Da qualunque punto di vista venga esaminata l’azione per la scuola del Partito democratico, quale è stata interpretata dai governi guidati da Matteo Renzi (2014-2016) e, successivamente, da Paolo Gentiloni (2016-2018), è un capitolo di interesse nella storia delle recenti politiche scolastiche nel nostro Paese. Il programma elettorale (2018) offre l’occasione per alcune riflessioni sulle prospettive che il partito propone agli elettori dopo una stagione intensa e controversa, incisiva e divisiva, di lavoro attorno al tema dell’istruzione.

Per i commenti sul programma si sono utilizzate le fonti di informazione disponibili, dai documenti ufficiali (Senatori PD, L’Italia che cresce 2013-2018, 2018; Partito democratico (Pd), Più forte, più giusta, l’Italia, Sintesi del programma elettorale 4 marzo 2018[1]; Pd, Un altro programma credibile, sostenibile e praticabile, 100 cose fatte e 100 cose da fare) ai contenuti del sito del Pd, dalle interviste a Tommaso Nannicini, responsabile del programma, a quelle a Simona Malpezzi, responsabile scuola del PD o a Valeria Fedeli, ministro dell’istruzione, oltre ad altre a vari esponenti di spicco.[2]

Le note raccolte attorno al programma scuola sono organizzate risalendo, per cenni, alle origini (interventi e documenti della Leopolda, ai programmi per le elezioni politiche del 2013 e per le primarie del 2014), ancorando le proposte per le elezioni 2018 al piano sulla Buona scuola, alla legge n.107 del 2015 e alle fasi di messa in opera fino al 2018. Per arrivare a leggere le tessere del mosaico dopo aver colto l’atipicità del programma (1) si ricostruiscono per sommi capi le radici (2), tappe di un itinerario che ha occupato un ciclo di 5-6 anni (3), si passano successivamente in rassegna i diversi contenuti (4) per proporre, in conclusione, alcune riflessioni e alcuni interrogativi (9) che il programma sulla scuola del Pd ispira e suscita.

Nel commentare i singoli contenuti si discute nel merito e in termini di praticabilità, senza prendere in esame l’impatto del programma elettorale a livello di comunicazione o di attrattività per i cittadini chiamati alle urne. Per aiutare la comprensione dei contenuti del programma nel post sono riportati alcuni dati relativi al nostro sistema scolastico, pertinenti rispetto ai temi trattati e alle conclusioni.

1. Un mosaico in evoluzione

Il programma elettorale del Pd[3] è ampio e articolato: nel panorama delle varie proposte il tema della scuola non è del tutto centrale (aldilà delle affermazioni di principio), rientra nel capitolo Società della conoscenza, con proposte proprie e presenta caratteri di specificità e di dettaglio. Per vari aspetti, è legato alle misure per il lavoro e per la crescita e, da questo punto di vista, integrato nel programma generale. Incastonato nel complesso del programma (lavoro, occupazione, crescita, tasse…) mantiene, tuttavia, caratteri distintivi e, soprattutto, risulta articolato e contiene aspetti, di metodo e di contenuto, che val la pena di esaminare. Come avviene per i manifesti elettorali può apparire un patchwork, ma è il frutto di una progressiva elaborazione e la maggior parte dei singoli items ha, direttamente e indirettamente, alle spalle decisioni prese e interventi realizzati o in corso.

Due aspetti di carattere generale, tra di loro connessi, inquadrano l’approccio al programma del Pd. In primo luogo, “l’incompetenza è l’avversario” sostiene Matteo Renzi rivendicando conoscenza e padronanza degli aspetti tecnici e non solo politici delle questioni affrontate. Nel caso della scuola le scelte compiute e le misure varate hanno un preciso contenuto operativo (non sono solo principi o criteri di azione). Anche se l’immagine di una squadra esperta, presente nella comunicazione politica, è affievolita per il settore dell’istruzione (cambio di ministro dell’istruzione nel corso della legislatura e ministro successivo “non fiore all’occhiello” del governo). In secondo luogo senza dubbio il programma del Pd è quello più ricco di riferimenti a ‘cose fatte’, a realizzazioni e a processi in corso. “A differenza di altri stiamo promettendo molto meno di quello che abbiamo già fatto… ” afferma Tommaso Nannicini, responsabile del programma elettorale.[4] E gli fa eco con coerenza (“E’ giusto che chi ha governato si presenti al giudizio dei cittadini”) Maurizio Martina, ministro dell’agricoltura[5].

Per la scuola, inoltre, c’è una linea di faglia, che il programma cerca di ricucire, derivante dalle fratture verificatesi proprio nella realizzazione delle scelte di governo sui problemi dell’istruzione. Il programma viene definito al termine di una stagione che ha visto un’intensa attività ma anche un inatteso livello di controversie e opposizioni e, pertanto, in un contesto in cui si afferma la preoccupazione di riprendere le fila di un dialogo spezzato con le rappresentanze sindacali del settore. Nei ritardi nel comunicare il programma definitivo (dilazionata la data del previsto 21 gennaio ai primi di febbraio) c’era forse l’esigenza di una revisione di marketing elettorale: il ‘cruccio’ di non aver convinto quote importanti del personale che opera nelle scuole dopo aver dedicato energie e rilievo proprio agli insegnanti e al sistema scolastico può aver determinato il prammatismo e il realismo del programma finale da cui sono scomparsi nodi cruciali della Buona scuola.

Come conseguenza di questo stato delle cose il programma del Pd si differenzia rispetto agli altri attori per l’appuntamento elettorale. Presenta una sorta di struttura profonda, latente più che manifesta, che collega tre componenti distinte e problematiche: il resoconto, pur offuscato dalle criticità che l’hanno accompagnato, del lavoro ‘fatto’ (le 100 cose fatte), l’indicazione di continuità e di sviluppo lungo la strada intrapresa (annunciata talvolta senza traduzioni operative di dettaglio) e l’inserimento di alcuni nuovi item (le 100 cose da fare). E’ evidente la difficoltà di creare un intreccio coerente nella disomogeneità dei temi e delle logiche sottostanti che possono trovare rispondenza in audience diverse. Il render conto delle attività rientra nell’impostazione generale della strategia elettorale e può riguardare chi vede nel Pd una forza politica capace di governare; la continuità di azione cattura quella policy community (opinion leaders, docenti, dirigenti scolastici, genitori, amministratori, consulenti ed esperti, educationists…) che hanno condiviso le scelte e lavorato per la loro implementazione); le nuove proposte interessano sotto-aree in fase di costituzione raccogliendo auspici e lanciando segnali di innovazione per l’immediato futuro.

2. Alla ricerca delle origini

Per capire il programma 2018 l’esplorazione sulle radici, remote e vicine, dell’agenda che viene proposta per il prossimo governo può risalire alle 100 proposte della Leopolda (ottobre 2011) (a), al Programma del Pd per le elezioni politiche del 2013 (b), al programma di Matteo Renzi alle primarie del 2013(c), al programma di governo di Matteo Renzi (d), ai contenuti specifici del manifesto della Buona scuola (e), ai contenuti della legge 107/2015 e alla sua implementazione (e) e alle primarie del 2017 (f).

Contenuti

L’istruzione nelle 100 proposte della Leopolda (ottobre 2011)

La Leopolda è la stazione ferroviaria di Firenze riconvertita a sede di convegni e congressi e richiama gli incontri realizzati da Matteo Renzi, inizialmente in collaborazione con Pippo Civati, con l’avvio di un movimento di rinnovamento politico sin dal 2010. Nell’ottobre 2011 alla Leopolda viene proposto un elenco di 100 proposte alcune delle quali si riferiscono alla scuola e alla formazione in genere. I temi scolastici, pur vari, non sono molti, per la verità, e, soprattutto, sono periferici rispetto al complesso dei problemi di governo del sistema di istruzione. Non c’è ancora il profilo di un’agenda di governo e forse nemmeno una bozza di discussione. I 6 titoli relativi all’istruzione meritano comunque un commento: erano temi ‘caldi’ nel dibattito del momento più che attualizzazione di posizioni politico- culturali di una qualche tradizione.

La proposta n. 82 (“Abolizione del “valore legale” del titolo di studio. Introdurre nei concorsi della Pubblica Amministrazione criteri di valutazione dei titoli di studio legati all’effettiva qualità del percorso formativo dei candidati”) tocca una questione oggetto di iniziativa da parte della sinistra (soprattutto a livello universitario)[6] anche se storicamente appare come un mito della destra, coerente con le posizioni liberali Ripresa dal governo di Silvio Berlusconi verrà superata, con il governo di Mario Monti, dall’iniziativa del ministro dell’istruzione Profumo che con una consultazione pubblica online nella primavera 2012 metterà fine, se non definitivamente, per qualche anno, alla questione del valore legale del titolo di studio. La stragrande maggioranza dei partecipanti si dichiara, infatti, contraria all’abolizione.

Nell’elenco delle 100 proposte una seconda proposizione riguarda il cuore dell’educazione: “83. Restituire prestigio e reddito agli insegnanti capaci. Ossia rivedere radicalmente le modalità di reclutamento e di retribuzione degli insegnanti, sulla base di criteri legati alla competenza e al merito.” Si riprende un’istanza corrente, dandole una precisa connotazione. Non si lavora per una strategia complessiva per la professione docente, bensì si adombrano interventi in un’ottica che vede emergere la categoria degli ‘insegnanti capaci’ e fa riferimento, con qualche traccia di implicito manicheismo, alla competenza e al merito.

Il tema dell’editoria digitale aveva coinvolto la scuola italiana fin dal 2005 con un’iniziativa del ministro Giulio Tremonti da cui erano derivare norme e disposizioni per l’evoluzione dei libri di testo (in questo l’Italia aveva, in linea di principio, un primato condiviso con la Corea del Sud per i libri di testo digitali). Il tema rientra nelle 100 proposte (“85. Ebook per tutti. Moltissimi libri sono liberi dai diritti d’autore, in pratica lo sono tutti i classici della letteratura italiana. L’invenzione degli ebook ha eliminato i costi di stampa e di distribuzione di un libro e, nel caso specifico, non essendoci diritti d’autore, neppure questa voce di spesa è presente. I costi sono soltanto legati alla accessibilità su web dei titoli e l’organizzazione del loro downloading. Il Ministero della Pubblica Istruzione, con spesa molto contenuta, potrebbe offrire la disponibilità degli e-readers a titolo gratuito a tutti gli studenti e promuovere una diffusione simile, a basso costo, anche dei libri di testo”).

