Quando i ministri dell’istruzione scrivono …

Gli scritti, manifesti o memoriali, dei ministri dell’istruzione adottano codici diversi. Quasi sempre redatti ex-post, come resoconti pubblici del lavoro svolto, talvolta si traducono in testimonianze di vita personale, non senza indirette apologie delle realizzazioni compiute. Nel suo corposo quasi memoir Andrew Adonis[1], ministro per l’educazione con il primo ministro Tony Blair, ricostruisce l’origine delle Charter schools in Inghilterra di cui è stato protagonista anche se l’evoluzione dell’esperienza non ha confermato gli obiettivi originari. Letizia Moratti[2], ministra dall’11 giugno 2001 al 23 aprile 2006, affida ad un’intervista condotta da un giornalista di rango la narrazione della propria esperienza alla Minerva, con particolari inediti e precisi, per lo più ignoti al grande pubblico. In altri casi a scrivere sono futuri ministri, o aspiranti tali, che rivelano le proprie intenzioni, stendono le agende e propongono linee di lavoro. Così Alain Juppé[3] nel 2015 prepara la propria candidatura alla presidenza della Repubblica in Francia con un’analisi dettagliata della situazione scolastica e la testimonianza di esperti. Sempre in Francia Jean-Michel Blanquer[4], navigato amministratore e ministro dell’educazione nazionale con durata record dal 2016 al 2022, pubblica nel 2016 un volume si direbbe programmatico per la scuola del proprio paese. Altri ministri ancora come Luigi Berlinguer, a Viale Trastevere dal 17 maggio 1996 al 25 aprile 2000, rilanciano proposte per la scuola dopo gli anni di governo dell’istruzione e rileggono l’esperienza con qualche vena di nostalgia.[5] Di interesse sono anche scritti redatti in precedenza rispetto all’incarico governativo come è il caso di Tullio De Mauro[6] ministro dal 26 aprile 2000 al 11 giugno 2001. Il tema dell’educazione trova, peraltro, spazio nelle elaborazioni in vista dell’appuntamento elettorale come avviene con Romano Prodi e, successivamente, con Pier Luigi Bersani[7]. Al passato degli anni 1960 appartengono i poderosi archivi di Luigi Gui[8], ministro della pubblica istruzione dal 12 febbraio 1962 al 28 giugno 1968. Anche Adolfo Sarti ha riservato alla scuola pagine del suo diario per il breve periodo in cui è stato ministro (dal 4 aprile al 18 ottobre nel 1980). Recentemente nel 2021 un appassionano ma breve memoir è stato pubblicato da Lucia Azzolina, del Movimento Cinque stelle, ministro dell’Istruzione dal 10 gennaio 2020 al 13 febbraio 2021.[9]

Nel panorama di queste pubblicazioni il volume di Patrizio Bianchi Nello specchio della scuola, Quale sviluppo per l’Italia, Il Mulino, Bologna 2020 non è, quindi, un unicum, se non, come vedremo, per l’originalità di approccio e di metodo. Sessantanove anni, già storico, e apprezzato, assessore regionale a Scuola, educazione, università, ricerca, formazione e lavoro dell’Emilia Romagna per dieci anni, il professor Bianchi è stato rettore dell’Università di Ferrara.  Su incarico della ministra Lucia Azzolina del governo Conte II nel 2020 presiede il Comitato di esperti per il riavvio della scuola dopo la pandemia. Il Rapporto del Comitato[10] più che strumento operativo con indicazioni per la riapertura dell’anno scolastico 2020-2021 ha la fisionomia di un manifesto per il futuro della scuola italiana.[11] A tale documento fanno riferimento diversi estratti e numerosi rimandi, ad esempio in tema di formazione degli insegnanti (nota n.11 p.154), contenuti nel volume del coordinatore della task force tempestivamente pubblicato per le edizioni Il Mulino di Bologna. L’autore Patrizio Bianchi non fa mancare espliciti ringraziamenti ai componenti del Comitato (p.13) e il 12 febbraio 2021 diviene ministro dell’Istruzione nel governo presieduto da Mario Draghi in carica fino al 21 ottobre 2022.

Il libro dell’economista Bianchi ha il tono e l’impostazione di una cornice storica e teorica per un programma di azione. Cela da parte dell’ex assessore regionale, un’indiretta candidatura per la responsabilità dell’istruzione, non esplicita ma lasciata intendere[12], quasi una socializzazione anticipata ad un possibile ruolo oltre il perimetro della precedente esperienza di assessore regionale. Non è fuori luogo, quindi, considerare il volume di Bianchi se non come un vero e proprio programma di lavoro, la formalizzazione nero su bianco di una visione proiettata verso un’azione pubblica ampia, coordinata e ragionata per la scuola del nostro Paese.[13]

La brevità dei cenni alla letteratura, la varietà dei temi trattati e le dimensioni contenute rischiano di pregiudicare la comprensione dello spessore culturale, scientifico e politico delle 182 pagine del volume. Oltre che accademico di rango e assessore di lungo corso Bianchi è direttore scientifico della Fondazione IFab che si occupa di big data e intelligenza artificiale per lo sviluppo umano e ha una ricca produzione accademica[14]. Come da seconda di copertina con il Mulino ha pubblicato volumi recenti, tra cui “Il cammino e le orme. Industria e politica alle origini dell’Italia contemporanea (2017) e “4.0. La nuova rivoluzione industriale (2019). Patrizio Bianchi vanta, inoltre, un’esperienza fuori dal comune: è stato membro del consiglio di amministrazione dell’IRI e presidente di Sviluppo Italia oltre che economic advisor del governo cinese e docente in alcune università cinesi, nonchè titolare della Cattedra Unesco “Educazione, crescita ed eguaglianza”.

Un volume snello, ma non troppo

Tra la Premessa e le Conclusioni il saggio si sviluppa in sette capitoli. Apparentemente snello e leggero (p.182), alla lettura, tuttavia, si rivela denso di contenuti e ricco di temi. Nel suo insieme appare un po’ eclettico per la varietà di schemi disciplinari adottati (dall’economia dell’istruzione alla sociologia delle istituzioni scolastiche, dall’analisi delle politiche pubbliche alla ricostruzione storica della scuola, dalla filosofia dell’educare alle statistiche dell’educazione…). Inserito nella collana Voci delle Edizioni Il Mulino, non è, tuttavia, un mero esercizio divulgativo. Piuttosto un ambizioso sforzo per delineare, con un format lineare e accessibile, la cornice dell’azione pubblica in educazione tenendo conto del contesto presente e dei nodi da risolvere avendo sullo sfondo alcune precise e dominanti ipotesi di spessore teorico. Una prosa leggibile e la scansione in capitoli tematici legano le parti di un discorso da cui emerge coerente l’argomentazione di base – non c’è sviluppo economico e sociale senza l’educazione – con tutte le derivate implicazioni.

Della pretesa di un testo di peso si trovano varie conferme. La rivisitazione, pur a maglie larghe, della storia dell’educazione da Platone ai giorni nostri attraverso John Locke e Jean-Jacque Rousseau, non è una scelta usuale in un documento di policy. Riflettono il background professionale e culturale del professor Bianchi le ipotesi sullo sviluppo e sul cambiamento tecnologico. Puntuali riferimenti statistici sorreggono un impianto non approssimativo. Sparsi nei vari capitoli, gli ancoraggi scientifici sono di assoluto rilievo, da Amartya Sen (Nobel economia 1998) a vari altri premi Nobel (Robert Lucas 1995; Paul Romer nel 2018, p.90), includendo un riferimento a Martha Nussbaum sul diritto delle persone fragili. La letteratura di political economy dell’educazione, gli economisti dell’Human Capital Approach e la scuola del Capability Approach (p.91) attraversano i capitoli più tecnici del volume. La ricostruzione storica della scuola italiana fornisce, in un’ottica diacronica, le radici della cornice di riferimento (p.61ss). Si ritrova l’afflato progressista della tradizione del nostro Paese che ispira l’immancabile citazione implicita di Don Milani e l’inevitabile avallo della Costituzione, “guida sicura per capire quale paese vogliamo” (p.10) e, pertanto, base valoriale di riferimento (p.99ss). L’autore si muove con un orizzonte sovranazionale, attento alla elaborazione europea risalendo per una concezione ampia dell’educazione al Rapporto Delors (1993) della Commissione internazionale UNESCO sull’educazione per il XXI secolo (p.129) e rifacendosi alla Raccomandazione del Consiglio europeo del 2018 relativa alle competenze chiave. Anche lo stato dell’Italia digitale è tracciato sulla base del monitoraggio condotto dalla Commissione europea[15] mentre lo scenario economico fa riferimento ai dati del Fondo Monetario Internazionale (p.25ss).

