. Cambiano i sistemi, le regole generali, i modi della convivenza. Sono, tuttavia, le persone a dare continuità, attraversano gli eventi: talvolta ne sono travolti (come i componenti della famiglia che finiscono in carcere, o si danno una fine tragica), spesso si riadattano (rimuovendo ricordi del passato…), comunque sopravvivono, senza perdere l’orientamento. In questo contesto si disuniscono famiglie che poi si ricompongono, si aprono strade del tutto impreviste e si può essere presi dalla forza collettiva delle folle, nella fuga dal paese come nella rincorsa all’investimento finanziario.

Ne deriva una prosa che assorbe chi legge immergendolo in quella terra di mezzo che intreccia le vite individuali con i cambiamenti del paese. Gli eventi storici generali sono scomposti nelle loro tracce di vita individuale e si arriva ad una ricostruzione non convenzionale di una drammatica transizione.

Le vite reali in movimento

Il crescere di Lea Ypi e le vicende geopolitiche del paese si intrecciano. La storia scorre attraverso i giorni e le opere delle persone, di cui chi scrive ha ricordi molto precisi, quasi scolpiti, tra l’abbraccio alla statua di Stalin sotto la pioggia nel dicembre del 1990 all’imbarco per l’Italia nel 1997.

Il racconto in prima persona, tipico dei memoir, non è una soluzione tecnica. Dà una linea di continuità e di senso ai dialoghi, alle conversazioni, alle riflessioni, ritmando la maturazione graduale di una ragazza in formazione. La protagonista instancabilmente e con insistenza pone domande. Le speranze, le paure, il disorientamento sono disseminati nel testo, ma il fuoco rimane la mente riflessiva dell’autrice. L’insopprimibile curiosità che l’anima le permette di attraversare momenti destabilizzanti, piccoli o grandi che siano.

Il memoir non è, tuttavia, un’elaborazione individuale. è una storia di gruppo, anzitutto familiare, quasi di una dinastia. Una famiglia di intellettuali dai profili diversi, attenta ai passaggi di generazione (alcune verità non sono passate subito a Lea per proteggerla) con un’eredità del passato che non tramonta, pur rimossa quando necessario (alla piccola Lea viene richiesto di non tradire la propria famiglia), talora dissimulata (il codice segreto delle prigioni passate come lauree conseguite), alla fine apertamente riconosciuta (il viaggio ad Atene è una sorta di epifania). Il padre, la madre e la nonna Nini sono ben caratterizzati, colti nei momenti informali, illustrati con aneddoti, descritti indirettamente e sapientemente con le espressioni e le battute. Gli interventi, puntuali e misurati, della nonna ricorrono in molte conversazioni e discussioni di famiglia, consolidando la statura di una persona capace di salvaguardare la propria dignità. Il padre è presente in momenti cruciali. Così la figlia ne ricorda l’insegnamento my father emphasized socialism is about reciprocity (p.11). Il padre risponde prontamente all’imbarazzo della figlia per l’assenza di testimonianze della lotta partigiana nell’ambito familiare e di lotta per difendere la liberà: “That’s not right… We have someone. We have you. You care about freedom. You’re a freedom fighter” (p.27). La filosofia del padre, comunque, domina: “We survived the Turks. We survived the fascists and the Nazis. We survived the Soviets and the Chinese. We’il survive the World Bank”, p.249).

A rendere quasi intrigante il racconto non è solo la maturazione politica che si sviluppa, ma anche alcuni passaggi. Così quando scopre come i genitori e l’amata nonna le avevano nascosto informazioni per proteggerla e lei non manca di chiedere al padre quanto questo fosse stato difficile. Il parlare in codice dei tempi laceranti vissuti dai parenti (l’aver ottenuto un diploma era essere uscito dal carcere, abbandonare era suicidarsi, studiare relazioni internazionali era essere in prigione per tradimento…) rientra nella complicità che è parte di un sistema che ha a che fare con la polizia segreta e con la persistenza del passato. In un paese ateo formalmente sopravvivono posizioni religiose. Lea scopre le radici religiose della famiglia con il we are muslim affermato dal padre, ma registra anche la precisazione della madre a correzione con il we were muslim.

Solo dopo la fine del regime socialista Lea viene a sapere che il palazzo sede del quartiere generale del Partito era stato espropriato dalla famiglia di origine della madre e che nel 1947 dalla finestra al quinto piano si era suicidato il bisnonno per sfuggire alla tortura. E capisce i riferimenti a quella finestra colti nel dialogo sottovoce tra il padre e la madre (p.48). Orientata dalla maestra a disprezzare Xhaferr Ypi, il primo ministro collaborazionista, scopre dopo che si trattava del suo bisnonno e che quel cognome aveva rovinato le carriere dei propri genitori.