La proposizione n.86 (“Inglese sin da piccoli. Portare l’insegnamento dell’inglese ad almeno 5 ore settimanali in tutte le classi a partire dalla scuole elementari. È interesse del Paese che la padronanza dell’inglese sia diffusa, visto che la gran parte della letteratura scientifica, del commercio internazionale, dei prodotti multimediali parlano con quella lingua”) ripete una richiesta popolare, anche se con contorni indefiniti (l’insegnamento precoce della lingua inglese nella scuola elementare risale ai programmi del 1985…), acritica nel senso che non c’è alcuna considerazione sulla praticabilità e sull’impatto.

L’attenzione ai servizi per la prima infanzia (“92. Più Nidi e Asili d’infanzia. Collocare i Nidi e gli Asili d’infanzia sotto la competenza del Ministero dell’Educazione. Uniformare a livello nazionale la legislazione regionale sul rapporto metri quadri/bambini ed educatore/bambini”) riflette una questione ormai matura nel Paese nella consapevolezza diffusa, oggetto di varie iniziative politiche senza reali sbocchi a livello di decisioni nazionali, con un ricco elenco di esperienze significative realizzate localmente soprattutto da parte degli enti locali.

Emergono, quindi, nell’elenco della Leopolda temi correnti afferrati al volo, accostati senza priorità e ispirati dalla volontà di cambiare, di affrontare le questioni sul tappeto, quelle che potevano rappresentare un futuro. Nell’euforia del momento non c’è focalizzazione e, soprattutto, non pare esserci un lavoro di diagnosi in funzione della progettazione politica.

2013: Elezioni politiche (24-25 febbraio)

La parentesi del governo guidato da Mario Monti (2011-2013) centrato sul rigore di bilancio non esclude un cenno alla valorizzazione del capitale umano (“…bisogna mirare all’accrescimento dei livelli di istruzione della forza lavoro, ancora troppo bassi anche tra i più giovani. Vanno varati interventi mirati sulle scuole, tenendo conto delle differenti “performance” delle aree geografiche allo scopo di colmare il gap, come è stato anche richiesto esplicitamente anche dall’ Europa”. Vengono menzionati apertis verbis i test Invalsi che misurano lo stato dell’ apprendimento nelle grandi aree del sapere e annunciata la revisione del sistema di selezione, distribuzione e valorizzazione degli insegnanti.

Per le elezioni politiche del 2013 il programma del Pd che fa capo al segretario Pierluigi Bersani colloca la scuola tra i beni comuni, uno dei punti cardine del manifesto (“10. Beni comuni Per noi salute, istruzione, sicurezza, ambiente, sono campi dove, in via di principio, non deve esserci il povero né il ricco. Perché sono beni indisponibili alla pura logica del mercato e dei profitti. Sono beni comuni di tutti e di ciascuno e definiscono il grado di civiltà e democrazia del Paese.”).

Tra gli 11 punti in cui si articola il programma, inoltre, nella sezione relativa al sapere (punto n.7) si parla ampiamente di scuola: “La dignità del lavoro e la lotta alle disuguaglianze s’incrociano nel primato delle politiche per l’istruzione e la ricerca. Non c’è futuro per l’Italia senza un contrasto alla caduta drammatica della domanda d’istruzione registrata negli ultimi anni. È qualcosa che trova espressione nell’abbandono scolastico, nella flessione delle iscrizioni alle nostre università, nella sfiducia dei ricercatori e nella demotivazione di un corpo insegnante sottopagato e sempre meno riconosciuto nella sua funzione sociale e culturale“. La centralità della scuola, considerata nell’area della ricerca e formazione, è affermata esplicitamente (“In questo caso più che dalle tante indicazioni programmatiche, conviene partire da un principio: nei prossimi anni, se vi è un settore per il quale è giusto che altri ambiti rinuncino a qualcosa, è quello della ricerca e della formazione. Dalla scuola dell’infanzia e dell’obbligo alla secondaria e all’università: la sfida è avviare il tempo di una società della formazione lunga e permanente che non abbandoni nessuno lungo la via della crescita, dell’aggiornamento, di possibili esigenze di mobilità. Solo così, del resto, si formano classi dirigenti all’altezza, e solo così il sapere riacquista la sua fondamentale carica di emancipazione e realizzazione di sé.). Viene ribadito l’approccio di rigore e, da sottolineare, la considerazione del livello di preparazione degli studenti come criterio (“A fronte di questo impegno, garantiremo processi di riqualificazione e di rigore della spesa, avendo come riferimento il grado di preparazione degli studenti e il raggiungimento degli obiettivi formativi”), nella consapevolezza della necessità di una svolta (“La scuola e l’università italiane, già fiaccate da un quindicennio di riforme inconcludenti e contraddittorie, hanno ricevuto nell’ultima stagione un colpo quasi letale. Ora si tratta di avviare un’opera di ricostruzione vera e propria”) per cui: “Nella prossima legislatura partiremo da un piano straordinario contro la dispersione scolastica, soprattutto nelle zone a più forte infiltrazione criminale, dal varo di misure operative per il diritto allo studio, da un investimento sulla ricerca avanzata nei settori trainanti e a più alto contenuto d’innovazione. Tutto ciò nel quadro del valore universalistico della formazione, della promozione della ricerca scientifica e della ricerca di base in ambito umanistico”.

Il risultato delle elezioni non consentirà di realizzare quanto previsto e si vara il governo di Enrico Letta 2013-2014). Nel programma del nuovo governo su Istruzione e ricerca si trovano: “Riduzione del ritardo rispetto all’Europa nelle percentuali di laureati e nella dispersione scolastica; sostegno economico agli studenti con meno possibilità; piano di edilizia scolastica; più sport nelle scuole; piano pluriennale per l’innovazione e la ricerca, finanziato tramite project bonds; investimenti in tecnologia, ambiente e digitale”.

Primarie del Pd (8 dicembre 2013): il programma di Matteo Renzi

Per le primarie del Pd del 2013 il futuro premier Matteo Renzi si presenta con una campagna di comunicazione sull’Italia che “Cambia verso“. Forte dell’esperienza realizzata nel governo della città di Firenze il giovane sindaco esprime l’esigenza di una innovativa, e dirompente, azione di mobilitazione attorno ai temi del cambiamento per il Paese. La scuola non è tema esplicito, ma tutti i messaggi di carattere generale hanno implicazioni estese (“la meritocrazia è l’unica medicina per la politica, per l’impresa, per la ricerca, per la pubblica amministrazione“) e rivelano un piglio decisionista (“Non passeremo il tempo a recriminare su come potrebbero andare meglio le cose. Le cambieremo”), La vittoria alle primarie (“questa non è la fine della sinistra: è la fine di un gruppo dirigente della sinistra”) è il preludio degli sviluppi successivi.

Programma di governo di Renzi alla prima audizione in senato (2014)

Sullo slancio di un’incisiva presenza mediatica, del movimento sorto dalla Leopolda e della vittoria a valanga alle primaria (67.5%), a Matteo Renzi viene affidato il compito di costruire un governo per il Paese. Il piano di attacco è ambizioso: “Un pacchetto di riforme che parta e consideri il semestre europeo come la principale opportunità, che affronti prima del semestre europeo le scelte legate alle politiche sul lavoro, sul fisco, sulla pubblica amministrazione, sulla giustizia, che metta al centro il valore della scuola, ma che parta naturalmente dalle riforme costituzionali, istituzionali ed elettorali, sulle quali si è registrato un accordo che va oltre la maggioranza che sostiene questo Governo…”. Nelle parole del premier il tema scuola viene indicato come punto di attenzione e sviluppato in alcune direzioni operative (insegnanti, asili nido…). Il mondo degli insegnanti è, addirittura, portato ad esempio di un cambiamento di metodo nella costruzione delle politiche pubbliche. Nell’intervento al Senato il presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi la scuola diventa la cartina di tornasole del nuovo clima di azione politica a partire dalla nostalgia per un’età dell’oro della professione docente: “Quando eravamo piccoli un insegnante o una maestra di asilo, una professoressa o un docente sentivano su di loro il calore e l’affetto di una comunità che ne riconosceva il ruolo civile. Intendiamoci, gli stipendi erano bassi anche allora. Non è solo una questione economica, ma proprio di autorevolezza sociale. Entrando in un bar, dialogando in una sezione, discutendo al campo sportivo o al circolo, in parrocchia o in piazza, l’insegnante era comunque visto come un punto di riferimento. Perché sapevi che a lui o lei ogni mattina tornavi a consegnare il bene più prezioso: l’educazione alla libertà di tuo figlio. Oggi non è più così: purtroppo. Gli insegnanti sono stati sostanzialmente messi ai margini, anche dal nostro partito. Abbiamo permesso che si facessero riforme nella scuola, sulla scuola, con la scuola senza coinvolgere chi vive la scuola tutti i giorni. Non si tratta solo di un autogol tattico, visto che comunque il 43% degli insegnanti vota PD. Si tratta di un errore strategico: abbiamo fatto le riforme della scuola sulla testa di chi vive la scuola, generando frustrazione e respingendo la speranza di chi voleva e poteva darci una mano. Il PD che noi vogliamo costruire cambierà verso alla scuola italiana, partendo dagli insegnanti, togliendo alibi a chi si sente lasciato ai margini, offrendo ascolto alle buone in cui si prova a viverla tutti i giorni, non solo nelle polverose stanze delle burocrazie centrali.”