Nello specchio della scuola è un libro da leggere pagina dopo pagina. Nel Capitolo 1 (La scuola, lo sviluppo, la solidarietà) Patrizio Bianchi ricostruisce la triangolazione tra scuola, sviluppo e solidarietà. Richiama il fatto che il nostro è un Paese che non cresce da tempo, si appella alla scuola come motore per farlo ripartire e coniuga lo sviluppo con la solidarietà e l’equità. Crescita e competenze per lo sviluppo sono affrontate nel Capitolo 2 (Crescita e competenze per lo sviluppo): per colmare il training gap sono indispensabili nuove risorse umane. Non è sufficiente il miglioramento dell’esistente e del patrimonio attuale: occorre qualcosa di più per affrontare le “trasformazioni della società globale e la Quarta rivoluzione industriale”. Nel Capitolo 3 (I risultati della nostra scuola) si elencano “i ritardi” rispetto ai valori medi europei (percentuale di diplomati nella fascia 25-64 anni; popolazione di 25-34enni con titolo terziario; laureati tra i 30 e 34 anni). Al centro dell’attenzione sono le disuguaglianze tra territori e persone mentre il tasso di dispersione scolastica, sia implicita sia esplicita (p.161), traccia il profilo della “nuova povertà educativa”(p.50ss). Nel Capitolo 4 (Scuola, Stato e nazione) l’autore riassume la storia dell’educazione con un excursus, a pennellate larghe, a partire dalla società greca di Socrate e Platone per passare alla Riforma protestante, alle rivoluzioni industriali e approdare, infine, alla contemporaneità lungo le vicende dell’istruzione in Inghilterra, in Francia, in Prussia e in Italia (pp.61-82). Nel successivo Capitolo 5 (Formazione della persona e sviluppo) Bianchi segue l’ampliamento, nel suo divenire storico, dei “compiti sociali” (p.83) della scuola, dal formare la classe dirigente al formare lavoratori e il popolo, per seguire l’emergere centrale dell’educazione della persona a partire dalla riflessione di Jean-Jacques Rousseau. Con citazioni da Adam Smith e Alexis de Tocqueville agli economisti contemporanei (p.164) l’autore definisce l’ipotesi di fondo del saggio: l’investimento in educazione è essenziale per lo sviluppo e, soprattutto, per il passaggio dalle funzioni del passato della scuola a quelle proprie di una democrazia matura. Venendo all’Italia l’economista Bianchi stigmatizza, con i dati, il drammatico calo della spesa per l’istruzione con la crisi del 2008-9 a cui si deve il conseguente ritardo nell’investimento per le tecnologie.  Il Capitolo 6 (Costituzione, autonomia, territorio) è centrato sui principi che compongono la piattaforma valoriale della prospettiva tracciata. L’autore parte dall’articolo 34 della Costituzione (“la scuola è aperta a tutti”, p.99) per riaffermare il significato dell’autonomia e la valenza del territorio, arrivando alla solidarietà che ha ispirato le misure proposte per l’emergenza nazionale del COVID. Nel Capitolo 7 (Attraverso lo specchio) si chiarisce il senso del titolo del volume. La metafora dello specchio richiama il fatto che “sul sistema educativo si riflette l’immagine del Paese”, come si legge sulla prima di copertina. La Conclusione propone l’apertura di un dibattito nazionale con le questioni cruciali da affrontare mettendo sul tavolo un elenco di temi.

Il volume ha avuto una discreta risonanza, raccogliendo riscontri positivi[16], suscitando anche critiche di fondo[17] e stimolando la discussione su vari temi, dalla presunta impronta aziendalistica alla sottovalutazione della conoscenza disinteressata in una visione funzionalistica dell’educazione[18].

L’ho imparato ieri sera[19]

Come non di rado avviene, l’incarico ministeriale al Professor Bianchi è comunicato all’ultimo momento. “L’ho imparato ieri sera” glissa con malcelato candore il neo ministro il giorno dell’insediamento del governo al Quirinale. Tutto lascia, tuttavia, pensare ad una scelta preparata da qualche tempo.[20] In realtà il testo pubblicato dal Mulino nel 2020 porta, con evidenza, la firma di un ministro in pectore. Vi si legge in trasparenza la bozza di un programma da futuro responsabile dell’istruzione[21], più che un saggio di approfondimento accademico.

Il volume, infatti, non sembra essere stato compilato per arricchire la già abbondante produzione scientifica del professore di economia. Presenta piuttosto le premesse di respiro, in qualche misura, per un’azione di governo dell’istruzione, senza i caratteri dissacranti a cui siamo abituati e con un taglio non consueto nei contributi di provenienza accademica. Patrizio Bianchi ha una conoscenza diretta dei mondi della scuola e della formazione, con una familiarità con quanto avviene sul terreno, nelle classi e negli istituti ed è a conoscenza dei movimenti in corso[22], delle linee di studio e di ricerca sul campo.[23] Nel panorama italiano, peraltro, l’Emilia Romagna, campo di azione per un decennio dell’ex assessore, è regione leader nell’area delle politiche dell’istruzione e della formazione con standard elevati.[24]

All’Istruzione un professore di economia applicata

A pochi mesi dall’uscita del volume l’economista Patrizio Bianchi diventa ministro dell’Istruzione. Si può discutere se sia un tecnico o un politico: dieci anni come assessore regionale, non eletto, con i governatori Vasco Errani prima e Stefano Bonacini poi, denotano longevità di incarico non comune data l’instabilità politica anche a livelli regionali.

Dopo industriali come Giancarlo Lombardi, docenti universitari giuristi come Sergio Mattarella e Francesco D’Onofrio, professori di scuola di varia estrazione (Marco Bussetti, Lucia Azzolina), tecnologi provenienti dai Politecnici (Francesco Profumo ) o da scuole di alta tecnologia come Sant’Anna di Pisa (Maria Chiara Carrozza), sindacaliste di lungo corso (Valeria Fedeli), rettori di università (Luigi Berlinguer, Stefania Giannini), linguisti di calibro (Tullio De Mauro), mancava un economista nel pantheon della Minerva, se si esclude la meteora del Ministro Lorenzo Fioramonti in carica dal 5 settembre al 25 dicembre del 2019.

La nomina a ministro di un economista con un curriculum professionale e politico di rilievo allinea il nostro Paese ad una diffusa tendenza. Pur con qualche ritardo rispetto ad altri paesi e al protagonismo di economisti dell’educazione a livello sovranazionale, l’incarico ad un economista è anche l’onda lunga che ha visto, e vede, economisti al capezzale della scuola italiana. Martin Carnoy, economista dell’università di Stanford, ha fatto parte del team OECD che ha analizzato nel 1997 il progetto di riforma della scuola italiana presentato dal Ministro Berlinguer. Si sono occupati dell’Invalsi economisti della Banca d’Italia come Piero Cipollone, come commissario prima e presidente poi, e Paolo Sestito come successivo presidente. Con esperienza in Banca d’Italia l’economista Andrea Gavosto, guida la Fondazione Agnelli che da oltre un decennio impegnata sui temi dell’educazione e sull’analisi delle politiche di settore. Attualmente un economista, Sebastiano Fadda, presiede l’agenzia italiana per la valutazione delle politiche pubbliche (ex ISFOL). é di Fabrizio Barca, economista con passato alla Banca d’Italia ed esperienza di alta burocrazia e di responsabilità ministeriale, il Quaderno bianco sull’istruzione del 2007, uno dei pochi documenti strategici presenti nella storia degli ultimi decenni della scuola nel nostro Paese[25].

Il background accademico si rivela nelle riflessioni, nelle informazioni, nei dati e nella letteratura di riferimento. Non senza ragione Bianchi parla di “libro volto in particolare a esplorare il nesso tra educazione e sviluppo” (p.131). Pagina dopo pagina il libro si rivela, tuttavia, qualcosa di più, e di diverso, di un saggio di cultura economica. L’ex assessore Bianchi, infatti, porta in dote la credibilità di un dialogo istituzionale possibile, dopo una difficile e travagliata stagione, quella dell’epidemia Covid, di confronto perdurante e di scontro aperto, particolarmente in tema di scuola, tra le autorità centrali e i governi regionali[26].