Per la madre la stagione socialista è come un torneo di scacchi sospeso prima della conclusione obbligando i giocatori ad un nuovo gioco, quello del socialismo. Un’interruzione storica: con la fine della guerra fredda si riavvia la partita con le regole precedenti (p.197), i giocatori riprendono le mosse con i loro pezzi. All’interno di uno scenario diverso: lo Stato è come il direttore di un torneo di scacchi che fa rispettare e controlla i tempi, ma non interferisce sulle pratiche di gioco.

Gli eventi hanno il volto delle persone come scrive nell’epilogo Lea Ypi. I tratti della storia sono resi attraverso i protagonisti non solo dell’ambito familiare. Il ruolo della scuola e della maestra Nora, soprattutto nella prima parte, è in evidenza, come guardiana del regime e difensore dell’ortodossia. Le compagne di classe con i loro itinerari, allargano l’orizzonte e i drammi sono vissuti tramite loro come con i vicini di casa o con il funzionario dell’agenzia internazionale (chiamato il coccodrillo per via del brand sulla maglia), consulente sulla transizione.

Cambiamenti, antagonismi non senza ironia

Nei sommovimenti tellurici gli strati profondi possono riemergere. Ogni paese è fatto a strati, comprende il passato e il presente. Come un’Idra a molte teste il cambiamento ha così molte facce anche quando sembra lineare.

Nella svolta turbolenta le categorie di base del vivere sociale sono scosse. Diversi sono i punti di vista, le scelte delle persone, le motivazioni, le reazioni in singole circostanze. La diversità diventa ambivalenza colta nelle manifestazioni apparentemente innocue. La proprietà privata affermata, gli investimenti falliti, le proprietà espropriate, perse ma poi in parte recuperate in extremis fanno parte di una transizione, in cui nuove élite, goffe e ingenue (l’aneddoto delle grey sochs date in prestito al politico neofita è rivelatore), cercano di emergere.

Le divergenze sono nelle esperienze concrete: mentre per la maestra Nora era necessario organizzare la lotta globale del proletariato (p.239) per il consulente della Banca mondiale gli obiettivi sono “foster transparency”, “defend human rights” e “fight corruption” (p.239).

Nelle turbolenze lo sguardo al passato può pesare e l’orientamento al presente e al futuro può riconciliare con la memoria. La giovane Lea percepisce qualcosa in famiglia e ricorda:“I could never explain to my friends what it was like to live in a family where the past seemed irrelevant and all that mattered was debating the present and planning for the future (p.26). Quando arriva il momento in cui si squarcia il velo della dissimilazione e conosce l’intera storia della nonna confessa che “I had tried to guess countless times” (p.131).

Si affermano messaggi che raccolgono folle e danno vita a movimenti collettivi. To be like the rest of Europe” (p.263) non è un manifesto politico, ma l’opinione che si afferma anche attraverso i media occidentali e si trasforma in un’aspirazione generalizzata. Sottolinea la polarizzazione dell’attenzione sul “come” e non sul “perchè”, annota Lea Ypi. Il mito dell’Europa si traduce nell’ingresso in un tunnel oscuro di cui non si conosce l’uscita.

Un paese ermeticamente chiuso, all’apparenza compatto, rivela un pluralismo nelle biografie delle persone, nel succedersi tra le generazioni, nell’alternarsi delle gerarchie. Può anche avvenire che la lingua francese diventi per Lea la prima lingua parlata con la nonna.

Le sfumature ironiche, sparse qua e là nel testo, accentuano la drammaticità degli eventi. Nella discussione sui regimi in my family everyone had a favourite revolution, just as everyone has a favourite summer fruit” (p.104). Così, ricorda Lea Ypi, la prima domenica di libere elezioni ci si crogiola a letto più a lungo del solito (“we spend the Sunday morning of the first free and fair elections burrowed in our beds (p.144). Per strada mentre il richiamo ad alta voce “Comrade! Comrade!” risulta inefficace, il “Sir! Sir! della nonna richiama l’attenzione (p.175). Prima, chi tentava di fuggire veniva arrestato, anche oggi chi lascia il paese viene arrestato nel paese d’arrivo. Osserva la scrittrice: “The only think that has changed was the colour of the police uniforms” (p.184-185). Nei decenni precedenti l’Occidente lamentava la chiusura dei regimi dell’Est, rivendicava libertà di movimento e considerava i fuggiaschi come eroi, ora li tratta come criminali da perseguire. Quando Lea decide di frequentare la moschea il padre le domanda scherzando: “did you pray for me to find a job?” (p.218). Durante un incontro con una delegazione occidentale la madre sorprende affermando “I always carried a knife” (p.202) tra lo stupore sbalordito dei presenti e spiegando, quasi a giustificazione, che anche negli USA (“in the land of freedom“, p.203) il porto d’armi è aperto a tutti (p.203). Quando la nonna Nini, durante il viaggio ad Atene, parla in greco, dopo cinquant’anni passati fuori della Grecia a Lea pare di essere di fronte a due persone: “Nini, the person I trusteed and admired most, and someone else, a misterious women from another time “(p.171).