E su questo terreno annuncia un’iniziativa senza precedenti: “Casa per casa, comune per comune, scuola per scuola, da gennaio 2014 i nostri insegnanti, i nostri assessori alla scuola, i nostri circoli, i nostri ragazzi saranno chiamati alla più grande campagna di ascolto mai lanciata da un partito a livello europeo, sul doppio binario di una piattaforma tecnologica dedicata e di un rapporto personale, vis a vis. Chiameremo il Governo, il Ministro, i suoi collaboratori a confrontarsi sulle proposte e sulle idee. E daremo risposte alle proposte degli insegnanti, non lasciandoli soli a subire le riforme, ma chiedendo loro di collaborare a costruire il domani della scuola. È solo un esempio, sia chiaro, di quello che faremo. Perché non consideriamo il nostro elettorato più forte conquistato per sempre. Al tempo della società liquida un partito politico deve conquistarsi il consenso ogni giorno …”.

La ribalta della scuola è al centro della presenza mediatica nei primi mesi di governo: “Mercoledì mattina, come faccio tutte le settimane, mi recherò in una scuola (la prima sarà un istituto di Treviso, perché ho scelto di partire dal Nord-Est, mentre la settimana prossima andrò in una scuola del Sud), e lo farò perché penso che sia fondamentale che il Governo non stia soltanto a Roma, e quindi mi recherò nelle scuole, come facevo da sindaco, per dare un segnale simbolico, se volete persino banale, per di mostrare che da lì riparte un Paese. Dalla capacità di educare, di tirare via, di tirare fuori (nel senso latino del termine) nasce la credibilità di un Paese, ma per farlo c’è bisogno della capacità di garantir e una concretezza amministrativa. Con quale credibilità possiamo dire questo se continuiamo a tenere gli investimenti nell’edilizia scolastica bloccati da un Patto di stabilità interno che almeno su questa parte va cambiato subito? Come si può pensare che il Comune, la Provincia abbiano competenza sull’edilizia scolastica senza però avere la possibilità di spendere soldi che sono lì bloccati perché esistono norme che si preoccupano della stabilità burocratica ma non si rendono conto della stabilità delle aule in cui vanno a studiare i nostri figli?”.

Renzi ifende la centralità della scuola: “Ma come? Di fronte alla crisi economica parti dalle scuole? Sì: di fronte alla crisi economica non puoi non partire dalle scuole. Di fronte alla crisi economica partire dalle scuole significa partire, innanzitutto, da una tregua educativa con le famiglie e da un intervento nell’edilizia e nella infrastrutturazione scolastica su cui, nelle prossime settimane, vedrete concreti risultati. È chiaro che il tema della scuola è parziale rispetto al grande tema dell’educazione.”

Uno dei temi concreti sono i servizi per la prima infanzia: “Si inizia con gli asili nido. Gli Obiettivi di Lisbona vedono oggi un Paese drammaticamente diviso in due, tra una parte dell’Italia che ha già raggiunto quegli obiettivi (con alcune città che stanno sopra il 40 per cento) e una parte dell’Italia che veleggia su percentuali drammatiche. Alcune non arrivano neanche a doppia cifra: mi riferisco al numero dei bambini che frequentano gli asili nido. Non è un tema da addetti ai lavori. È il tema vero nella vita di tutti i giorni. È il tema che si collega non necessariamente, ma parzialmente, al fatto che abbiamo la condizione di disoccupazione femminile più alta d’Europa. Ed è inaccettabile in una cornice come quella in cui stiamo vivendo”.

La vivace e debordante narrazione del premier viene messa alla prova nei mesi successivi non appena la discesa in campo avverrà, non con esercizi di marketing, ma con un manifesto letto, analizzato e discusso nel Paese.

Il manifesto della Buona scuola (2015)

Il passaggio dai temi sparsi a un progetto definito avviene con l’operazione che ha per titolo La Buona scuola che è la prima concretizzazione dell’impegno in un disegno complessivo cui bisogna risalire per capire le proposte per le elezioni 2018. Siamo di fronte a un policy cycle in cui si traccia un profilo di azione a maglie larghe e con abbondanti concessioni retoriche, si lancia una consultazione allargata, si traduce il progetto in norme e si implementa attraverso tutti i processi propri di una politica pubblica: su questo terreno e con questo background va visto il manifesto elettorale 2018.

Il documento La Buona scuola (luglio-agosto 2014) esprime una proposta, non esplicitata nei programmi elettorali precedenti, costruita da due ‘cantieri sulla scuola’, e vede tutto il vertice politico del Miur coinvolto (non a caso si citano il capo e il vice capo di gabinetto nella conclusione del testo: “Ringraziamo Alessandro Fusacchia e Francesco Luccisano per aver curato la stesura del Rapporto”. La Buona scuola viene riassunta in 6 punti: “assumere i docenti di cui la buona scuola ha bisogno”, “le nuove opportunità per tutti i docenti“, “formazione e carriera nella buona scuola“, “la vera autonomia: valutazione. trasparenza, apertura, burocrazia zero”, “ripensare ciò che si impara a scuola“, “fondata sul lavoro”, “le risorse per la buona scuola pubbliche e private“.

Da questo punto di vista la Buona scuola è un crogiuolo dove si rintracciano sensibilità, istanze e proposte già in campo (carriera degli insegnanti), si propone di portare a compimento soluzioni attese da decenni a problemi gravosi (precariato, strutture edilizie), pur se alcune mancanze sono vistose (come la presenza di studenti di lingua nativa non italiana o i servizi per la prima infanzia). Le spinte raccolte sono diverse e disomogenee, dall’esigenza di estendere alla scuola quanto previsto per il pubblico impiego alla gestione degli organici, dal raccordo con il mondo della lavoro sullo sfondo di una elevata disoccupazione giovanile alla speranza di coinvolgere soggetti privati a sostenere il sistema scolastico. Il beneficio portato dall’attuazione di tali misure sugli studenti, sulla qualità della loro formazione rimane implicito e non sottoposto a scrutinio. Anzi per molte misure, dalla valutazione dei dirigenti al riconoscimento del ‘merito’ degli insegnanti la performance degli studenti ha uno spazio minimo.

Sulla proposta viene avviata una consultazione estesa che vede una larga partecipazione.Si tratta comunque di una proposta controversa: contro la Buona scuola parte la raccolta delle firme per il referendum sulla legge 107/2015 promosso dalla Gilda degli Insegnanti insieme con Flc-Cgil, Cobas, Unicobas, Usb, Sgb, Cub, Il sindacato è un´altra cosa (area congressuale Flc-Cgil), UdS, Link, Coordinamento nazionale scuola della Costituzione, Lip, Associazione nazionale per la Scuola della Repubblica, Adam, Adida, And, Mida, Retescuole, Cesp, Illumin´Italia. Il non raggiungimento del numero necessario di firme non spegnerà l’opposizione ma la priverà di uno strumento potenzialmente dirompente.

Alcuni contenuti della proposta vanno richiamati, anche perché legati ad una prospettiva di medio e lungo periodo.

“… lanciamo un Piano straordinario per assumere a settembre 2015 quasi 150 mila docenti”

Il precariato di una quota rilevanti di docenti (media del 14% con forti oscillazioni tra le regioni) era un nodo da sciogliere, preliminare ad ogni agenda politica, tenendo conto che già altri ministri, da Giuseppe Fioroni a Maria Stella Gelmini, si erano cimentati alla sfida. L’indilazionabilità dell’inerzia era imposta da una disposizione europea che non consentiva la prassi di rinnovo senza limiti dei contratti a tempo determinato (la via tradizionale seguita sistematicamente nella scuola italiana). Se l’azione era inevitabile le strade da scegliere non erano facili. Il premier Matteo Renzi coniuga la tradizionale politica del personale basata sull’espansione degli organici con la stabilizzazione del personale. Alcuni elementi propri dell’autonomia scolastica (l’organico funzionale, il POF delle scuole…) vengono reinterpretati per giustificare la formula dell’assunzione dei docenti “di cui la scuola ha bisogno”, mentre le drastiche contrazioni del periodo 2008-2011 legittimano l’esigenza del potenziamento di aree disciplinari e di tematiche formative.

Scatti di competenza per la carriera, chiamata diretta dei docenti, valutazione dei dirigenti scolastici

Mentre alcune tematiche – edilizia scolastica, nidi per la fascia 0-3 anni – saranno accolte, alcune delle misure contenute nella Buona scuola diverranno tema di confronto, di scontro e saranno un po’ la cartina di tornasole delle capacità strategiche del governo stesso.

Valorizzare gli insegnanti competenti e capaci” era un obiettivo già contenuto nella lista dei 100 della Leopolda e nella prima campagna del Cambia verso c’è un richiamo al merito e alla competenza, in alternativa ad una valorizzazione generalizzata degli stipendi degli insegnanti. Il merito da premiare è una scelta alternativa alle prospettive universalistiche. Le previsioni degli scatti di competenza sono decisamente ambiziose, se non irrealistiche (“Periodicamente, ogni 3 anni, due terzi (66%) di tutti i docenti di ogni scuola (o rete di scuole) avranno diritto ad uno scatto di retribuzione. Si tratterà del 66% di quei docenti della singola scuola (o della singola rete di scuole) che avranno maturato più crediti nel triennio precedente”).

Non è un caso che la proposta e le prime realizzazioni del bonus di premio vengono lanciate e messe in opera mentre è in atto il blocco dei contratti di lavoro, ripresi solo al termine della legislatura, e alla assegnazione degli 80 euro agli insegnanti, riconosciuti in parte nelle fasce più basse di reddito. La proposta di valutare gli insegnanti può fare riferimento a tentativi già effettuati nel passato[7], a iniziative blasonate e citate nei rapporti OCSE, a storiche vicende già agli anni dell’era berlingueriana (1999-2000) e naturalmente adombra tematiche proprie del centrodestra. Rispetto al passato e alle posizioni espresse da altre forze politiche con la Buona scuola e i decreti applicativi si dà corso alla messa in pratica di quanto affermato, pur con un qualche erosione del progetto iniziale.