L’incursione nella pedagogia

Le riflessioni e le idee proposte travalicano i convenzionali confini delle discipline accademiche. Mentre non lesina, in più passaggi, il richiamo ai vincoli amministrativi che paralizzano l’innovazione, l’esperto economista dilaga a tutto campo arrivando al terreno cruciale della riflessione pedagogica, della metodologia didattica e dell’organizzazione dell’insegnamento.

In primo luogo è contro la scuola “in epoca fordista[27] (p.88) che Patrizio Bianchi scaglia i propri strali. Come per altri autori[28] l’impianto fordista diventa il nodo critico alla base del fallimento dei sistemi di istruzione di fronte alle attese della società[29]. La scuola fordista[30] entra nel ragionamento come una delle cause del mancato ruolo funzionale della scuola, effetto a sua volta del disinvestimento in istruzione. L’abbandono dell’impostazione fordista, sostiene Patrizio Bianchi, comporta l’abbattimento dei comparti disciplinari (“il curriculum deve vedere materie più integrate tra di loro. Dobbiamo uscire dalle gabbie del novecento dove tutto era frazionato, specie alla scuola superiore”. Interdisciplinarità, superamento della frammentazione degli insegnamenti, accantonamento delle gerarchie disciplinari sono le indicazioni per raggiungere le competenze oggi attese.

In questa ottica l’appello alla nuova didattica è conseguente. Dal Rapporto Delors Bianchi trae la visione della scuola non come serbatoio di nozioni bensì come palestra di apprendimento (p.130). Una sottolineatura che probabilmente si aggancia al ricorso alle tecnologie per l’educazione, oltre che ad una conseguente visione funzionale delle strutture edilizie.

Al tema dell’uguaglianza sono dedicati numerosi paragrafi. In questo contesto non manca un’allusione implicita a don Milani quando si legge nel testo “nulla è più ingiusto che dare in parti uguali a chi ha avuto di meno”(p.88).

Forte degli studi condotti sull’industria 4.0 il professor Bianchi denuncia con insistenza il ritardo italiano sul fronte del digitale, riconducendolo anche al disinvestimento sulla scuola nel secondo decennio del secolo. Citando dati della Commissione europea stigmatizza l’arretratezza del nostro Paese e, più in dettaglio, il “gap di competenze che ci separa dagli altri paesi europei” (p.163) e l’inadeguatezza del capitale umano a disposizione (“Oggi tutte le statistiche dicono che la nostra dotazione di risorse umane non è adeguata alla globalizzazione e alla digitalizzazione…” p.161) con la conseguente necessità di una formazione generalizzata dei docenti sul digitale (“In Italia, in 4-5 anni, dobbiamo riaddestrare 650mila insegnanti per andare incontro ad insegnamento adeguato al futuro digitale e all’interconnessione globale che si è ormai prospettato”).

Il valore aggiunto dell’esperienza

Oltre alla cultura accademica Bianchi porta nel suo discorrere il valore aggiunto dell’esperienza che probabilmente pochi accademici o ministri potrebbero vantare. Il paradigma del territorio esce dai lemmi della retorica politica per diventare istanza di innovazione e spazio di cooperazione tra le istituzioni. Con l’ex assessore siamo di fronte alla valenza di anni di esperienza sul campo[31]. Nelle affermazioni di principio e nelle posizioni espresse si coglie lo spessore della vita vissuta, delle iniziative condotte e della conoscenza diretta di fatti e situazioni in un contesto di forte capitale sociale e di robusta cultura istituzionale[32]. Sulla scia delle realizzazioni nella Regione Emilia Romagna[33] i “patti educativi di comunità” (p.112 e 123) diventano, ad esempio, una filosofia da proporre e un modello da diffondere.

Il confronto e lo scontro con gli studenti su norme covid e esame di Stato[34] e la tenacia nel difendere l’esame di Stato contro le richieste di semplificazione si associano all’attenzione al terzo settore come partner delle scuole, la visione di lungo termine dell’irruzione tecnologica in tutte le classi con il Covid. Anche l’ottica adottata nel saldare gli interventi per l’edilizia scolastica con la transizione digitale si radica nelle scelte compiute in Emilia Romagna dopo il terremoto (p.119). Le esperienze di dialogo tra università e imprese (Programmi di inserimento lavorativo dell’Università di Ferrara, p.116) sono esempi dell’integrazione possibile tra imprese, scuole ed enti di ricerca, che va oltre l’alternanza scuola-lavoro (p.116).

L’emergenza contingente della pandemia da virus è l’occasione per affrontare l’emergenza culturale e strutturale che ha caratterizzato, e frenato, la scuola italiana degli ultimi decenni. Per questa ragione l’autore va oltre l’emergenza parlando della “scuola oltre il virus” (p.127), affrontando cioè nodi strutturali dell’isrtruuzone nel nostro Paese nella consapevolezza che, come recita il sottotitolo del volume, “nella formazione si gioca il nostro futuro sviluppo”.

Una visione a tutto campo e un tacito grido di allarme

Ricostruire dal testo la filosofia del professor Bianchi nell’affrontare il tema scuola è impresa impegnativa. Anzitutto perché, ad una lettura di superficie, frequenti espressioni non facilmente opponibili, si direbbero lapalissiane, richiamano una retorica circolare da cui pare non esserci via d’uscita[35]. L’oscillazione, inoltre, di elementi disomogenei, dalle teorie classiche dello sviluppo alle ipotesi funzionalistiche del ruolo dell’istruzione, dalla centralità dell’equità al principio di solidarietà, rende ibrida la riflessione. Non si ritrovano, peraltro, le categorie consuete del neoliberalismo o del progressismo sociale che hanno animato il dibattito sulle politiche educative, mentre l’assenza di richiami divisivi alla destra o alla sinistra impediscono una facile collocazione del pensiero dell’autore. L’autore non si dimentica, tuttavia, di menzionare l’individualismo e il populismo che collega allo scarto che si è determinato tra una minoranza inserita nei processi e una maggioranza ai margini con rischi per la democrazia (p.151) citando quanto già il Rapporto Delors sui pilastri dello sviluppo umano aveva previsto nel 1997 (p.159). Solo ad una lettura attenta, per contrasto, emergono le idee fondamentali tra di loro concatenate e le argomentazioni che sorreggono un file rouge che si dipana di pagina in pagina e che, seppur in forme non drammatiche, si rivela un articolato grido di allarme. L‘arrière pensée non è per nulla superficiale e posizioni di fondo alimentano le diagnosi critiche dell’esistente e le terapie suggerite o implicite, in un linguaggio non tecnico, per molta parte accessibile a chi si occupa di istruzione.

La piattaforma ideale[36], robusta, ben articolata e argomentata, seppur non da tutti condivisibile, era già adombrata, peraltro, nel documento della Task force: una visione della scuola con un profilo radicato nel passato, coerente con il presente e proiettato nel futuro[37] all’interno di una cornice economica e culturale. Rispetto al passato il ‘j’accuse’ di Bianchi, pur senza toni drastici, è puntuale e per nulla banale con riferimento al crollo del Pil, al de-investimento sull’educazione e alle resistenze burocratiche al cambiamento. Il presente è negli auspici e nelle indicazioni operative disseminate nel tempo mentre lo sguardo al domani è conseguente nella previsione di una “vera fase costituente“(p.16) da aprire per tracciare sentieri nuovi nel campo dell’istruzione e della formazione per il divenire del Paese.[38]

Investimento in istruzione e sviluppo: fattori indissolubili

Le tesi di Bianchi sono esplicite e tradotte in slogan apodittici: “Non c’è crescita senza scuola”, “Senza investimenti nella scuola si rischia la decrescita”. “Se si investe in istruzione, formazione, ricerca vi sono crescita economica e sviluppo sociale” (p.157). In questa ottica, tranchant è anche la ricostruzione storica: “Il blocco della crescita dell’ultimo decennio nel nostro Paese è la contrazione dei finanziamenti per la scuola”. L’accademico Bianchi fa proprie “le teorie sullo sviluppo endogeno” (p.89) e non ha dubbi sulla diagnosi conseguente: in Italia dal 2009 si è avuto un disinvestimento in educazione e, quindi, “è stata inevitabile e prevedibile la caduta del nostro tasso di crescita” (p.157). La scuola deve ritornare ad essere, “o meglio divenga” auspica l’autore, “il motore di una crescita di un paese che da troppo tempo è bloccato“(p.16).