Perplessità e dubbi

La distanza tra la realtà e le ideologie ritorna nella prosa asciutta, quasi indipendente, avalutativa del testo e genera considerazioni ambivalenti, se non sospensioni di giudizio sparse qua e là nella narrazione che diventa così penetrante e spiazzante, distante da stereotipi.

La credibilità della famiglia, come fonte di certezze, appare incrollabile, non incrinata da dubbi (“it had never occurred to me…that my family was the source not only of all certainty but also of all doubts” (p.122). Anche “the unsolved mysteries of my childhood”, spiega l’autrice, erano a portata di mano e rimanevano tali perchè, scrive, “I didn’t know how to ask the right questions” (p.122). Ricorda, tuttavia, anche se non dimentica la paura dei genitori di essere arrestati e il loro atteggiamento protettivo nei suoi confronti.

Lea Ypi ricorda che cosa garantiva il Partito e i benefici del regime comunista (p.207). Dell’eredità del partito comunista di cui essere orgogliosi, per la madre è che “the way the Party had enforced strict equality between genders without making any concessions” (p.207). “She war right, but only in part” (p.207), chiosa la figlia spiegando che “Socialism had succeeded in ripping the veil off women’s head, but not in the minds of their men” (p.208). In casa il padre e la nonna si appoggiano sul duro lavoro fisico della madre. Il rapporto del padre con le faccende domestiche è come quello di un bambino davanti al cavolo da mangiare (p.209)

Il femminismo in occidente richiama definizione di quote e azioni positive contro la discriminazione di genere. In Albania deve fare i conti con le preoccupazioni concrete delle famiglie per i propri figli emigrati e senza contatti (p.205). La visita alla madre di una delegazione occidentale è resa bene, nella sua drammaticità, dai silenzi durante gli incontri, dalle affermazioni che sorprendono i visitatori, dalle domande inevase degli interlocutori a cui Lea assiste e di cui fa tesoro.

Dopo il collasso e l’avvento del pluralismo, c’è un’apertura delle menti, quasi una liberazione del pensiero. Sorgono, così, i dubbi. Scrive Lea Ypi: “I’m not what to think. I used to believe in socialism, and I was looking forward to communism. I thought we were right to fight exploitation and to give power to the working class” (p.142). Sente le parole di Elona (“Nobody believes in socialism any more. Not even the working class”, p.142) e registra la confessione dei genitori (“My parents now say our family was on the wrong side of the class struggle”, p.142).

Cambiano gli atteggiamenti delle persone che non sfuggono all’autrice: I genitori diventano nervosi per ogni cosa che non funziona, prima ogni inconveniente era accettato senza traumi o reazioni, passivamente. E si pongono interrogativi. Dopo un passato in cui la religione, o le religioni, era stata ufficialmente sostituita dagli ideali comunisti e dalla secolarizzazione con le chiese e le moschee trasformate in luoghi di pubblica utilità, verranno ricostruite le chiese e le moschee? La discussione sui luoghi di culto religioso apre domande sull’esistenza di Dio, sulle posizioni religione personali e familiari.

Essere come gli europei è il senso di un’aspirazione comune e l’imbarcarsi per la fuga è la via di uscita. Manca, tuttavia, il senso finale della direzione: “People hardly gave thought to the purpose. Knowing how you would get somewhere was more important that knowing why(p.184).

Nel nuovo scenario il padre, fluente in cinque lingue oltre l’albanese, non nasconde le proprie incertezze di fronte all’ingresso in politica non essendo un membro del partito che lo poteva candidare. Le sue posizioni, peraltro, non sono del tutto chiare. Non è sicuro sulla privatizzazione e sul valore del mercato, dubita sull’ingresso del paese nella NATO e non crede che il problema più grande sia la corruzione. Nelle parole della figlia: “He did not know where his opinion placed him on the left or on the right. He felt ‘left on justice’, but ‘right on freedom” (p.265).

Gli spazi tra ideali e realtà sono occupati dalle persone e dalle loro vicissitudini che non sono variabili dipendenti, ma parte dell’ossatura degli eventi storici. Per una ragazza di poco più di 10 anni è una vita duplice, come riconosce: “the life I lived, inside the walls of the house and outside, was in fact not one life but two, lives that sometimes complemented and supported each other, but mostly clashed against a reality I could not fully grasp.”

Variazioni nelle parole chiave

Ogni stagione politica ha le sue parole e il suo vocabolario. La svolta si rivela, quindi, anche nel mutamento del linguaggio e delle sue espressioni chiave.