La previsione della chiamata diretta dei docenti investe una peculiarità italiana della scelta della scuola da parte dei docenti (nel maggior parte dei paesi è la scuola che scegli i propri insegnanti), una sorta di anomalia comparativa discendente anche da una concezione dell’autonomia professionale del docente (ormai senza riscontri nella scuola di massa…). La misura, tuttavia, non è nuova nello scenario italiano: oltre al dibattito e alle posizioni espresse anche da esponenti del centro sinistra, proposte erano già previste da governi del centro destra e specifiche iniziative erano state varate, contestate e poi ritirate, a livello regionale[8]. Sostenuta dall’ANP, il forte sindacato dei dirigenti scolastici, osteggiata dai sindacati dei docenti era una novità della legge n.107. E’ una versione minore del programma di chi proponeva il concorso da parte delle singole scuole e la costituzione di un albo professionale. E’ interessante notare che la chiamata diretta, non presente nelle formulazioni precedenti, è una delle misure catturate nella fase di costruzione della Buona scuola e riflette la propensione dirigista di ANP (preside manager e dirigente pubblico, meno preside di scuola) e l’enfasi sul management più che sulla leadership per l’apprendimento, con sfumature di aziendalismo, pur esistendo formule possibili, praticate e collaudate, di chiamata diretta[9] nell’esperienza della nostra scuola.

La necessità della valutazione dei dirigenti scolastici nasce in coerenza con sviluppi paralleli nel settore pubblico (legge Brunetta) e arriva al termine di oltre un decennio di elaborazioni progettuali, abbandono e ripresa dell’iniziativa. Non è una svolta, quanto piuttosto la ripresa e il rilancio di una prospettiva che si era fino al momento risolta in una sostanziale inerzia, nonostante gli appelli della Corte dei Conti, nella ricerca di alternative ai tradizionali giudizi aboliti da tempo che i provveditori agli studi sui direttori didattici e sui presidi.

Scuole sicure, scuole nuove, scuole belle

La situazione esplosiva dell’edilizia scolastica è da tempo conosciuta grazie ai rapporti di Legambiente, di Cittadinanza attiva e più recentemente dall’Associazione nazionale dei costruttori edili (2013) con dati decisamente preoccupanti (oltre 24 mila scuole si trovano in aree a elevato rischio sismico e circa 6.250 sorgono in aree a forte rischio idrogeologico…) e con elevati impegni richiesti (secondo l’Ance servirebbero circa 50 miliardi di euro). Il premeier Matteo Renzi mette in uso i 2,5 miliardi già disponibili per i lavori (1,2 stanziati negli ultimi dieci anni per questi lavori e mai usati e 450 dal decreto del Fare e 850 dal 2015 per mutui delle Regioni).

Le decisioni (legge 107 e sua implementazione) nel periodo 2015-2018

Con la legge n.107 del luglio 2013 l’intended policy diventa l’actual policy. Se la grandiosa consultazione pubblica può essere riassunta in slides trionfali per il livello di partecipazione raggiunto, la traduzione in legge della Buona scuola non è scevra di ostacoli a partire dall’approvazione in parlamento che vede alcuni dissidenti nelle file del Pd e proteste fuori dall’aula da parte di insegnanti. Alla Camera con 277 sì, 173 no e 4 astenuti il testo Renzi-Giannini supera anche l’ultimo ostacolo dopo l’approvazione al Senato (159 si e 112 no) dove il governo aveva posto la fiducia al maxiemendamento che aveva blindato il testo con il compromesso tra maggioranza e minoranza del partito, come sempre tra proteste e critiche. Il progetto iniziale, pur modificato da trattative, concessioni politiche, polemiche e dietrofront del governo, prende così forma.

Dalle deleghe contenute nella legge n.107/2015 deriveranno gli 8 decreti legislativi applicativi che vengono messi a punto nel 2017 in vigore dal 31 maggio 2017[10] Questo sarà il punto di riferimento del processo di implementazione e il tracciato di riferimento nella costruzione del manifesto elettorale. I decreti riguardano: il sistema di formazione iniziale e di accesso all’insegnamento nella scuola secondaria di I e II grado, la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, la revisione dei percorsi dell’istruzione professionale, l’istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei anni, il diritto allo studio, la promozione e la diffusione della cultura umanistica, il riordino della normativa
in materia di scuole italiane all’estero, l’adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti e degli esami di stato.

Le primarie del 2017: “no rivincita, nuova pagina

Alle primarie del 2017 per la leadership del Partito democratico partecipa 1,8 milione di persone (un milione in meno rispetto al 2013). I tre candidati includono la scuola nei propri manifesti, con toni distanti dal manifesto e dalla prosa, apparsa ad alcuni tecnocratica, della Buona scuola. Nel programma di Matteo Renzi (69,2% di consensi) si trova l’aumento dei tempi scuola, l’implementazione del sistema duale con l’alternanza scuola-lavoro e l’introduzione del sistema premiante per i docenti e per il personale amministrativo, che tenga conto delle aree più o meno complesse in base a fattori sociali, geografici, economici e così via. Mentre Andrea Orlando propone di “Indire una nuova campagna di reclutamento che chiuda con i disagi della “Buona scuola” aprendo un confronto con docenti, le famiglie, le università, il sindacato, le imprese, i cittadini” il candidato Michele Emiliano propone di “Emanare una legge nazionale sul diritto allo studio e abrogare gran parte della “Buona scuola”, quella che ha suscitato i maggiori problemi per insegnanti e personale. Aumentare gli investimenti fino al 6% di media europea, con adeguamento salariale per gli insegnanti, parallelo al rinnovo del contratto del pubblico impiego e chiusura definitiva delle graduatorie a esaurimento. Tempo pieno in tutto il Paese da Nord a Sud”.

La criticità del processo di implementazione, la ripresa delle opposizione alla legge, i ritardi nella messa in opera ridimensionano il tema della scuola, in una competizione, peraltro, che fin dall’inizio ha un vincitore già conosciuto. Nelle primarie ai temi della scuola si mette la sordina mentre proseguono, in qualche modo alacremente, i lavori di messa in opera, cioè di esercizio delle deleghe previste dalla legge: troppe le fratture e le criticità per portare in primo piano i temi della scuola.

Il programma elettorale sulla scuola

Diversamente dai programmi di altri concorrenti alle elezioni 2018 per il Pd è inevitabile un riferimento puntuale alle realizzazioni del governo nella conclusa legislatura: quasi tutto il programma sulla scuola (7 punti sui 100 cose fatte e da fare) è legato ai lavori in corso. Prevale un forte elemento di prammatismo senza promesse fuori luogo o irreali per catturare il consenso, senza le richieste di abolizione di quanto in essere e senza la pretesa di un ‘punto a capo’ radicale. Pur se l’impatto delle misure contenute nella Buona scuola è stato finora inferiore alle aspettative e i decreti attuativi sono attesi alla prova dell’implementazione, il programma è costruito su linee di continuità e di sviluppo di quanto già deciso o messo in opera, senza riferimento ai punti di debolezza e la rimozione di misure conflittuali.

Prima dell’uscita del programma ufficiale sembrava prevalere una qualche cautela nel parlare di scuola. Sul sito del Pd, nell’avvio della campagna elettorale, il contenuto della proposta Pd è descritta con sei parole, molto semplici, ma che segnano importanti spartiacque: “Chi sceglie PD vota il lavoro, e non l’assistenzialismo“, “Chi sceglie PD vota la scienza, non le cure fai da te sul web e le bufale no-vax”, “Chi sceglie PD vota i diritti, non il medioevo dell’intolleranza“, “Chi sceglie il PD vota l’Europa, non i dazi, i sovranismi e l’uscita dall’Euro” , “Chi sceglie PD vota la cultura, non quelli che «con la cultura non si mangia»”, “Chi sceglie PD vota l’ambiente dell’accordo di Parigi, non il trumpismo di chi vuole investire nel carbone”. “Chi sceglie il PD vota il futuro” con l’augurio finale: “Buona scelta, buon voto, e buona campagna elettorale a tutti”. Stranamente la scuola, su cui il governo ha a lungo lavorato, non origina alcun slogan. L’istruzione esce dagli slogan e sulla scuola non si costruiscono illusioni.

Nei documenti del programma definitivo il tema della scuola rientra seguendo il modello generale della distinzione e contrapposizione tra ‘cose fatte’ e ‘cose da fare’: rispetto all’agenda della Buona scuola ci sono inserimenti anche se mancano correzioni o miglioramenti delle misure adottate per ridurne criticità e storture. Le erosioni avvenute, le ridefinizioni occorse e il deficit di implementazione non fanno parte della retorica elettorale.

Nelle 100 cose fatte e da fare alcune si riferiscono all’istruzione e compongono il programma sulla scuola; non sono accorpate in una proposta integrata, ma disperse nell’elenco a valorizzarne i legami con temi di politica generale, ma anche come conseguenza della scelta di marketing elettorale[11]. Un prammatismo che sembra aver convinto i ghost writer.

Legge sull’educazione dei più piccoli, sul modello Reggio Emilia, la scuola 0/6 – Un piano nazionale di asili nido da 100 milioni di euro l’anno per tutta la legislatura

Il tema dei servizi per la prima infanzia non era nella proposta della Buona scuola a conferma di una stesura desk-job, per alcuni aspetti distante dalla realtà. Con la legge 107 i servizi per la prima infanzia (0-6) diventano l’area di un deciso impegno, normativo, strutturale e finanziario. Il sistema integrato di educazione e istruzione 0-6 anni prevede una pluralità di servizi (nidi e micronidi, sezioni primavera e servizi integrativi, con lo sviluppo di poli per l’infanzia e l’introduzione di varie agevolazioni. E’ la prima sistematica definizione di una politica per il Paese che ha registrato un ritardo rispetto agli altri paesi (cfr OECD). La previsione di un finanziamento annuale di 100 milioni appare più realistico rispetto ad altri partiti proponenti “asili nidi per tutti”.