La non crescita dell’Italia, la riduzione della spesa per l’educazione e le carenze delle istituzioni scolastiche sono intrecciate tra di loro; la loro interconnessione è, secondo l’autore, all’origine della inadeguatezza del capitale umano che “vincola lo sviluppo economico e sociale del paese, segnandone profondamente anche i profili democratici”(p.11). Il professor Bianchi propone di rovesciare il circolo vizioso della stagnazione (p.11): se il taglio insistito delle risorse per le scuole ha impedito un progresso economico e sociale, investimenti sulla scuola possono invertire la rotta, sostenere lo sviluppo e contrarre le diversificazioni regionali. Questa è la strada per uscire dalla “trappola in cui è caduto il nostro paese negli ultimi venti anni”(p.11): investire sulle persone, dai bambini agli adulti, proprio per la necessità di innalzare la qualità delle risorse umane di tutto il sistema-paese (p.171). Nella scuola, il “battito della comunità” (p.12) con aritmie e fibrillazioni, sono in gioco principi e priorità per il Paese nel suo insieme.

Solidarietà ed equità: le condizioni per la democrazia  

Il ragionamento è stringente e allarga l’orizzonte: “se un paese non investe in educazione e in qualità delle strutture educative non solo si condanna a una bassa crescita, ma anche a una crescente disuguaglianza interna, che a sua volta inciderà sulla qualità dello sviluppo e della stessa democrazia” (p.91). La strada per lo sviluppo ha come condizione l’unire alla crescita i principi della solidarietà e dell’equità. Partendo dalla dinamica economica e sociale Bianchi passa all’investimento in istruzione per approdare alla solidarietà e all’equità ingredienti base della democrazia. Il tema, quindi, dello sviluppo e dell’investimento sono inscindibili dai principi della solidarietà e dell’equità, non corollari adiacenti ma condizioni insostituibili per la democrazia. Nelle pagine di Bianchi emerge la saldatura ottimistica tra i valori della convivenza civile con le dinamiche dello sviluppo economico: una sintesi di sapore progressista e una mediazione tra orientamenti valoriali e scuole di pensiero. D’altra parte le azioni pubbliche sono il risultato di sintesi culturali e di compromesso tra ottiche diverse ma che pur trovano punti di convergenza. La cultura della solidarietà è un ingrediente della missione della scuola a cui Bianchi riconduce anche l’educazione alla creatività e all’affettività richiamando esperienze da ripensare e da valorizzare.[39]

Alfabetizzazione digitale e intelligenza artificiale

La questione del rapporto tra tecnologie e istruzione emerge in più passi. La diagnosi, anzitutto, è chiara sul ritardo storico accumulato (“il nostro paese si trova oggi all’ultimo posto in Europa per competenze digitali”, p.158). Il compito da affrontare è diventato immane: coinvolge l’intero personale della scuola, dai docenti ai dirigenti, ai collaboratori amministrativi e interessa tutta la popolazione del Paese. Bianchi prende, inoltre, atto dell’inadeguatezza a livello delle competenze degli studenti.

Richiama con determinazione la impreparazione del nostro Paese di fronte “all’appuntamento con la rivoluzione digitale”: l’Italia è ultima fra i paesi europei “in termini di disponibilità di competenze e capitale umano”(p.53). La programmazione informatica va vista “come modo di imparare la logica rivolta a risolvere problemi complessi” p.113). Da questo punto di vista il Covid è stata la cartina di tornasole, qualora fosse stato necessario, per evidenziare le carenze. Le implicazioni per l’azione sono a largo raggio, dai curricula da rivedere alle tecnologie, dalle strutture edilizie da ripensare al format delle classi.  In questo quadro il j’accuse si estende implacabilmente alla ” scuola del Novecento“. Bianchi si oppone alla grammatica della scuola “basata su programmi, orari, discipline strutturate da ordinanze e disposizioni centrali” (p.18).

Temi cruciali per un dibattito nazionale

corredato da un elenco di temi per avviare una discussione a livello nazionale Supportato dalla profonda conoscenza del campo e orientato dalle ipotesi teoriche Bianchi affronta la complessità del sistema di istruzione e formazione, dal livello macro delle politiche governative al piano elevato delle decisioni dell’alta burocrazia, dalle strategie degli attori di policy a livello generale al piano micro della vita in classe, delle vicende delle singole scuole, degli studenti e dei docenti che in esse lavorano. Bianchi cita aneddoticamente singole scuole, riferisce di contatti con presidi e riporta esperienze avviate localmente. Ma è realistico: se, come scrive, “sono decine e decine gli istituti scolastici che potremmo definire di eccellenza” (p.56) ribatte “non di meno i numeri sono numeri”.

Sulla base dello scenario tracciato Bianchi lancia la proposta di un dibattito nazionale (p.157ss), un ballon d’essai lanciato per suscitare condivisioni e costruire visioni partecipate. Nell’elenco delle questioni proposte per la discussione e il confronto confluiscono voci recenti come le “nuove povertà” accanto a problemi da tempo agitati e rimossi come il riordino gli organi collegiali, indicazioni rituali come il richiamo all’autonomia delle scuole o preoccupazioni permanenti come la lotta alla dispersione scolastica. Il sottotesto è un costante grido di allarme che solo la prosa lineare e leggibile priva di forza dirompente, quasi un ricorrente sussurro.

La povertà educativa e la dispersione scolastica sono il primo tema proposto per la discussione: comprende un piano nazionale contro la dispersione scolastica, il rilancio della istruzione e formazione professionale e il varo di un progetto di alfabetizzazione digitale per coinvolgere tutta la popolazione del Paese. Il varo del programma di lotta alla dispersione, basato sulle iniziative delle scuole, può essere reso concreto con il ricorso alle risorse del PNRR oltre che attento al livello reale di competenze oltre al conseguimento formale di diplomi. Bianchi fa propria la lettura aggiornata della dispersione scolastica. Registrata la situazione drammatica soprattutto in alcune aree del Mezzogiorno, pone l’attenzione alla carenza di competenze degli studenti che non abbandonano la scuola. é quella che nei rapporti Invalsi viene definita come dispersione implicita. Lo spostamento di accento è coerente con l’impostazione della scuola come motore della ripartenza del Paese.

Autonomia e territorio

Un secondo tema da portare al dibattito riguarda l’autonomia delle scuole. A questo riguardo l’autore porta l’attenzione alle risorse delle scuole, richiama la centralità dell’interazione con il territorio e solleva il problema del ruolo che il centro deve svolgere (p.145). Bianchi fa riferimento al contributo di Sabino Cassese risalente al 1990, un pladoyer a favore di una liberalizzazione del servizio educativo quale mai era stata formulata nel contesto italiano (p.104s). L’intervento, forse più citato che letto negli anni, afferma infatti la più radicale reimpostazione della scuola sulla base dei principi della competizione e del mercato applicati all’educazione. In realtà le successive riforme all’insegna dell’autonomia hanno certamente innescato il disboscamento di un impianto centralistico e farraginoso, ma si sono limitate ad affermare spazi di discrezionalità delle singole istituzioni senza intaccare i due settori cruciali quali la gestione delle risorse finanziarie e il management delle risorse professionali che rimangono competenze degli organi centrali. L’autonomia, dipinta come “uno dei cardini di una democrazia matura” (p.20), risulta così monca rispetto alle scelte compiute in altri paesi. Non è un caso, probabilmente, che l’autonomia scolastica nasca nel nostro Paese come corollario dell’assetto della pubblica amministrazione, non come esplicita opzione di un modello manageriale delle singole unità scolastiche, né, tanto meno, come scelta esplicita di un laboratorio per una didattica progressista.

Il PNRR funge da catalizzatore per l’intervento sul patrimonio edilizio, nel solco delle iniziative già in cantiere, ma con un investimento consistente per la manutenzione e la costruzione scuole innovative. Il tema viene considerato, oltre la vetustà degli edifici, in un’ottica inconsueta: “edifici che oggi divengono limiti per una pedagogia che vuole liberarsi dai vincoli dati dai vecchi (e nuovi) muri”.[40] Propone un piano straordinario per il Mezzogiorno. Sull’autonomia l’autore cita in più occasioni un volume collettaneo sui primi 20 anni di autonomia scolastica in Italia[41] e richiama accanto allo “spostamento di poteri verso le scuole”, “un maggiore impegno degli organi centrale a definire gli obiettivi da raggiungere da parte di tutti“, cioè offrendo i livelli essenziali di prestazione, dando alle scuole le risorse per gestire un proprio progetto educativo poliennale (p.166). Il secondo blocco di argomenti proposti alla discussione riguarda “la rivisitazione e il rilancio delle norme sull’autonomia“, “un piano nazionale di architettura scolastica“, la “definizione dei rapporti tra amministrazione centrale e Regioni, Comuni e Province” (p.165-166).