Il vocabolario del socialismo viene rapidamente sostituito con quello del liberalismo con le sue parole chiavi, i suoi slogan accattivanti. Dittatura, proletariato e borghesia quasi spariscono dal discorso pubblico (p.137). “Individual initiative, transition, liberalization, shock therapy, sacrifice, property, contract, Western Democracy” sono le nuove voci dei discorsi della madre attivista politica (p.196). La “società civile” prende il posto del Partito (p.215; p.216), il curriculum vitae scalza le biografie, gli hooligans sono  gli attori delle proteste di piazza (p.12).  Crescere è quindi anche padroneggiare le transizioni linguistiche. La giovane Lea non manca di fare il parallelo tra “Allahu-akbar” il cui significato riesce a strappare dal padre restio a tradurre le ultime parole del politico suicida e il “Long live to Party” (p.48). Dalla psichiatria si ricava la shock therapy (p.153) diventata formula chiave per la transizione del paese mentre “corruption” diventa “a new buzzword” (p.264) dai molti significati e onnicomprensivo. “Structural reforms” (p.142) sono definite le drastiche misure di ridimensionamento delle aziende per recupero di produttività, mentre la madre parla degli “owners” per indicare i proprietari degli immobili prima della repubblica socialista (p.257).

Alla ricerca della libertà

Fin dalle prime pagine il tema della libertà e della democrazia entra nel racconto. Gli slogan di protesta degli studenti mentre la piccola Lea a 11 anni abbraccia la statua di Stalin (p.30) a cui era stata mozzata la testa sono “fredom, democracy, freedom, democracy” (p.5). Nella ricostruzione dei propri ricordi gli interrogativi sulla libertà sono precoci. Perchè protestare per la libertà se siamo già liberi come afferma la maestra? Così comincia la sua maturazione politica.

A maglie larghe

La democrazia e la libertà non sono i connotati del mondo in cui vive bensì, precisa l’autrice, “a mysterious future condition about which I knew very little” (p.30). La sua storia non riguarda, infatti, eventi di un periodo ma la ricerca per le giuste domande che non aveva mai pensato di porre (p.31). Freedom diventa una categoria attorno a cui riflette la protagonista che si chiede in che cosa consista veramente. Anche perchè gli usi del termine sono svariati.

Free è un termine che ricorre, una sorta di chimera vagante; sentirsi free è uno stato d’animo e si ritrova in circostanze molto diverse. Un mot-valige i cui utilizzi diversi sono smascherati da chi scrive (pp.215; 234; 247; 251). Come si possa essere liberi è la cifra di un itinerario intellettuale, più che l’intenzione di individuare il sistema politico migliore.

Gli slogan della protesta nei primi anni 1990 “Freedom, democracy. freedom, democracy” (p.5) sorprendono perchè, ricorda la politologa, “I had never given much thought to freedom”. Non senza motivo: “There was no need to. We had plenty of freedom” (p.5) al punto che “I felt so free that I often perceived my freedom as a burden and, occasionally … , as a threat” (p.5). Sulla questione “I tried to think like my teacher” condividendo la constatazione che “We had socialism. Socialism gave us freedom” e  concludendo logicamente:Protesters were mistaken” (p.15).

Alle domande e ai dubbi era la maestra a dare le risposte (“she always gave clear unambiguous answers” mentre in famiglia “nobody seemed to share my curiosity” (p.20). “Curt, evasive answers” da parte della famiglia agli interrogativi, spinge la giovane mente a una precoce maturazione attorno al tema della libertà.

Anche il confronto con i coetanei occidentali riporta alla convinzione di avere la libertà: di fronte al livello di vita e al benessere dei paesi europei, reso vivo dai media,“We knew we did not have everything. But we had enough we all had the same things, and we had what mattered most: real freedom“(p.90).

La libertà diventa anche una condizione di vita. Un insegnamento della nonna Nini va alla radice della libertà personale. We are all in charge of our fate ricorda alla nipote  spiegando che “Biography was crucial to knowing the limits of your world but, once you knew those limits, you were free to choose and you became responsible for your decisions” p.42). Un’idea coerente con il pensiero della mamma (“Like the moves in chess… the game was yours to play if you mastered the rules” p.42).

In nome della libertà si leggono gli eventi e si formano le valutazioni.  All’ Eurovision Song Context a Zagabria nel 1990 Toto Cotugno trionfa con la canzone Insieme che, ricorda Lea, “I have always assumed celebrated freedom and unity in the spread of socialist ideals around Europe”. Un paio di anni dopo scopre che la canzone “was actually about the Maastrict Treaty, which would soon consolidate the liberal market” (p.124).

L’insegnamento della nonna Nini con alle spalle una famiglia conservatrice da più generazioni insediata in varie località dell’impero ottomano, è senza confronti. Racconta alla nipote la propria vita, ricca e variegata, con uno scopo bene preciso, si direbbe di alta pedagogia. Ricorda l’autrice: “She wanted me to remember her trajectory, and to understand that she was the author of her life” spiegando che “despite all obstacles she had encountered on the way, she had remained in control of her fate …and never ceased to be responsible“, concludendo: “Freedom … is being conscious of necessity” (p.133).