Alternanza scuola lavoro valorizzata con la legge 107 -Portare a 100 mila gli studenti degli ITS (istituti tecnici superiori) nel tempo dell’intelligenza artificiale e della robotica. Il futuro dell’Italia parte dalla formazione dalle competenze

Il dibattito e i contrasti sull’alternanza scuola lavoro potevano far pensare alla proposta di correttivi e di miglioramenti alle esperienze realizzate come come è naturale che sia nello sviluppo di politiche e strategie innovative. In realtà il programma non le esclude, tuttavia si concentra tra le cose da fare sui percorsi professionalizzanti e sulle competenze Anche sulla base di condivisioni autorevoli da un lato, e di carenza e criticità evidenziate dall’altro. Forse il varo frettoloso ha forzato la mano: non tutte le scuole erano pronte. “Con un investimento di 140 milioni abbiamo reso l’alternanza scuola-lavoro curricolare per tutte le scuole secondarie superiori, ritenendola strategica per l’acquisizione di competenze trasversali e per la costruzione di un nuovo modello di didattica.”

Il decreto legislativo sugli istituti professionali ha coagulato l’attenzione di esperti del settore e messo in evidenza la necessità di un miglioramento dell’istruzione tecnica incentivando i laboratori e l’alternanza scuola-lavoro. Il decollo di una nuova filiera scolastica “professionalizzante”, rilanciando l’istruzione tecnica e professionale e continuando la strada del potenziamento degli Istituti tecnici superiori, che hanno un tasso di occupabilità superiore all’80%.

Nel programma si trova nella sezione Scuola e lavoro: oggi troppo distanti domani sempre più vicini la previsione di un’innovazione: “Se molti giovani sono disoccupati è anche perché oggi, in Italia, la transizione tra scuola e lavoro è più lunga che in tutti gli altri paesi europei. Ecco perché, accanto a quanto fatto finora col Jobs act e con la Buona scuola, disegneremo anche in Italia, come già esiste da tempo in Francia, Germania e nei paesi del Nord Europa, un canale formati- vo professionalizzante che si sviluppi, in maniera integrata con il nostro sistema d’istruzione, a livello secondario e terziario. Sarà un percorso con pari dignità rispetto all’offerta accademica, con percorsi di studio meno teorici e più pratici, e con un finanziamento stabile”.

L’impegno è in varie direzioni a partire dall’orientamento (“… a livello di scuola secondaria: realizzeremo un sistema di orientamento per famiglie e ragazzi, che parta almeno dalle medie (un alunno su tre dichiara di aver sbagliato scuola e il tasso di abbandono degli studi, seppur in calo, è ancora al 13,8%”). Per proseguire, in termini generici, con l’intero settore dei percorsi professionali (“potenzieremo la via italiana al sistema duale rafforzando il legame tra sistema di istruzione, formazione professionale e mondo del lavoro (oggi circa 13 assunzioni su 100 non si concretizzano per mancanza del candidato in possesso delle competenze richieste)”, nelle sue diverse articolazioni (“… sosterremo il processo di diffusione dell’apprendistato formativo, ridisegnato dal Jobs act, e rafforzeremo il sistema di Istruzione e forma- zione professionale (Iefp)), senza escludere un cenno alle metodologie (“L’obiettivo è puntare di più su didattica laboratoriale e alternanza, in linea con le esigenze di Impresa 4.0”).

Più puntuale la proposta sull’istruzione terziaria (“A livello di studi post-diploma: investiremo sugli Its, gli Istituti tecnici superiori, l’unico segmento formativo terziario professionalizzante. Gli Its hanno un tasso di occupabilità superiore all’80%, ma sono ancora una realtà di nicchia: circa 9 mila studenti a fronte degli oltre 700 mila della Germania. Nel corso di questa legislatura abbiamo più che triplicato i fondi a disposizione. Serve, adesso, un salto in avanti: nel corso della prossima legislatura, dobbiamo arrivare a 100 mila studenti”).

Quasi 10 miliardi per l’edilizia scolastica di cui oltre la metà già spesi per più di 11.000 interventi: la più grande operazione di manutenzione degli ultimi decenni – Stanziare una cifra analoga per la prossima legislatura: sulla stabilità degli edifici dei nostri figli non si può lesinare

Il bisogno evidente di intervento conferma la continuità di azione e di finanziamento per la nuova legislatura. Solo un impegno di medio e lungo periodo può consentire di aggredire il problema che dimensioni complesse. L’Osservatorio nazionale per l’edilizia scolastica, resuscitato recentemente, può attraverso un’anagrafe degli edifici aggiornata in tempo reale, ritmare il progredire degli interventi. Il richiamo agli interventi già realizzati testimonia i lavori in corso (dal sito del PD: Sono già stati assegnati 4,7 miliardi agli Enti locali che, proprio grazie a queste risorse, hanno finanziato più di 10 mila interventi di cui il 65% già conclusi). Perdura, tuttavia, l’assenza di una visione complessiva, anche a livello di stima, sulla praticabilità, e sui relativi costi, di un’azione che sia efficace per l’intero patrimonio edilizio per le scuole. Senza uno schema di riferimento le singole linee di finanziamento, positive e apprezzabili, non rendono trasparente il livello di impegno che sarebbe necessario, oltre ai tempi per la implementazione di decisioni in tal tempo.

Lotta contro il precariato nella scuola Assunzione di oltre 100.000 professori aventi diritto, resi precari da anni – Aumento del tempo pieno al Sud e limiti inderogabili al numero di alunni nelle classi

L’anomalia italiana del precariato della scuola ha una lunga storia (un’eredità passata di mano in mano), oltre a suscitare problemi senza fine, class-action e infrazioni di direttive comunitarie, è stato oggetto di intenzioni sia del Ministro Giuseppe Fioroni che nel 2007, con l’intento di eliminare il precariato della scuola, trasformò le graduatorie “permanenti” in graduatorie “ad esaurimento”, bloccando i trasferimenti di provincia e, al contempo, varando un megapiano di 150 mila assunzioni in tre anni e della ministra Maria Stella Gelmini che cancellando il megapiano precedente ha creato le condizioni perché dei 240.000 insegnanti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento circa 110.000 sono impiegati con supplenze annuali continuative e, in ogni caso, tutti saranno immessi in ruolo nel giro di 7 o 8 anni, in virtù della dinamica dei pensionamenti che determina circa 30.000 posti vacanti all’anno. La politica di risoluzione del precariato, uno dei punti cardine della strategia di Matteo Renzi, ha fatto registrare traguardi senza confronti con i tentativi del passato: oltre 82.000 insegnanti e 44.000 personale ATA con contratto a tempo indeterminato e la conferma dell’obiettivo di partenza. Non senza problemi di percorso (mobilità, diplomati magistrali). La strada imboccata rimane quella da percorrere fino al completamento della tutela dei precari fino alla terza fascia d’istituto. L’organico del potenziamento deve servire a migliorare la didattica (da estendere anche per la scuola dell’infanzia). I docenti devono permanere nella sede di titolarità per svolgere al meglio la loro professione (vincolo triennale per i docenti).

La messa in opera del piano di Renzi ha visto (fase A, B, C) l’immissione in ruolo di 80.000 docenti in un anno (2015-16), con la previsione dell’esaurimento e chiusura delle GaE, la fissazione di un metodo unico per abilitarsi, il vincolo del concorso come unica strada per entrare in ruolo e il mantenimento di una sola fascia di graduatorie per le supplenze (graduatorie di istituto fasciaII). In pratica il sunto di questi pro è che si consente a chi attende da molto di entrare in ruolo ma non si impedisce a chi è giovane di avere un destino più lineare nel mondo della scuola. Qualche problema sulla mobilità, nodo dei diplomati magistrali, precari di religione concorso 2004.

60/70 mila docenti verranno assunti senza sapere bene cosa fare, e di fatto, questo genererà un po’ di problemi perché bisognerà rivedere i modelli (anche burocratici) delle supplenze; inoltre è possibile il danneggiamento dei docenti che facevano supplenze annuali e ora si trovano come “riserve” senza scopi precisi;– Le lauree magistrali abilitanti hanno molti problemi (esposti sopra) e andrebbero riviste molto bene, se non (meglio) sostituite con un percorso post-lauream fatto bene;– Rischio per chi non entra in TFA oggi di restare “un’eccezione”.

L’obiettivo di superamento del precariato, in parte raggiunto con l’assunzione di oltre 100.000 docenti, si trasforma in un impegno di carattere strutturale: aumento del tempo pieno al Sud e la definizione di limiti inderogabili al numero di alunni per classi. In nessuno dei due casi le proposte sono tradotte in misure operative o in indicatori di traguardi.

Bonus formativo per gli insegnanti – Rinnovare il contratto in modo continuativo e regolare, con la valorizzazione del merito e della competenze

Con l’esperienza del bonus formativo (500 euro per docenti 2015-16; 2016-17; 2017-18) si consolida una misura che viene considerata permanente e si adegua l’obiettivo delle strategie per gli insegnanti con il richiamo al ricorso regolare e corrente al contratto di lavoro unito alla valorizzazione del merito e delle competenze. Il contratto nazionale siglato nel mese antecedente le elezioni generali prevede che una parte dei fondi per la valorizzazione del merito rientrino nello stipendio di tutti e una porzione (30%) sia destinata a riconoscere il merito non attraverso la valutazione discrezionale del dirigente e del comitato ad hoc, ma rientri nella contrattazione di scuola.

Le politiche per lo sviluppo professionale dei docenti hanno avuto un andamento ondivago, con periodi di espansione seguiti da stagioni in sordina, con l’abolizione degli IRSAE, la contrazione delle risorse disponibili. Il voucher rientra in una logica di sostegno alla domanda di formazione e di aggiornamento (varie altre soluzioni del governo Renzi), segue altri deboli tentativi già presenti prima. La durata nel tempo può consolidare soluzioni positive e fruttuose; gli insegnanti possono sviluppare abitudini nuove, sapendo di poter contare su un sostegno finanziario.

Come ci si poteva attendere la messa in opera è parziale, riduttiva e, in taluni casi, inesistente. La messa in opera di procedure nuove deve affrontare l’implementation dip: tutti gli attori in campo devono apprendere nuove pratiche, collaudare l’applicazione, migliorare nel tempo. Il monitoraggio mette in evidenza attuazioni a macchia di pelle di leopardo. Continuare può portare a sviluppare le soluzioni migliori, a contenere i rischi di errore o di deriva. L’impatto può essere visto nel medio e lungo termine. Si possono formare di dirigenti.