Le persone al centro” (pp.168ss)

Bianchi non esita ad affrontare il nodo cruciale dell’essenza della scuola partendo dagli obiettivi attribuiti nel corso dei secoli (pp.92ss). Riprendendo il Rapporto intermedio scrive: “una scuola aperta a tutti che si dà come propria missione il pieno sviluppo della persona umana, della partecipazione alla vita della propria comunità“, “una scuola in cui si coltivano i possibili futuri per gli alunni, le alunne, i giovani cittadini e le giovani cittadine della nostra Repubblica fondata sul lavoro” (p.111). La priorità è “l’attenzione al tema della fragilità e ai bisogni delle persone” (p.128) e la “misura di effettiva apertura“(p.128), precisa Bianchi, è l’inclusione di 260.000 alunni e studenti con disabilità (p.128). Di qui “l’attenzione anche a quell’educazione all’emotività e alla affettività che diviene strumento sempre più rilevante per una scuola che si propone di costruire comunità inclusive e partecipate[42]. Alle restrizioni imposte dal Covid contrappone “la natura profonda della scuola… il suo essere incubatrice di socialità o, meglio, costruttrice di comunità”p.159).

I diversi passi del saggio compongono un quadro articolato del pianeta studenti: dai risultati formali (diplomi e lauree) ai livelli di competenza come analizzati dalle rilevazioni Invalsi, dagli esiti di indagini internazionali (anche problem solving) alle patologie (dispersione scolastica, esplicita e implicita (p.512), quote di NEET) avendo sullo sfondo i ritardi comparativi (quote di giovani con titolo terziario p.43), le disfunzionalità e le divaricazioni sociali (territoriali, di genere…).[43]

Per quanto si riferisce al profilo dello studente Bianchi lamenta la mancanza di preparazione indispensabile per una nuova crescita in epoca di globalizzazione, in coerenza con la quarta rivoluzione industriale 4.0 in atto[44] nello scenario della società della conoscenza (p.10). La diagnosi del presente è puntuale “servono meno competenze frammentate ed esecutive”, come precisa è l’indicazione delle priorità per la scuola: “occorre … la capacità di gestire problemi complessi e lasciare spazio alla creatività”(p.22). Su tali competenze l’autore ritorna di frequente: “la capacità di affrontare l’incertezza, di gestire situazioni complesse, di fare squadra, di esprimere creatività (p.149) richiede una scuola che sia “luogo dove far crescere capacità critiche, visioni del mondo oltre il presente… il luogo in cui imparare ad affrontare un futuro che oggi appare come non mai incerto e fragile” (p.17; p.174s). Il problema dell’Italia è il fatto che “troppo pochi sono i giovani abbastanza preparati da sorreggere la nuova crescita a livello internazionale” (p.22) mentre nel Paese i “territori orientati all’export”vedono nella mancanza di risorse umane un limite alla loro crescita” (p.30). “Questione centrale dell’Italia di questi. nostri giorni è … la qualità professionale, civile, personale delle nostre risorse umane” (p.39). L’Italia è in grave ritardo “anche nella disponibilità di quelle competenze rivolte alla risoluzione dei problemi complessi, le cosiddette problem solving skills” (p.40). Altrove parla di soft skills (p.115).

Affiora nel testo una preoccupazione che riguarda la classe dirigente “che ha il compito di traghettare il paese fuori dalla palude in cui è finito da troppo tempo” (p.39). Bianchi rivisita la funzione storica della scuola nella selezione e preparazione delle élite di un paese del Paese e sottolinea come per tali ruoli di alta responsabilità sono indispensabili specifiche competenze (p.148ss).

Il tema delle persone al centro del nostro sviluppo potrebbe apparire retorico se non ci fossero proposte operative: innalzare l’obbligo scolastico dagli attuali 16 anni che, peraltro, non prevede alcun riconoscimento al fine ciclo, cioè ai 16 anni (p.169), sviluppo del quarto anno per gli studenti del percorso triennale di formazione professionale (p.170), piano adeguatamente finanziato e dotato di personale strutturato dei ITS in modo da raggiungere “l’obiettivo di 150.00 iscritti in quattro anni” (p.170)[45]. L’orizzonte è ampio: entrano in campo le valenze della prima infanzia[46] e l’importanza dell’educazione degli adulti nonchè la necessità di rivisitare la formazione iniziale dei docenti con la previsione di almeno un anno di tirocinio[47].  L’assenza della formazione professionale penalizza il Sud privandolo di strumenti per la lotta alla dispersione scolastica.

Con l’emergenza Covid la scuola italiana, segnala Bianchi, si è fatta trovare impreparata al dilagare della pandemia nonostante che “da oltre trent’anni le università italiane svolgano studi ed esperienze sugli strumenti digitali come integrativi dalla formazione in presenza” (p.143). Si è reso necessario rivisitare vari temi di natura scolastica, dal ricorso estensivo e strutturale alle tecnologie educative alla gestione delle misure di contrasto, dalle decisioni di apertura e chiusura delle scuole all’attenzione agli spazi con nuovi arredi e alla logistica con l’aerazione delle aule come misura contro il contagio. In questo contesto l’autore critica gli interventi settoriali giustapposti, slegati da un nuovo disegno della scuola (p.119) con la perdita di un’occasione per il recupero di credibilità per la scuola.

Interrogativi aperti

Il background culturale e scientifico del ministro è determinante nelle trame del volume che sarebbe un errore vedere come una sequenza di luoghi comuni. Con una cornice scientifica e culturale centrata sui legami tra politiche per l’educazione e crescita di carattere economico e sociale, Patrizio Bianchi adotta un approccio decisamente estensivo; forse anche ridondante, talora, nella retorica del linguaggio. Forse per via della propria sensibilità l’autore coglie i collegamenti dell’andamento economico con le forme della convivenza sociale e politica. La dispersione, i neet, la fuga dei cervelli oltre che un “limite alla crescita economica (p.161) minano anche le fondamenta della nostra democrazia, introducendo nel paese il virus dell’iniquità sociale” (p.161). La solidarietà da un lato e la lotta all’iniquità sono componenti della visione di Patrizio Bianchi come la sostenibilità ambientale e la sostenibilità sociale.[48] Le argomentazioni proposte toccano molti ambiti tematici, tutti di alto profilo e alcuni fortemente divisivi, sollevando, ad una lettura accurata, interrogativi radicali.

Educazione per quale sviluppo al presente?

Oltre all’esperienza regionale l’economista Bianchi mette in campo la propria competenza accademica, sollecitando alcune inevitabili annotazioni critiche

In primo luogo si può sottolineare che il sottotitolo del volume “Quale sviluppo per l’Italia” rischia di essere fuorviante. “Il peso di una crisi globale senza precedenti” e di “un nuovo salto tecnologico dalle prospettive oggi non del tutto immaginabili” (p.173), scrive l’autore, impongono di “avviare una nuova stagione di sviluppo”. Il ruolo dell’educazione per lo sviluppo è il core della parte teorica del saggio. Che l’investimento renda la scuola capace di riavviare l’economia è l’esplicita ipotesi dell’autore, suffragata da autorevoli economisti e orientamenti internazionali per cui è conseguente la denuncia e il contrasto alla diminuzione delle spese per l’educazione. Il binomio sviluppo e educazione lascia inesplorata, tuttavia, l’area di quali politiche economiche debbano accompagnare quelle educative per favorire la crescita a cui si fa riferimento. Alla società globale e alla Quarta rivoluzione industriale da cui deriva il fabbisogno di nuove competenze non corrisponde un’agenda politica generale al cui interno si possano collocare decisioni coerenti per la scuola. L’istruzione come variabile endogena può essere sufficiente come base per un’azione pubblica efficace? Non sono da considerare anche altri fattori intervenienti? Qual è l’impatto dell’educazione rispetto alla complessità dei fattori alla base dell’assenza di crescita? L’enfasi sulla scuola non risente, forse inavvertitamente, di una visione mono-fattoriale e riduttiva di processi complessi e multipolari.  Il respiro storico e scientifico dato al binomio “educazione e sviluppo” è un invito, comunque, all’approfondimento. La decrescita, l’inflazione, la crisi energetica, l’andamento il caduta del PIL e lo stallo della scuola delineano, infatti, uno contesto che obbliga a rivisitare e rivedere le categorie con cui si è coniugata l’educazione con lo sviluppo nei decenni trascorsi[49]. Anche la considerazione della scuola come “ascensore immobile” (p.148; p.46) è parziale nel senso che non allarga la diagnosi alla fluidità dell’assetto sociale ed economico complessivo e ai processi di mobilità che prescindono dal livello di istruzione.[50]

In secondo luogo, un caveat si impone. Le idee di sviluppo e di crescita non implicano necessariamente la strumentalizzazione dell’educazione o la considerazione della scuola come una variabile al servizio dell’economia. Il prevalere della logica economistica[51] e la deriva funzionalistica sono, tuttavia, rischi costanti nell’erosione della concezione della scuola come palestra di cultura aperta e indipendente.[52] Lo scenario entro cui si muove il saggio, ignora i decenni di esperimento neoliberista negli USA e in altre economie avanzate e non esplora la plausibilità del riformismo progressista rispetto all’affermata centralità della persona. In realtà l’enfasi su uno stretto e semplicistico raccordo tra istruzione e andamento dell’economia potrebbe offuscare le potenzialità della scuola stessa, accentuare la sfumatura ideologica oltre che incontrare limiti di praticabilità.