La libertà è anche l’obiettivo del Democratic Party a cui partecipa attivamente la madre per la quale “to be like the rest of Europe” veniva riassunto in “fighting corruption, promoting free. enterprise, respecting private property, encouraging individual initiative. In short: freedom” (p.263).

Le varie tappe della vita della nonna sono un serie di decisioni assunte. Dalla crescita in Grecia all’abbandono di Salonicco, dall’incontro con il nonno agli anni di isolamento e di durezza, dalla nascita del padre alla sua stessa nascita, scrive l’autrice “I would find continuity where others saw only rupture. I would be the product of freedom rather than necessity” (p.172).

“Like a dish served frozen”

Alla caduta del regime nel 1990 “only one word was left: freedom”, ricorrente sui media, nei discorsi pubblici, negli slogan di strada (p.137) perchè “socialism, the society we lived under, was gone” e “communism, the society we aspired to create… was gone too” (p.137). In realtà riflette l’autrice: “When freedom finally arrived, it was like a dish served frozen”(p.137). Si era solo al punto di partenza non al porto finale di approdo mentre commenta criticamente “we used the term freedom to talk about an ideal that had finally materialised, just as we have done in the past“(p. 138). In realtà “this revolution … was a revolution of people against concepts” (p.151). E quando Karl Marx e Friedrich Engels vennero sostituiti di colpo da Milton Friedman e Friedrich von Hayek, fu facile credere al “Freedom works” proclamato dal segretario di Stato americano James Baker di fronte ad una folla di 300 mila persone (p.154).

Il senso di free invade la sfera privata. Il padre in attesa di un nuovo lavoro non garantito e non facile da avere commenta: “We ‘ll see.. That is capitalism. There’s competition for work. But, for now, I am free (p.188). Anche la presenza di ONG e il rischio che arrivi anche l’AIDS osserva la nonna Nini: “it’s is freedom…It’s what too much freedom brings. There are good thinks, and bad things” (p.215).

Freedom non è una parola nuova, ma subisce una cosmesi nell’intonazione. Nei discorsi pubblici la madre, rigida professoressa di matematica (p.264), racconta Lea Ypi, “pronounced it differently, always with an exclamation mark at the end“; così “it sounded new” (p.196).

“No longer the freedom of the collective”

Segnano il cambiamento la sostituzione di centralismo democratico con liberalizzazione, di collettivizzazione con privatizzazione, autocritica con trasparenza, di transizione dal socialismo al comunismo a transizione dal socialismo al liberalismo, di lotta anti-imperialista con lotta alla corruzione: tutte nuove idee sulla libertà “though no longer the freedom of the collective, which has in meantime become a dirty word” (p.216).

L’inversione di tendenza è impersonata nel memoir dall’esperto della Banca Mondiale (il coccodrillo) per il quale capitalismo non era una categoria adatta al vero processo in atto, cioè alla transizione sebbene, come annota Lea Ypi, “he had a vague sense of the destination” (p.238) dal momento che “catching up mattered more than explaining where one was heading” (p.239). Si arriva anche alla banalizzazione del termine. Così il consulente internazionale per sottrarsi alle pressioni durante una festa in suo onore afferma battendo i pugni sul tavolo “I am free” (p.234-35) per rivendicare la possibilità di decidere se ballare o non ballare.

Per il padre la questione è, invece, molto profonda come per le persone della sua generazione. Di fronte ai mutamenti indotti dalla nuova logica di mercato, scrive la figlia, he was more preoccupied by freedom of thought, the right to protest, the possibility of living in accordance with one’s moral conscience” (p.250).

Mentre è opinione corrente che il liberalismo sia la liberazione dall’opprimente socialismo, l’autrice non sembra condividere quella che si rivela essere un’illusione. Nelle pagine conclusive il liberalismo viene definito come “broken promises, the destruction of solidarity, the right to inherit privilege, turning a blind eye to injustice”. Quasi lasciando sottintendere che la libertà esiste come ideale utopico, non realizzato, ma radicato nell’animo umano.

Continuità e discontinuità nel tempo 

Il libro ci fa conoscere volti sconosciuti della recente storia dell’Albania. Implicitamente il racconto di Lea Ypi ribadisce che con il crollo del comunismo reale la storia non è scomparsa[2] nonostante il sottotitolo, forse provocatorio, del memoir (“… At the End of History“). Leggendo pagina dopo pagina, si riscopre la continuità della transizione, troppo frettolosamente accantonata come svolta radicale e letta come tramonto di un’epoca e approdo in una stabile conformazione politica. Pur nella forma di un memoir il libro ci ricorda che cosa è la storia: ci catapulta nei meandri delle vicende che nel periodo tra la fine del Novecento il nuovo secolo hanno sconvolto le traiettorie individuali, i destini di famiglie e il futuro di interi paesi. Tre aspetti di questa testimonianza sono di rilievo.