Rimane aperta la possibilità di cercare forme e modalità per considerare il bonus premiale come salario accessorio e, quindi, da comprendere tra le materie di contrattazione, in collegamento con il fondo di istituto. In questo modo rendendo credibili le richieste di superamento (FLC), i ricorsi al TAR. Il far confluire il bonus nei fondi per il contratto superando la distinzione tra i docenti sarebbe di fatto un annullamento.

Piano di scuola digitale efficace e innovativo – Combattere la burocrazia scolastica che spesso fa passare pomeriggi a riempire moduli inutili a professori e personale della scuola

Il Piano nazionale per la cultura digitale (p.36 ss) è un passaggio obbligato. Il rapporto OECD analizza lo stato dell’arte delle tecnologie nella scuola italiana e mette in evidenza la lentezza dei cambiamenti.

Lavoro sul contrasto alla povertà educativa e minorile insieme alle Fondazioni – Affermare i nostri principi nella Children Union a livello europeo

Entra in agenda il riferimento alla povertà educativa, un termine approdato nell’arena politica a seguito di interventi anche di soggetti esterni e all’origine di una intesa con le Fondazioni bancarie per un’azione finalizzata contro “la dispersione, il basso rendimento e disagi adolescenziali”. (“I governi a guida PD sono stati i primi a raccogliere l’invito lanciato da tempo dalle associazioni, dal mondo della scuola, dal mondo della ricerca educativa per fare qualcosa. Per la prima volta è stato istituito, in collaborazione con le fondazioni bancarie, un fondo per il contrasto alla povertà educativa[12] per finanziare interventi innovativi e monitorati a contrasto”).

In questa prospettiva da ampliare e rendere strutturale l’impegno è esplicito (“intendiamo istituire delle “aree di priorità educativa” nelle aree marginali con i più alti tassi di abbandono e di povertà, dove invieremo un esercito di maestre e di maestri: più docenti e comunità educante, appositamente formati e valorizzati in modo che gli studenti siano seguiti meglio e con piani educativi personalizzati”. Questo significa lavorare per investimenti comuni contro la povertà educativa a livello europeo (p.26).

4. Alcuni interrogativi

Per un partito di governo che ha gestito un insieme di iniziative sulla scuola un atteggiamento di responsabilità è d’obbligo e la sfida è come mantenere un profilo prammatico e operativo dando continuità al lavoro svolto e convincendo gli elettori circa la bontà del percorso effettuato e basando su questo la credibilità delle proposte per la prossimo legislatura. Il periodo 2014-18 fornisce, sorprendentemente, tutto lo scenario delle politiche pubbliche con i passaggi dall’intended policy all’actual policy e alla policy in use e le reciproche interazioni con tutti i dilemmi analitici sottesi.

Al termine della lettura del programma elettorale del PD sei interrogativi focalizzano le riflessioni conclusive.

La scuola è al centro? Ci sono modi diversi di intendere la centralità della scuola. Il dettagliato elenco delle iniziative [13] a conferma di un’inversione di tendenza nel finanziamento della scuola (“più grande investimento sulla scuola degli ultimi vent’anni”). L’assenza nel dibattito elettorale di questi dati risente della risonanza negativa della Buona scuola (“…dal 2014, durante i Mille Giorni, sono state investite più risorse sull’edilizia scolastica che negli ultimi 20 anni”). L’aumento di spesa è distribuito tra sostegno ai fondamentali (docenti e strutture edilizie) e misure specifiche volte al miglioramento del funzionamento. Sarebbe miope non riconoscere l’inversione di rotta che testimonia capacità di decisione e di implementazione, rara nel panorama nazionale. Due aporie, tuttavia, possono essere segnalate. In primo luogo servirebbero informazioni più puntuali sulle risorse effettivamente impiegate, sullo stato di avanzamento dei lavori e qualche profilo complessivo degli investimenti necessari e dei tempi ragionevoli per un risposta adeguata alle criticità affrontate (quali investimenti sono necessari per risolvere i problemi dell’edilizia scolastica…) In secondo luogo  l’impatto delle risorse impiegate e delle energie mobilitate sulla qualità dell’istruzione dovrebbe essere oggetto di primi rapporti se non di analisi compiute[14]. E’ tempo di velocizzare la transizione dalla cultura del budget per input al performance budgeting con interrogativi più appropriati (migliorano le scuole? migliorano i docenti? migliorano gli studenti?).

Comprovata capacità di governo? Idealmente un esecutivo che si presenta agli elettori dovrebbe fornire evidenze di capacità di governo, per le promesse mantenute, per il lavoro svolto e per i risultati ottenuti. In realtà il Pd, nonostante le realizzazioni si trova a dover cercare di “ricucire” con il mondo della scuola e ritrovare la fiducia smarrita. Tre annotazioni illustrano questa criticità.

  1. L’attenzione alla valorizzazione professionale del personale che ispira pagine importanti della Buona scuola produce decisioni di svolta (bonus premiale…) che determinano opposizioni e controversie a tal punto che in vista dell’appuntamento elettorale vengono ammorbidite se non rimosse.
  2. A prova dei fatti, e soprattutto, del sistema normativo, della non determinazione dei dirigenti scolastici e delle pressioni sindacali contrarie la chiamata diretta dei docenti fatica a decollare, anche per le successive determinazioni del centralismo delle burocrazie. Alcuni sondaggi riportano che meno del 50% dei dirigenti al Nord vi ha fatto ricorso, molti meno al Sud.
  3. I contrasti tra ANP e i sindacati della scuola, la prevalenza di team tecnocratici sui vertici della burocrazia scolastica e sulle formule di elaborazione cooperativa e l’evoluzione dell’arena di policy denunciano fratture e ricomposizioni nelle policy communities in campo.

Osservando più da vicino il lavoro compiuto emerge la mescolanza nella definizione delle scelte di componenti di tradizione e di misure di svolta, una costante nelle politiche educative.

  1. Il modello amministrativo consolidato nel nostro Paese per la gestione degli organici si basa sull’ interazione tra le domande delle scuole e le risposte delle burocrazie centrali: il fabbisogno dichiarato dalle scuole è un criterio dominante anche quando nelle reali assegnazioni prevalgono vincoli complessivi. La mancata adozione di criteri alternativi, quali l’adeguatezza delle risorse professionali o l’approccio strategico legando le dotazioni a obiettivi e risultati verificati, è nel solco della tradizione.
  2. Con le misure di stabilizzazione a ogni scuola sono assegnati, in un contesto di rapporto ancora favorevole tra docenti e studenti, organici aggiuntivi (mediamente 6-7 docenti) finalizzati al potenziamento in modo che le scuole possano realizzare compiutamente il proprio piano dell’offerta formativa. La rigidità dell’organizzazione del lavoro e delle classi di concorso non sono certamente condizioni favorevoli.
  3. Il modello di aumento degli organici per realizzare i progetti di istituto fa riferimento alle prime stagioni dell’autonomia in cui era sostenuta la progettualità delle scuole e l’organico funzionale ne era il postulato. Le iniziative aggiuntive raramente sono in grado, tuttavia, di migliorare il core business della scuola.

L’intensa attività, comunque, realizzata nell’ottica della ripartenza (Italia riparte), ben oltre la sommatoria di punti scollegati tra di loro (sul modello delle 100 priorità della Leopolda) o il decalogo di slogan attrattivi, è una buona garanzia contro il rischio per le elezioni 2018 di fake programs)[1].

Come può evolvere l’agenda politica? Un po’ erratico appare il processo nonostante lo schema illuministico e la vena tecnocratica del documento della Buona scuola. Probabilmente qualche errore di valutazione dei tempi necessari e, soprattutto, del livello di condivisione delle misure proposte ha condizionato il destino della Buona scuola. Processi erosivi (chiamata diretta solo per un’area limitata, valutazione del dirigente senza impatto sulla retribuzione …) sono, propri di ogni politica educativa nel passaggio alla policy in use. Episodi di incertezza o di improvvida comunicazione (come l’annuncio di un possibile aumento delle ore di lavoro per i docenti da parte di un sottosegretario) uniti a dilazioni nell’attuazione di misure significative (quali la mobilità dei docenti e la continuità di sede), confermano la presenza di ingorghi. C’è un mix di modernizzazione del sistema scolastico (0-6 anni), uno sforzo misto per l’edilizia (recupero del passato, normativa sismica, nuova edilizia, rinnovamento ecologico), una presa in carico di questioni discusse (merito e valutazione dei dirigenti), e una serie di misure ad hoc (voucher).

La scommessa, comunque, del programma è quella di rivelarsi attrattivo non per le promesse più o meno realistiche bensì richiamando le azioni di governo portate avanti, ricostruite senza riscriverne la storia, e riconoscendo esplicitamente inadeguatezze ed errori soprattutto nella fase di implementazione. Ancorchè non scevre di criticità le comprovate capacità di governo non sono una categoria corrente.

La disomogeneità dell’agenda, e la sua stratificazione, era evidente nel programma di governo del passato e rimane anche un carattere dell’agenda elettorale per la scuola. Ci sono aree di azione, come il caso della fascia 0-6 anni da tempo all’attenzione dei politici, sorretta da una policy community robusta, internazionalizzata, coesa e già protagonista dei tentativi in passato e tradotta in misure normative destinate a perdurare nel tempo con previsioni di impegni finanziari. Ci sono nodi in via di soluzione, ma da sciogliere completamente, come la stabilizzazione dei precari e, più in generale, l’aumento dei docenti a disposizione della scuole con ipotesi di estensione del tempo pieno e controllo del numero di alunni per classe. Ci sono correzioni di rotta all’interno di un diverso equilibrio degli attori in campo, come il bonus premiale per i docenti e l’impegno ad una contrattazione regolare nel tempo (entro il 2018 finisce il triennio il cui contratto è siglato pochi giorni prima dell’appuntamento elettorale. Ci sono nuova indicazioni introdotte nell’agenda sulla base dei pareri esperti e di un policy borrowing un po’ approssimativo. E’ necessario un approccio dimensionale. Vediamo separatamente queste diverse componenti.