In terzo luogo, inoltre, qualche cautela va richiamata. L’impatto degli stanziamenti economici per l’istruzione non ha un andamento del tutto lineare. Se dal 2008 al 2017 diminuiscono le risorse per l’educazione nel nostro Paese (p.95) nel quadro di un PIL nazionale in contrazione, dal 2003 al 2018, periodo di oscillazioni e di crollo degli investimenti in istruzione, i risultati degli studenti quali emergono dal programma PISA dell’OED rimangono sostanzialmente stabili, con fluttuazioni ma senza evidenti tendenze al miglioramento o al peggioramento[53]. Il raccordo tra qualità delle competenze degli studenti, spesa per l’istruzione e andamento degli indicatori economici nazionali richiede un approfondimento.

Più in particolare, ed è questa la quarta annotazione, il ruolo delle risorse finanziarie per la qualità e l’efficacia dell’istruzione è una questione certamente di alto profilo ma anche di elevata complessità. Ricercatori ed esperti si sono pronunciati, anche sulla base delle informazioni oggi disponibili sui sistemi scolastici e sui livelli di competenza degli studenti. Le riflessioni ponderate e le posizioni apertamente critiche[54] in merito non richiedono forse un ulteriore approfondimento?

Sempre con riferimento al secondo decennio del secolo l’economista Bianchi riconduce ai tagli alle spese per l’istruzione “l’accrescersi delle divergenze territoriali e delle disuguaglianze sociali” (p.157). In realtà le divaricazioni territoriali e sociali esistevano anche nei decenni precedenti come evidenziano, per il settore dell’istruzione, gli esiti delle valutazioni standardizzate realizzate già nel corso del primo decennio del secolo attuale, per non citare le analisi sulle disomogeneità storiche proprie del sistema di istruzione[55]. A livello generale, peraltro, l’aumento delle disuguaglianze nelle società occidentali è oggetto di approfondimenti e di controversie anche a livello internazionale[56] e chiama in causa gli assetti sociali e politici complessivi. La permanenza delle disuguaglianze sociali e le divergenze territoriali è semplicemente riconducibile in modo drastico alla contrazione delle risorse finanziarie per l’istruzione?

Il tema delle disuguaglianze (pp.44ss) chiama in causa i NEET, l’andamento dell’occupazione giovanile, i processi di migrazione in entrata e in uscita. sembra evitare il peso dei fattori socio-economici sia per i risultati di apprendimento sia in relazione alla mobilità sociale. Alla radice delle povertà educative continua ad essere determinante, infatti, il background socio-economico degli studenti. Oggi sono possibili diagnosi più accurate rispetto al passato e si possono identificare i passi in avanti compiuti, l’efficacia di strategie diverse adottate in sistemi scolastici diversi e, soprattutto, scomporre l’intera questione nelle sue componenti (quote di studenti resilienti, peso dei fattori socio-economici sui risultati di apprendimento, variazione di risultati tra le scuole e all’interno delle stesse scuole, processi di mobilità intergenerazionale…).

L’approccio economicistico, rimproverato al saggio di Bianchi, è attenuato dall’aggancio ai temi della democrazia e dell’uguaglianza. Nel paragrafo conclusivo Bianchi ribadisce la visione della scuola nel suo stretto rapporto con la società: la scelta di “quale scuola” discende logicamente da “quale paese” si ha intenzione di costruire. La concatenazione tra istruzione e società appare logica, conseguente e, nei suoi termini generali, fuori discussione. Un raccordo funzionale, senza specificazioni, rischia, tuttavia, di ignorare le ambiguità di una società esposta alle diseguaglianze e di una scuola in affanno di fronte all’iniquità. Forse è tempo di pensare ad una scuola che rivisita la propria missione in ragione delle trasformazioni e delle aspirazioni di singoli e comunità, senza asservire, tuttavia, la propria valenza a scenari socio-politici o a prospettive economiche. Salvaguardando cioè la propria indipendenza valoriale e funzionale. Ad un’analisi approfondita non meno problematico potrebbe risultare l’intreccio tra la solidarietà e l’equità, considerate come condizioni per la libertà e la democrazia, e lo sviluppo e l’investimento in educazione.

Scuola e territorio: asimmetrie rimosse?

Nel testo l’autonomia delle scuole è tema dominante e ricorrente (pp. 19ss; pp.103ss; pp.163ss.). L’obiettivo principale dell’autonomia scolastica, secondo l’autore, era il superamento della ‘scuola fordista’ (p.158) e un nuovo disegno di raccordo con il territorio. Il progetto della legge del 1997, scrive Bianchi, si è “insabbiata”…in anni di individualismo prima e di populismo poi” (p.20), arenandosi “per la resistenza degli apparati amministrativi centrali” e per “la frammentazione e la debolezza delle istituzioni territoriali e delle organizzazioni sociali” (p.165).  La diagnosi si direbbe quasi di maniera, insufficiente, comunque, per individuare le cause che non hanno consentito alle nostre scuole di sfruttare le affermate potenzialità dell’abbandono del centralismo; inadeguata per spiegare l’assenza di miglioramenti significativi dal 2003 al 2018 nei livelli di competenza degli studenti, come confermano i risultati del Programma PISA dal 2003 al 2018.

Su un aspetto l’indicazione, tuttavia, della “rivisitazione e il rilancio delle norme sull’autonomia” (p.165) coglie nel segno: Bianchi precisa che con l’autonomia non si tratta solamente di uno spostamento di poteri dal centro verso le periferie, bensì di un nuovo impegno degli organi centrali (p.166-167) le cui funzioni vanno rivisitate. Risulta, peraltro, suggestivo ma per lo meno problematico lo sguardo sull’autonomia delle scuole, come scrive Bianchi, nell’ambito della “vasta azione di ridisegno della società italiana, in vista dell’entrata nell’euro e dell’apertura ai mercati internazionali” (p.19). L’autore accenna al fatto che nel modello italiano non comprende la proprietà e la gestione delle strutture scolastiche lasciate agli enti territoriali (p.166) ed evita di menzionare la questione, dibattuta e controversa, della scelta dei docenti da parte della scuole.

Richiamando il ruolo del dirigente scolastico come “promotore di una nuova alleanza con il suo territorio” (p.18) e non come “l’ultimo anello di una catena gerarchica che da Roma arriva al suo istituto” (p.18), Bianchi evita la questione della competizione tra le scuole e la divaricazione tra le scuole in termini di livelli di apprendimento degli studenti. Peraltro il rapporto tra le scuole e il loro territorio non è scevro da ambiguità. Soprattutto si dimenticano le ambivalenze che derivano dalle resistenze del territorio, dal non allineamento tra le attese locali e le prospettive dell’innovazione. In sintesi il legame tra le scuole e il contesto in cui operano non è a priori una relazione virtuosa; presenta luci ed ombre ed impone un approccio consapevole e critico. Anche perché la cultura civica e istituzionale di alcune realtà regionali non è condivisa ovunque.

Fordista o progressista: quale scuola praticabile per il futuro?

Vicini al cuore del saggio ricorrono nel testo riferimenti alla nuova scuola e alla necessaria nuova didattica. C’è aria di palingenesi nell’impegno ad “uscire dalle ‘trappole’ del Novecento” (p.139) e nella pretesa di “ripensare l’intera offerta formativa” (p.139). L’approccio tradizionale viene contrapposto a quello dell’innovazione. Per la verità, se presa sul serio, la prospettiva tratteggiata da Bianchi è lacerante, e di dubbia praticabilità, in un contesto di classi di concorso, di abilitazioni disciplinari, di distribuzione del tempo scuola. Più accettabile se intesa nel senso di flessibilità da ampliare nell’ambito dell’autonomia delle scuole. La scuola progressista è il futuro?