Chi sono gli attori della storia?

La nuova storia, ci dicono i cultori della materia, ha da anni aperto gli orizzonti di chi lavora sul passato. La pluralità degli attori e la varietà dei protagonisti genera una molteplicità di narrazioni la cui sintesi è arte delle scienze storiche. La logica degli Annales richiede di penetrare nel vivo dei processi e di mettere i piedi a terra nella vita della gente. Le dimensioni individuali delle grandi vicende sono fondamentali. I memoir aggiungono ai diversi modelli di analisi, il racconto del vissuto con le sue peculiarità e soggettività, altrettanto prezioso quanto le cronologie e le versioni ufficiali delle transizioni storiche. Non sono necessariamente solo una versione intimistica o individualistica dei processi[3], ma come dimostra il lavoro di Lea Ypi, possono essere una lettura integrata tra la biografia personale e le vicende di un paese.  Così si può comprendere quanto la politologa scrive nel momento della transizione: “This revolution, the velvet one, was a revolution of people against concepts” (p.151). Dopo il collasso del regime socialista tutti i sopravvissuti potevano considerarsi vincitori; “with no perpetrators, only ideas were to blame“(p.151).

Tramonto o sostituzione delle illusioni?

A questi due si aggiunge un terzo aspetto. Prendendo a prestito il titolo di un libro chiave sul comunismo[4], il passato di una illusione potrebbe riassumere il tramonto del socialismo albanese. In realtà la lettura degli eventi proposta indirettamente dal memoir di Lea Ypi non è così a senso unico; è più sfumata, ancorata com’è a vicende reali e non a semplici contrapposizioni ideologiche. La scomposizione dei processi rivela che il confine tra evento storico generale e azione individuale non è mai nettamente tracciabile.

La riflessione della protagonista mette in discussione una semplificata visione di una soluzione alla crisi a favore di un passaggio da una realtà problematica ad un’altra altrettanto critica. è un armeggiare verso una utopia non realizzata[5]. Tra la nostalgia stalinista e il trionfalismo del liberalismo c’è un futuro diverso: nessuno dei due scenari è terminale, c’è un campo aperto da ricomporre.

Il socialismo albanese è uscito dal teatro della storia, ma le persone non tramontano come i regimi; soprattutto rimangono in agenda le aspirazioni alla libertà e le responsabilità personali. Quando si è vaccinati contro le illusioni che hanno ispirato l’azione politica nel passato o quelle che animano quelle del presente, si apre uno futuro diverso.

“At the End of History”?

Tramontano i grandi processi e le grandi ideologie. La realtà è fatta di micro-processi, di paesi che decadono e si riprendono, di generazioni che si susseguono, di famiglie che vivono le diverse stagioni. In questo quadro i gruppi sociali e le élite possono attraversare periodi bui, mantenendo la dignità e la solidità di un capitale culturale che va oltre le effimere stagioni politiche, talvolta riproducendo gerarchie e divisioni, ma anche tramandando convinzioni e aspirazioni. Sono queste eredità che impediscono la scomparsa dalla storia[6] con la fine di un regime o con la sua mera sostituzione. Il crollo del socialismo non è una favola del tutto a lieto fine nel momento in cui il liberalismo rivela le sue profonde aporie.

“In my search for certainty

Il testo di Lea Ypi non è solo leggibile, ma anche appassionante, coinvolgente, trascinante: scritto molto bene, con arguzia e perspicacia, diventa talvolta divertente, talora anche provocatorio, lucido sempre nel dipingere le tragedie. Una scrittrice incredibile e sorprendente che accompagna il lettore in un viaggio che non ha una meta, ma una direzione di cammino. Fuori dagli stereotipi, pronto a cogliere le sfumature, aperto ad una pluralità di visioni. Curiosità e riflessione si intrecciano: “The story of my life was not the story of the events that had occurred in any particular period but the story of searching for the right questions, the questions I had never thought to ask” (p.31)

L’esperienza è legata alla curiosità che caratterizza la giovane, sempre pronta a fare domande al padre, alla madre, alla nonna, a discutere con le compagne di classe sulle più disparate questioni, dalla voce dell’iman dal minareto se fosse registrata o in diretta (p.268) al senso dell’appartenenza ad una religione. Le domande sono un denominatore comune a tutte le interazioni.

Così diventa difficile dimenticare le sottolineature del padre tra il serio e il faceto (p.241) (“irony was more than a rhetorical device, it was a mode of survival” (p.241), sparge ironia per sopravvivere, il dialogo con la compagna sul dopovita, il ritorno in Grecia. Così a proposito del trasformismo della docente marxista di filosofia ricorda: “my father joked that some skills were eminently transferable” (p.213).