L’intervento per la fascia 0-6 anni ha radici profonde, tocca esigenze reali e può svilupparsi in un clima di possibile consenso, secondo il decreto legislativo già definito e il relativo piano pluriennale varato. Sono previste risorse annuali (100 milioni) ma non si definiscono obiettivi intermedi e differenziati per raggiungere il traguardo del 30%.

Qualunque siano state le ragioni, è evidente la necessità di una funzionalità strategica della stabilizzazione dei precari è evidente la necessità di sviluppare la progettualità pedagogica che dia respiro e senso all’ampliamento degli organici. Il concetto di potenziamento deve inserirsi sui movimenti innovativi, anche per valorizzare le dotazioni di organico (rapporto favorevole del numero di docenti sul numero di studenti) attraverso l’imprenditività dei dirigenti scolastici e la progettualità delle singole scuole. L’espansione del tempo pieno al Sud non sembra essere determinato solo dalla mancanza di insegnanti.

Più complesso è il destino dei tentativi di innesti di nuove soluzioni. La chiamata diretta (diventata poi chiamata per competenze) segna una svolta nella cultura politica della scuola e delle strategie per il capitale professionale delle scuole e va riesaminata sulla base dei vantaggi e svantaggi, operando per soluzioni, anche intermedie, che abbiano il consenso. L’allineamento del nostro Paese con altri in tema di valutazione dei docenti è una questione da riconsiderare con attenzione, tenendo conto sia delle posizioni di esperti e pundits della scuola sia del fallimento di vari tentativi avviati e poi abortiti nel nostro Paese, sia di una lettura approfondita della letteratura scientifica sul tema. Allo stesso tempo è da considerare il problema di come garantire ai docenti delle nostre scuole un insieme di servizi professionali di sostegno e di consulenza.

Tra le indicazioni implicite contenute nel lungo programma si trova anche l’impegno a “definire il costo standard di sostenibilità anche per promuovere il pluralismo educativo e una migliore offerta formativa per il diritto allo studio”. Non ci sono precedenti a questo tema che, tuttavia, richiama un gruppo di lavoro recentemente costituito dal Ministro dell’istruzione Valeria Fedeli con il coordinamento dell’ex-ministro Luigi Berlinguer. L’iniziativa è stata apprezzata da autorevoli esponenti di Forza Italia e si aggancia alla lobby delle scuole paritarie d’élite e alle analisi da esse promosse in vista di una rifondazione, sul modello della sanità lombarda, del regime di finanziamento del sistema scolastico con un radicale miglioramento delle condizioni di lavoro delle scuole paritarie. L’ipotesi manca di sperimentazioni nel campo della scuola e presenta criticità; in ogni caso l’impegno contenuto nel programma è generico (si prevede la definizione e non l’adozione…) e non è tradotto in termini operativi né tanto meno accompagnato di cifre sui relativi costi.

Un po’ a sorpresa compare una nuova espressione – Children Union – di cui sfuggono i contenuti reali. Forse è riferita a ipotesi di riconoscimento di un fondo da assegnare ad ogni bambino/ragazzo per assicurare pari opportunità di formazione e di istruzione. Sullo sfondo lo sviluppo delle azioni contro la povertà educativa, l’esigenza di un intervento sul modello delle misure di rafforzamento della domanda (vari bonus…) e l’opportunità del varo di azioni comunitarie nel settore. L’assunto riguarda l’impatto dell’educazione della prima infanzia e nella scuola primaria sulla lotta contro le disuguaglianze.

Quali sono gli attori in campo nell’arena di policy? Nella messa in opera della Buona scuola si ritrovano, sottotraccia e con periodiche emersioni, due logiche di azione che sembravano confliggere. Una prospettiva più tecnocratica, ispirata da scelte avvedute di strategia di gestione, c’è un tentativo di svolta o, per lo meno, di sospensione dell’invasione sindacale (nel testo della Buona scuola non sono citati i sindacati o i contratti di lavoro). le due linee non sono coincidenti. alla fine le strategie a metà rischiano di rivelarsi insufficienti: nessuna delle due è in grado di risolvere i problemi e di prevalere sulle altre, obbligando a soluzioni di compromesso con ricorrenti contatti con scintille e contrasti. La svolta della Buona scuola decisa dal Ministro Giannini, unico ministro non confermato nel governo, viene reinterpretata da un diverso ministro Valeria Fedeli, exsindacalista, chiamata a  ricomporre il ‘dialogo sociale’.

La contrapposizione appare anche nelle posizioni della potente associazione sindacale dei dirigenti di scuola. “La chiamata diretta è una grande opportunità se affidata alla competenza e alla serietà dell’istruttoria preventiva da parte della scuole, affidando il compito della decisione al dirigente”, ha spiegato Rembado a margine dell’XI congresso nazionale del sindacato in corso di svolgimento a Roma. “E’ il modo per mettere insieme le competenze professionali dei docenti con gli obiettivi formativi degli istituti scolastici. Quindi non dovrebbe essere riferita soltanto ad un gruppo di docenti ma a tutti i docenti delle singole scuole”[16].

Naturalmente la discesa in campo delle organizzazioni sindacali degli insegnanti ha cambiato la composizione dell’arena di policy. E le conseguenze sono state immediate attraverso il rinnovo del contratto nazionale di lavoro che ha portato ad una revisione di fondo del bonus premiale (con la critica dell’ANP[17] e di settori dell’opinione pubblica[18]). Politiche assertive e contrattazione sindacale.

Il rapporto tra gli attori nella costruzione di un’agenda, nel suo sviluppo o nel suo contrasto ha termini di riferimento importanti nelle basi conoscitive disponibili da utilizzare per costruire ipotesi di intervento, stime di fattibilità e analisi d’impatto, nell’accumulazione di evidenze scientifiche riferite alle misure che si intendono adottare e nell’adozione di rigorosa di una filosofia di value for money (ogni soluzione che si introduce deve avere una buona probabilità di tradursi in effetti positivi. Allo stesso tempo è importante evitare le riforme o i cambiamenti a somma zero, capaci cioè di affrontare e risolvere problemi complessi generando allo stesso tempo, tuttavia, nuove e diverse criticità [19].

In ogni caso è diffusa la consapevolezza che il mutamento in educazione è complesso, raramente radicale, talvolta fallace. L’inserimento nell’agenda elettorale di un tema o lo scarto di un altro deve tener conto degli ostacoli che messa in opera comporta, aldilà dei frequentemente menzionati costi, soprattutto per la resistenza dei regimi consolidati e la numerosità degli attori di sistema o non di sistema nell’arena di policy, senza dimenticare l’implementation dip, il fatto cioè che le prime applicazioni di nuove misure spesso peggiorano la situazione.

Quali sono i temi non in agenda? Gli analisti delle politiche pubbliche richiamano l’attenzione sulla formazione dell’agenda, ma mettono in evidenza anche la non agenda (perché una questione non rientra, che cosa impedisce ad alcune questioni di entrare in agenda…). Nessuno può mettere gli studenti (“una scuola su misura degli studenti”) ai margini e la retorica è quanto mai ricca. In realtà, tuttavia, la centralità dello studente e dei suoi processi di apprendimento diventa reale se si traduce in obiettivi espliciti riferiti ai livelli di apprendimento e ai traguardi formativi da raggiungere. Sotto questo profilo l’intero manifesto segue altri paradigmi: la politica della scuola è sulle risorse finanziarie, sulle condizioni organizzative, su misure di funzionalità interna, sulle dotazioni di organico. Don Milani spesso richiamato (“Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia’‘, cita Renzi) e nella cultura della sinistra la lotta a ogni forma di discriminazione a partire dalla scuola è di tradizione. Stupisce da questo punto di vista che oltre alla consumata lotta alla dispersione (early school leavers, NEET) e all’enfasi sui servizi per la fascia 0-6 in termini di prevenzione, non si ritrova, nella prospettiva delle misure contro la povertà educativa, una rivisitazione dei temi caratterizzanti con le informazioni sul peso dei fattori socio-economici sui risultati degli studenti e sui sistemi che riescono relativamente meglio di altri, sugli indicatori più significativi (livelli di preparazione inadeguata, condizionamento sociale, studenti resilienti, variazione di risultati tra le scuole e all’interno stesso delle scuole…). Altrettanto sorprendente è il poco rilievo alla disomogeneità territoriale, una situazione senza uguali in Europa. Le affermazioni contenute nel programma (“Anche nel Mezzogiorno la scuola deve essere messa nelle condizioni di diventare motore di sviluppo e inclusione”) sono di principio come senza traduzione progettuale sono i relativi gli impegni (“Ci impegniamo a rafforzare il tempo pieno in tutto il Paese e a portarne l’offerta nelle scuole elementari del Sud ai livelli medi del Centro-Nord (p.7)”). Il tema della scuola rientra nella generica prospettiva dei desiderata per il Mezzogiorno (“Occorrono maggiore qualità, trasparenza ed efficacia della Pubblica amministrazione; un sistema giudiziario più veloce ed efficiente; un miglioramento degli standard dell’istruzione e della sanità; un rafforzamento della rete infrastrutturale…”( p.1).

5. I rischi del fare e le ragioni dell’istruzione

Ricostruire le posizioni del Pd sulla scuola fino all’appuntamento elettorale del 2018, a cui corrisponde un ciclo di policy con pochi paralleli nel recente passato, mette in luce nodi cruciali delle azione pubbliche sull’istruzione nel nostro Paese. Esaurita l’onda della Buona scuola il Pd si trova, nel ridefinire il proprio programma, di fronte a due scogli da aggirare per affrontare gli elettori.