La nuova didattica ritorna come tema frequente di riflessione e appello all’innovazione e ritrova applicazione negli interventi per l’edilizia e nell’azione per il digitale. La discussione sulla Dad diventa un asse di discussione e di riflessioni strategiche. Il rischio potrebbe essere una qualche sottovalutazione dei contenuti e delle discipline che da sempre sono l’ossatura dei percorsi scolastici.”andare oltre ai vincoli amministrativi che hanno organizzato la scuola in epoca fordista, i tempi, i metodi gli spazi, i programmi a cui ognuno doveva sottomettersi”(p.88).

Docenti: pedine di un disegno macroeconomico o capitale professionale?

I mestieri dell’educazione sono variabili dipendenti senza capacità autopropulsiva? Inevitabilmente anche l’economista Bianchi riconosce che “cruciale come non mai il ruolo degli insegnanti” (p.138) con affermazioni per la verità altisonanti. è necessario “ridare alla figura dell’insegnante una rilevanza sociale adeguata alla responsabilità che essa assume nei confronti della società“(p.139). Gli insegnanti, determinanti “in particolare in questa fase in cui è necessario ripensare l’intera offerta didattica e uscire dalle ‘trappole’ del Novecento” (p.139) sono una variabile del cambiamento auspicato. Ai docenti Patrizio Bianchi affida il compito di “andare oltre i vincoli amministrativi che hanno organizzato la vita della scuola in epoca fordista, i tempi, i metodi, gli spazi, i programmi a cui ognuno doveva sottoporsi”, operando “per un’azione educativa che sfugga alla trappola dell’uniformità” (p.88).

Alle affermazioni generali fa seguito un approccio prammatico e funzionale, riassunto in pochi paragrafi. Denuncia la mancanza di concorsi regolari per cui “il ricambio degli insegnanti avviene in modo discontinuo, generando un esercito di circa 200.000 precari in attesa di stabilizzazione” (p.138) e per la gestione delle risorse professionali chiarisce che “occorre disporre di un numero di insegnanti proporzionato ai bisogni degli allievi e non ai vincoli di bilancio statale” (p.88). Il varo di concorsi continua una linea di intervento dei precedenti ministri con una accelerazione nelle forme e nei tempi, e nella diversificazione delle modalità. Per la riforma del reclutamento e della formazione dei docenti rinvia al Rapporto finale della task force. Degli insegnanti Patrizio Bianchi lamenta l’impreparazione digitale da affrontare con un’iniziativa di formazione di massa.  Le previsioni demografiche entrano in campo nell’elaborazione politica per le conseguenze non solo in termini di numerosità delle classi scolastiche ma anche delle relative dotazioni organiche, soprattutto nella prospettiva di un utilizzo nella scuola stessa del surplus di insegnanti che verrà a determinarsi.

Nel discorso complessivo di rango macroeconomico, tuttavia, gli insegnanti rimangono sullo sfondo quasi come fattore funzionale di una istituzione come la scuola di cui si esalta il ruolo per la crescita del paese e si indicano gli obiettivi da raggiungere e le competenze degli studenti da formare. Si mette l’accento sul fabbisogno di personale, ma non ci sono segnali di attenzione al protagonismo degli insegnanti, alla loro autonomia professionale, per non dire di quello che viene definito teacher leadership o professional capital. Al di là della ‘rilevanza sociale’ dei docenti limitate sono le annotazioni in termini di strutturazione delle carriere e di rivalorizzazione salariale, temi da anni dibattuti, tuttavia complessi e conflittuali (“investire sui docenti vuol dire anche predisporre carriere che permettano loro di investire su sè stessi, liberi da considerazioni di precariato” p.171s).

Quale valenza hanno i piani di azione?

L’intenzione dichiarata di offrire un contributo “al percorso di orientamento di quel complesso insieme di legami che uniscono la scuola, lo sviluppo, la democrazia in questo nostro tormentato presente“(p.12) obbliga l’autore ad indicare prospettive operative coerenti con la cornice culturale e scientifica tracciata. L’attenzione si concentra su dieci temi di azione (pp.160ss) per una ambiziosa agenda in cui confluiscono faraoniche ipotesi di intervento a tutto campo: alfabetizzazione digitale per tutta la popolazione (p.162), preparazione alle tecnologie degli insegnanti, dei dirigenti e di tutto il personale della scuola (p.173), grande piano nazionale contro la dispersione scolastica (p.162), piano nazionale di architettura scolastica (p.165)), oltre ad impegnativi campi di lavoro quali la “ridefinizione di contenuti, curricula e durata degli studi” (p.173), più convenzionali aree quali la revisione delle norme sull’autonomia (p.165) o il rilancio degli organi collegiali (p.173). Un ampio programma per la “fase costituente” (p.16) che, tuttavia, toglie il respiro, soprattutto tenendo conto alle incertezze della capacità amministrative riconosciute da Bianchi là dove richiama “la forza immobile dell’amministrazione centralistica della scuola gentiliana” (p.104). Non mancano, tuttavia, nello scenario complessivo indicazioni di sicuro interesse che oscillano tra caute e moderate prospettive di innovazione e posizioni accattivanti e, allo stesso tempo, dirompenti.

Tenendo conto delle competenze regionali è rilevante lo spazio dedicato, nell’agenda proposta, al “rilancio dell’istruzione e della formazione professionale” (p.162) da parte di un futuro ministro dell’istruzione. Bianchi richiama la formazione professionale in funzione della lotta alla dispersione scolastica rivendicando che “deve costituire il principale strumento per ridurre la dispersione scolastica” (p.134), “anche per recuperare quei ragazzi che la scuola statale ha espulso, consegnandoli all’abbandono se non addirittura alla criminalità” (p.134). L’ex assessore regionale riconosce chiaramente che “è soprattutto grazie a una FP diffusa e capillare… che in Emilia Romagna la dispersione scolastica si è ridotta ai livelli europei, passando dal 16,5% del 2010 al 9,9% del 2018” (p.134).[57] Bianchi introduce, così, una variabile spesso assente nelle diagnosi e nel dibattito evitando una visione riduttiva dei percorsi professionali affermando la valenza della FP come componente integrante del sistema educativo e formativo “per diffondere nel paese una base di competenze al passo con i tempi e ridurre lo spreco di talenti” p.162). Purtuttavia le implicazioni operative di alta complessità non sono oggetto di elaborazione di misure praticabili.

La gestione della pandemia ha allargato la controversia sul regime di competenze distribuite tra i diversi soggetti istituzionali. Prendendo lo spunto dallo stato dell’arte, l’ex assessore regionale di una Regione, tradizionalmente ritenuta all’altezza della propria missione, assume una forte posizione critica. Anzitutto, un po’ polemicamente, precisa che “la leale collaborazione interistituzionale” (p.167), spesso invocata, non è per nulla la soluzione per un assetto multipolare che vede distribuite le responsabilità degli edifici, della programmazione delle attività e dell’organizzazione scolastica tra scuole, enti locali, governi regionali e ministero dell’Istruzione. Su questo nodo ribadisce “bisogna fare chiarezza, anche per superare fraintendimenti, conflitti e inerzie che si traducono in alibi per giustificare la mancata attuazione degli impegni assunti con i cittadini”(p.167). Il messaggio politico diventa esplicito, seppur con toni sfumati: “bisogna riprendere il cammino interrotto verso l’implementazione di solide relazioni tra Stato centrale e autonomie regionali come parte fondamentale dell’assetto costituzionale che il paese si vuole dare” (p.176).[58] La domanda, tuttavia, permane se sia sufficiente ‘fare chiarezza’ per ricomporre le competenze tra autorità centrale e attori regionali o non sia necessario modificare il regime legislativo e normativo.

Risalta l’ipotesi di ridurre a quattro anni il percorso della scuola secondaria superiore, rilanciato nonostante l’accoglienza non entusiasta da parte delle scuole, l’opinione incerta di esperti e la diffusa indifferenza dell’opinione pubblica. Dal punto di vista degli ordinamenti e dei cicli Patrizio Bianchi si domanda “se non sai giunto il momento di portare il ciclo secondario da cinque a quattro anni”(p.169) con l’allineamento ai percorsi triennali più il quarto anno di diploma della formazione professionale. Le ragioni sembrano essere quelle di una semplificazione dell’attuale ordinamento che vede l’obbligo a 16 anni senza titolo, l’esame di Stato al termine del quinquennio, i percorsi triennali di Iefp, il diploma quadriennale, l’obbligo formativo a 18 anni. Non si tratta di una indicazione teorica o avventata. Infatti annota il professor Bianchi “le molte sperimentazioni già in corso da anni sui licei quadriennali sono in questo senso confortanti” (p.170).[59] Tuttavia non è del tutto chiaro se si tratta di una scelta strategica per l’interno segmento della scuola secondaria o di una flessibilità possibile nell’ambito della discrezionalità lasciata alle scuole dell’autonomia.