L’indubbia padronanza dello storytelling fa si che l’intreccio tra le vicende di un paese e di un intero contenente e i giorni individuali, sia reso in modo armonico. Non c’è separazione; la dimensione individuale non è scindibile dai processi di cambiamento generale, è interconnessa con le dinamiche politiche. Per questo il racconto è unico ed equilibrato, è una variabile di un complesso divertente anche commovente, pungente, acribico nelle distinzioni, se non disquisizioni, annotate con precisione, e ottimamente scritto.

Entrano nella narrazione in modo plastico anche oggetti materiali spesso di uso comune quasi assumendo un valore simbolico a partire dalla la statua di Stalin abbracciata ma decapitata in una giornata di pioggia. La lattina vuota di coca cola status symbol conteso tra i vicini, la sciarpa rossa da pioneer indossata prima con orgoglio diventata poi uno strofinaccio per spolverare la libreria (p.126), il coltello sempre presente nella borsa della madre, le grey socks date in prestito al nuovo politico e mai restituite, sono materiale plastico semplice in una storia quanto mai complessa. Anche quella finestra del palazzo espropriato alla famiglia della madre e osservata ad ogni passaggio è un particolare che incombe mentre il gioco da ragazza conteso con il padre dà un tocco di simpatica umanità. Il gioco degli scacchi diventa una metafora del cambiamento politico, la cartella rossa è motivo di distinzione che imbarazza mentre le spugne di luffa, avute in omaggio in Grecia e possibile oggetto di commercio di strada, legano storie diverse.

Forse inusuale in un memoir di tragedie vissute, il racconto è intriso di umanità, pervaso di speranza, pur impregnato di dolori, di sangue e di carne. in cui si mescolano, si ibridano l’odore, il profumo dolce e inatteso dell’umanità.

Un libro meraviglioso e sorprendente nel legare la curiosità personale e le vicende macro di un paese in transizione. Il lessico familiare, con i suoi codici, i suoi segreti, legato anche ai ruoli (vedi le sentenze del padre), la sua umanità rende un periodo, comune a molti, di illusioni che affondano, di sicurezze che collassano e di speranze che cozzano contro la realtà. L’ultimo miglio del comunismo albanese diventa lo scenario per una storia universale, là dove i regimi collassano, mettendo a nudo quanto rimane del precedente, dando origine alla sostituzione, comunque nella continuità.

Nella crisi degli altri, del paese, della madre, del padre, la nonna rimane coerente nella difesa della propria dignità e segue l’autrice nel suo crescere intellettuale, nella sua ricerca curiosa del senso da dare agli eventi, nel suo itinerario che è elemento di continuità in una realtà in sfacelo anche finanziario (gli schemi piramidali depredano i risparmi dei cittadini e della famiglia), di destini individuali interrotti o stravolti (la madre in Italia come bandate di persona anziana), di comunità sfaldate (il vicinato scompare con i cambiamenti immobiliari), di rete di rapporti tranciati di netto (perdita dei rapporti con Elona probabilmente naufragate nelle notti della prostituzione).

Coinvolto nelle riflessioni meditate sparse nel testo, riesce difficile al lettore sottrarsi agli stimoli intellettuali che ne derivano per la revisione delle sommarie idee sul crollo del regime socialista di Tirana, sulla transizione al post-comunismo e sulle promesse del neoliberalismo.

Un memoir intellettuale

I memoir sono un genere letterario[7]. Quelli dell’infanzia e dell’adolescenza sono i periodi più ricorrenti. Possono essere individualistici, chiusi nei travagli psicologici, drammatici nei traumi della crescita, tristi nelle nebbie dell’abbandono familiare o laceranti nell’esodo traumatico dalla comunità di origine. Non sono mai una fredda cronologia o una mera autobiografia. In Free l’approccio ha un sapore insolito nel modo in cui si saldano valenze individuali e dimensioni collettive. Sembra di scorgere una scelta ragionata dei ricordi, degli aneddoti, degli eventi individuali, di famiglia e di paese per una storia nonostante tutto equilibrata che ha sullo sfondo oltre un decennio e vede protagonisti, diretti o indiretti, tre generazioni.

Il sottotesto è, paradossalmente, nel titolo stesso che rivela l’anima profonda del memoir. Il tema è la libertà e, soprattutto, gli interrogativi ad essa connessi: che cosa intendiamo con questa parola? Non solo libertà negativa libertà dall’interferenza di altri ma anche libertà positiva, libertà di agire con la propria volontà e svilupparsi Il sistema di opportunità, ma anche le strutture che rendono possibile per il singolo coltivare il proprio talento. Lea Ypi, dopo tutte le vicissitudini attraversate, dichiara: “despite all the constraints, we never lose our inner freedom: the freedom to do what is right” (p.305). L’ottica è connaturale alla mente di una brillante politologa di successo[8].  Probabile che ci sia molto degli studi e delle ricerche condotte in seguito dal professore di teoria politica che questo interrogativo mantengono e coltivano[9].