In primo luogo la posizione elettorale di una forza di governo ha delle costanti, spesso è destinata a danneggiare chi scende nell’arena della competizione. Per una formazione politica che ha esercitato un ruolo di governo i nodi vengono al pettine al momento della consultazione elettorale, sia che l’esperienza sia stata negativa sia che il lavoro svolto sia ragguardevole al netto delle polemiche congiunturali. Il perimetro dell’opposizione si amplia anche perché il sistema non è più bipolare e la confusione può nascere anche dalla condivisione di misure, almeno nei principi, tra la Forza Italia e Partito democratico. L’interrogativo – realizzare convince e premia elettoralmente ? – non ha risposte scontate. Nell’opinione pubblica il consenso sulle realizzazioni tende a essere inferiore al consenso di carattere generale sull’azione del premier.[2]

In secondo luogo la volatilità delle agende che hanno ispirato il governo, in mano al Pd, nel ciclo 2014-2018 (temi prioritari quali la fascia 0-6 non inclusi nella stesura iniziale della Buona scuola, misure incisive erose nel fase di implementazione ed escluse dal manifesto elettorale, rottura dei tradizionali modelli di gestione del personale e graduale rientro delle scelte più innovative…) risente della mancanza di una visione che dia unità e coerenza alle misure operative. Un progetto non è la somma di buone cose, richiede principi ispiratori autentici di respiro e radici culturali e politiche delle scelte operative che si compiono. Nonostante un wording debordante, uno stile accattivante e un racconto spiazzante la Buona scuola ha rivelato un disegno ricca di proposte e misure di svolta, ma forse debole di radici e di visione unificante.

La pericolosità di questi due scogli rende la navigazione debole e incerta, lacerata tra le visioni di una vela d’altura e il prammatismo del cabotaggio costiero nel solco della tradizione. Per realizzare processi di svolta (“Cambia verso“, “L’Italia riparte”...) la divisività delle scelte, controverse, contrastate, non comprese, non condivise, è inevitabile. Nella fase tuttavia della policy in use, i ritardi se non gli insuccessi – gli avversati parlano di flop -, l’erosione di alcune scelte iniziali (valorizzazione del merito, valutazione dei dirigenti[22], continuità di servizio per i docenti…) e l’inversione di marcia nel rapporto con le organizzazioni sindacali confermano la nobiltà e la miseria dei tentativi di rinnovamento della scuola nel nostro Paese.

Non va tuttavia sottovalutata la fragilità intrinseca delle narrazioni dell’operato, peraltro significativo nella storia recente delle politiche educative (“..aumento delle risorse per la scuola”p.2), per l’assenza di evidenze, pur parziali e non definitive, dei benefici creati per gli studenti, per la qualità della loro formazione, per i livelli di apprendimento raggiunti e per l’accesso riuscito alla conoscenza, alla cultura e alla ricerca. Alcuni miglioramenti registrati nelle indagini PISA, come nelle performance in matematica, non sembrano aver collegamenti con le politiche tracciate nella Buona scuola. Purtroppo non era questa la filosofia che ha ispirato l’intero ciclo, non adeguatamente fondato su evidenze e su ipotesi plausibili[23]. Né la costruzione dei messaggi[24], né lo spirito di ingenua tecnocrazia che attraverso il manifesto della Buona scuola, né l’attivismo delle burocrazie impegnate nella implementazione sono alternative funzionale ad una strategia evidence-based e coerente di cui hanno bisogno i sistemi di istruzione oggi. Questo naturalmente non diminuisce il valore delle singole realizzazioni (interventi sull’edilizia scolastica, stabilizzazione del personale precario…) e l’utilità marginale di alcune misure in controtendenza che riempiono la bisaccia sulle spalle del Partito democratico. Non è infatti da escludere che alcune proposte, smussate nella prima fase di messa in opera, non siano riprese e sviluppate proprio sulla base della fatica della prima implementazione.

Se la scuola e l’istruzione in genere sono fonte di visioni e di orizzonti culturali, la retorica che ricorre in toni diversi nei programmi elettorali letti non sembra risentire della comprensione attuale delle sfide che il futuro pone ai sistemi mediocri di istruzione come è quello del nostro Paese nonostante le sue eccellenze e, soprattutto, le sue potenzialità. Né sembra esserci un riflesso dei temi frequentati dagli educationists che animano la ricerca e il dibattito in altri paesi o sulla scena internazionale o delle lezioni che altri sistemi capaci di innovazione potrebbero offrire.

 

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[1] Il programma ufficialmente depositato presso il Ministero dell’Interno (http://dait.interno.gov.it/documenti/trasparenza/Doc/98/98_Prog_Elettorale.pdf) che riproduce il documento “Più forte, più giusta. L’Italia – Sintesi del programma elettorale, 4 marzo 2018” che si trova anche al sito http://ftp.partitodemocratico.it/programma2018/PD2018-sintesi-programma – B.pdf.Il programma completo del PD, contenuto nel documento “Più forte, più giusta. L’Italia” riportato al sito http://ftp.partitodemocratico.it/programma2018/PD2018-programmaA4_5feb.pdfI 100 punti contenuti nel documento “100 cose fatte, 100 cose da fare”, reperibile sul sito al link http://ftp.partitodemocratico.it/politiche2018/programma-100×100-A4web-7febOK.pdf.

[2] Si veda per gli aspetti finanziari Commento al Programma di Finanza pubblica del Partito Democratico predisposto dall’Osservatorio CPI.

[3] Il Pd in realtà è capofila di una coalizione (civica, + Europa…). Si analizza il Pd perché le posizioni delle altre componenti convergono.

[4] Il Sole 24 ore, 17 gennaio 2018.

[5] Corriere della sera, 22 gennaio 2018, p.1

[6] Contrariamente all’opinione corrente l’abolizione del valore legale del titolo di studio è stata anche una battaglia di sinistra. Non perché l’emendamento alla riforma della Pubblica amministrazione, che fa ponderare il voto di laurea in base all’università di provenienza, sia stato presentato dal senatore Pd Marco Meloni; ma perché questo principio di differenziazione degli atenei chiude una ventennale tradizione post-Pci che parte da quando Nicola Tranfaglia dichiarava che l’autonomia universitaria implicasse l’abolizione del valore legale, passa per la proposta Ds di “affievolire” il valore legale cambiando le procedure di assunzione dei docenti e culmina nel programma di Veltroni che lasciava a ogni ateneo piena facoltà di scelta anche per l’ammissione degli studenti. L’applicazione di questo principio però è sempre stata un mito di destra. Nel 2011 un Senato a maggioranza berlusconiana aveva commissionato un dossier su danni e benefici del valore legale; l’anno dopo il governo Monti aveva azzardato una pubblica consultazione online da cui era però emersa una schiacciante maggioranza conservatrice che riteneva il valore legale non negoziabile. Ciò spiega perché all’atto pratico l’emendamento sia stato sostenuto da Forza Italia mentre le pressioni dei gruppi studenteschi (Udu, Link, Gioventù Comunista, peraltro in disaccordo) causavano il ripensamento del Pd: Francesca Puglisi annunciava che l’emendamento sarebbe stato corretto alla Camera e lo stesso Meloni richiedeva un supplemento di riflessione o serena autocritica.

[7] Si veda il lavoro presso l’ARAN a metà degli anni 1990 attorno alle ipotesi di incrementi retributivi legati ad accertamenti professionali.

[8] Si vedano le iniziative del governo regionale della Lombardia.

[9] Si veda le soluzioni adottate dalla Scuola Rinascita di Milano che ha costruito una ipotsi praticabile pur nel quadro normativo esistente che consente di conciliare la scelta dei docenti da parte della scuola e i diritti dei docenti stessi.

[10] da notare che manca la compilazione di un testo unico delle normative.

[11] Si tratta di un format diffuso tra gli attori della competizione elettorale.

[12] Nel Commento dell’Osservatorio si nota a proposito di questo fondo che è troppo generico per poter essere quantificato.

[13] Cfr Senatori PD, L’Italia che cresce, 2018. Istruzione, università e ricerca.

[14] Si vedano in allegato gli incrementi nel rapporto tra spesa per l’istruzione e il Pil, determinati dalle politiche del governo di Matteo Renzi.

[15] Tecnica della scuola 15.12.2017.

[16] La tecnica della scuola 15.12.2017

[17] Antonello Giannelli capo dell’ANP: “… un’occasione di rinnovamento sacrificata sull’altare dell’imminente appuntamento elettorale».

[18] De Bortoli su Corriere della sera 11 febbraio 2018 (“contratto degli insegnanti che mortifica il merito”) e Gianna Fregonara su Corriere della sera, 8 febbraio 2018 (“Contratto scuola, resta poco su merito e lotta alla ‘supplentite'”).

[19] Il riferimento ai 700.000 partecipanti al sistema duale tedesco.

[20] Si veda più avanti l’utilizzo di dati valutativi in Francia e nel Regno Unito.

[21] Così il passare da 9.000 studenti in ITS a 100.000.

[22] Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale per la valutazione della dirigenza scolastica solo il 67% ha compilato il Portfolio, il primo passo della procedura prevista. Secondo l’associazione nazionale presidi (Anp) «molti dirigenti hanno aderito alla protesta in corso astenendosi dalla compilazione, anche in considerazione del fatto che per l’anno scolastico 2016/17 non ci sarebbero stati effetti sulla retribuzione».

[23] Si veda ad esempio la letteratura sul merit pay.

[24] Stupisce la mancanza di riferimenti ai dati valutativi dell’Invalsi.

 

[1] Mario Monti, Promesse e debiti (nostri), Corriere della sera, 21 gennaio 2018, p.1

[2]Scrive Francesco Luccisano (Linkiesta, 24 febbraio 2018):Gli ultimi anni hanno insegnato alla politica un’amara lezione: la scuola non porta consenso. Non porta consenso assumere – troppo intricata la situazione storica del precariato per non scontentare nessuno, troppo grande una struttura con 40.000 plessi per poter fare assunzioni centralizzate senza creare malcontento. Né pare porti consenso provare a offrire alle famiglie una scuola di maggior qualità: la valutazione degli insegnanti – in qualunque modo la si proponga – è ancora vista come una “sovrastruttura aziendalista” e come un ostacolo alla libertà di insegnamento. Su questo tema la voce dei sindacati scolastici ha sovrastato di molto quella delle famiglie”.