Nell’Epilogo Ypi confessa che la sua idea originaria era quella di scrivere un libro sulle sovrapposizioni tra liberalismo e capitalismo. Nel corso del lavoro si è imbattuta nelle persone (“the flesh and the blood of a real person” (p.308) e ha cambiato registro. Dietro le idee, gli slogan, i regimi e le ideologie ci sono gli uomini e le donne che popolano la storia: chi conosce il carcere come il bisnonno, chi fa il manager dubbioso come il padre, chi lavora al porto come i roma a rischio di licenziamento, chi sta in agricoltura come i contadini con cui la nonna ha lavorato mentre il marito era in prigione. Così è nato un libro su come è diventata grande, come si è andata formando le proprie convinzioni. Nell’ultimo capitolo c’è un significativo richiamo al filosofo Marx  da parte del padre (“He said that philosophers have only interpreted the world. The point is to change it” (p.302) che riformula una massima del marxismo.

Al termine può rimanere nel lettore qualche interrogativo sulle posizioni della autrice. Dal memoir sembrerebbe mettere in discussione posizioni antagoniste: critica nei confronti dei teorici del socialismo ancora esistenti, ma non lontana dalle critiche al neoliberalismo che già oggi tendono a prevalere dalle analisi delle esperienze storicamente realizzate. Nell’epilogo Ypi nota come le proprie storie degli anni 1980 non sono di interesse per gli amici universitari, cultori del socialismo, al punto che, scrive, “my appropriating the label of socialism to describe both my experience and their commitments was considered a dangerous provation” (p.306)[10]. L’interrogativo su che cosa sia la libertà è il messaggio di fondo che rimane. Nel solco della sapienza del Giano bifronte, divinità classica che presiede gli inizi e i passaggi, personali e collettivi.

Un libro imperdibile.

 

[1] Cfr. la Legge n.482 del 15 dicembre 1999 che dà attuazione all’art. 6 della Costituzione italiana.

[2] Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Utet Torino 2020 (1a ediz.1992).

[3] La letteratura è ricca di racconti di memorie che hanno testimoniato i volti di vari conflitti. Il romanzo storico di Emilio Lussu (Un anno sull’altopiano, 1938) ha raccontato la vita bellica dal punto di vista dei soldati nella prima guerra mondiale. Attraverso le vicende di un gruppo di studenti Erich Maria Remarque (Niente di nuovo sul fronte occidentale, 1929) racconta gli orrori della guerra. Nuto Revelli ha dato voce ai ‘sommersi’ della storia che le fonti ufficiali dimenticano (L’ultimo fronte: Lettere di soldati caduti o dispersi nella seconda guerra mondiale, 1971).

[4] François Furet ha ricostruito il ciclo dell’idea comunista nel XX secolo (Il passato di un’illusione. L’idea comunista nel XX secolo, Arnoldo Mondadori Milano 1995.

[5] Alle crisi e alle reazioni ad esse dedica un volume Jared Diamond (Crisi. Come rinascono le nazioni, Giulio Einaudi Editore Torino 2019).

[6] Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, UTET, Torino 2020 (1a ed. inglese 1992).

[7] Il memoir di Lea Ypi (2021) compare pochi anni dopo quello di Tara Westover (2018) e va ad arricchire il lungo elenco di lavori a cui aggiunge una specificità estranea ai più, la possibilità cioè di comparire nelle bibliografie sulle teorie politiche.

[8] Lea Ypi si è occupata di temi di teoria politica (cfr. Lea Ypi, Global Justice and Avant-Garde Political Agency, Oxford University Press, 2012.

[9] Si può trovare in questa concezione della libertà il collegamento kantiano. La stessa Lea Ypi riconosce il suo riferimento a Emanuel Kant e definisce la propria posizione in questi termini: “It’s a kind of Marxism which is centred on this idea of relating to other people as ends in themselves. Kant shows you what the potential is: you have reason and you are a moral agent and you can create a world that is moral. And then the Marxist story complements that with a critique of the societies in which we live” (George Eaton, “Lea Ypi: ‘The freedom that liberalism brought was only for some people'”,The Statesman 3 November 2021).

[10] Già in passato François Furet aveva annotato lo strabismo che permetteva di scindere la teoria dalle sue storiche realizzazioni. Scriveva: “Dai primi anni Cinquanta… in Occidente il grosso degli intellettuali, seguiti da un’ampia fetta di opinione pubblica, continuano a circondare il comunismo del dopoguerra del rispetto dovuto alle idee che si pensa rappresenti. Vista da Parigi, da Roma o da Oxford, l’universale validità della causa è indipendente da quanto accade a Varsavia, Praga o Budapest.” (Il passato di un’illusione. L’idea comunista nel XX secolo, Laffront Paris1995, p.474).