In alcuni casi si assiste anche ad un cambiamento di rotta. Le “classi pollaio“, espressione non delle più felici ma di riuscita presa mediatica, toccano un problema presente nel documento della Commissione in cui si chiedevano deroghe per poter formare classi con meno di 15 allievi (p.111). In realtà la questione sfuma[60] nel momento in cui la percentuale delle classi sovraffollate è ricondotta al 2,9% delle classi per lo più nelle periferie delle grandi città e nelle prime classi delle superiori. Il tema assume carattere pedagogico: “la riduzione del numero di allievi in classe ancorché motivato dal distanziamento, deve essere occasione per superare la classe come unità amministrative e recuperare quel dialogo personalizzato che l’allievo deve avere con l’adulto di riferimento” (p.113) viene proiettato nel futuro in cui è previsto un significativo calo demografico che, mantenendo stabile il livello degli organici, indurrà fisiologicamente una contrazione della popolazione media per classe. La rimozione della querelle sulle “classi pollaio“, tuttavia, rischia di lasciare aperte le questioni relative alle condizioni, funzionali e strutturali, in cui avviene l’insegnamento.

Al di là della praticabilità delle proposte e della loro coerenza con il disegno complessivo va riconosciuto che indicazioni di azione, soluzioni ipotizzate e misure operative contribuiscono, come lavoro istruttorio, alla definizione degli obiettivi e dell’articolazione progettuale in occasione del varo del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Instant book di candidatura alla prova di realtà

Ha ragione, senz’altro, Bianchi nel richiamare che nei labirinti delle dinamiche decisionali le vicende della scuola non possono essere ignorate: riguardano, infatti, “un esercito – o meglio una comunità -“(p.128) che supera i 10 milioni di persone e con le famiglie “raccoglie almeno la metà degli italiani” (p.128). Il linguaggio del saggio, tuttavia, non è esente da qualche ridondanza retorica. Risente, altresì, dei limiti propri di una ambiziosa pretesa onnicomprensiva. L’inoltrarsi, ad esempio, in un excursus storico di rilevante ampiezza temporale comporta inevitabili semplificazioni. Nell’abbondanza di informazioni puntuali ed estese stupisce, peraltro, che non si faccia ricorso in modo sistematico agli esiti del programma PISA dell’OECD a cui l’Italia partecipa da anni; la considerazione comparativa dei livelli di apprendimento misurati con prove standardizzate[61] è componente ormai irrinunciabile nelle analisi dei sistemi di istruzione. Riecheggiano una logica di programmazione i piani di azione contenuti nelle Conclusioni (pp.160ss) che tuttavia, non sempre tradotti in ragionate misure operative, rischiano di essere meri titoli di una possibile agenda. Così si conclude la parabola mediatica delle ‘classi pollaio’ non apre ad una considerazione delle condizioni organizzative e logistiche in cui avviene l’insegnamento. Parla di una nuova stagione di rapporti interistituzionali, ma evita ogni cenno alle prospettive dell’autonomia differenziata. La riforma del reclutamento e della formazione dei docenti è una componente del progetto ambizioso, che dovrà misurarsi con le posizioni delle organizzazioni sindacali e con le procedure di implementazione. Adottando un orizzonte largo le ipotesi messe in campo possono essere decisamente impegnative coinvolgendo l’intera azione pubblica: così la “ricomposizione” (p.163) dei rapporti tra istruzione professionale e formazione professionale richiede un ridisegno “entro un quadro di coerenza nazionale”, estendendo la FP a tutto il territorio italiano. Su importanti questioni, dalla strutturazione delle carriere degli insegnanti al ruolo dell’educazione e della cura per la fascia 0-6 anni, il testo è omissivo o risulta non propositivo come in riferimento alla limitazione delle competenze gestionali delle scuole autonome o alla scelta dei docenti da parte delle stesse istituzioni scolastiche.

Nell’insieme si rileva una radicale aporia strategica. L’orizzonte ampio scelto mette a nudo la necessità di una politica globale non solo nell’area dell’educazione (una iniziativa per la crescita può riguardare solamente il sistema formativo?). Nell’argomentazione centrale del volume – la scuola per lo sviluppo – non si trovano, tuttavia, indicazioni di politica economica rivolte alla crescita che dovrebbero accompagnare gli interventi nel campo dell’istruzione e della formazione: una discrepanza inattesa in un saggio di un esperto di economia applicata.

Considerando le istanze poste nel volume è evidente la sproporzione che separa la consapevolezza dei problemi e le reali possibilità di intervento. C’è uno sbilanciamento tra le sfide esistenti e lo status quo, tra le aspirazioni e gli interventi ipotizzati. Non è un caso che nei capoversi conclusivi Patrizio Bianchi scriva: “Chiunque si candidi al comando di sistemi sociali più o meno complessi deve aver acquisito – e dimostrare di possedere – competenze ed esperienze adeguate al livello di responsabilità sociale che deve gestire” (p.175)[62]. Forse è la rivendicazione implicita di una candidatura resa plausibile da quanto contenuto nell’ instant book; azzardato forse è leggervi anche una critica a chi ha preceduto il ministro Bianchi al Ministero. Certamente non manca la consapevolezza della complessità del compito di cambiare rotta e dei presupposti per una navigazione in mare aperto.

Da un “libro che distilla idee[63] non si attende un immediato impatto operativo, per di più in uno scenario di turbolenze pandemiche. La breve durata del governo presieduto da Mario Draghi (13 febbraio 2021 e 22 luglio 2022), inoltre, non consente un bilancio della messa in opera delle ipotesi avanzate nel volume o un esame attendibile della loro praticabilità. La rilettura del saggio, tuttavia, a distanza di due anni dalla sua pubblicazione sollecita un confronto tra gli intenti dichiarati e i processi reali facendo del contributo di Bianchi un termine di riferimento per ripercorrere i 522 giorni di governo, di quella “nuova stagione“(p.16) propugnata dall’autore. Una sfida per gli storici e gli analisti delle politiche pubbliche.

Scrivere, come hanno fatto ex ministri citati in apertura, dopo un’esperienza di alta responsabilità illustrandone il successo e potendone omettere i limiti, può essere gratificante e rilassante. Esplicitare ex ante i propri intenti in modo elaborato e manifestare le priorità e i criteri alla base delle decisioni che verranno, espone, invece, chi scrive, a firmare cambiali in bianco a rischio di default. Purtuttavia il coraggio di rendere esplicito e comunicare in modo compiuto il proprio pensiero è un gesto di coraggio intellettuale e, senza dubbio, un modo responsabile di servire il proprio Paese. é auspicabile, per il futuro, che altri seguano l’esempio del professore Patrizio Bianchi di Ferrara[64].

 

 

[1] Andrew Adonis, Education, Education, Education. Reforming England’s Schools, Biteback Publishing, London 2012.

[2] Letizia Moratti, La nostra scuola. Conversazione con Piero Ostellino, Rizzoli, Milano 2006.

[3] Alain Juppé, Mes Chemins Pour l’école, JCLattès, Paris 2015.

[4] Jean-Michel Blanquer, L’école de demain: Propositions pour une éducation nationale rénovée, éditions Odile Jacob, Paris 2016.

[5] Luigi Berlinguer con Marco Panara, La nuova scuola, Laterza Roma-Bari 2001; con Carla Guetti, Una scuola di qualità per tutti e per ciascuno, Liguori Napoli 2014; Gianni Nuti, Vorrei una scuola con i suoni del mare. Due giorni a Stigliano a colloquio con Luigi Berlinguer, Franco Angeli, Milano 2019.

[6] Tullio de Mauro (a cura di), Idee per il governo. La scuola, Laterza Bari-Roma 1995

[7] Pier Luigi Bersani, Per una buona ragione. Intervista a cura di Miguel Gotor e Claudio Sardo, Editori Laterza, Bari-Roma 2011. Il capitolo VIII è dedicato alla scuola e agli insegnanti (pp.119-132).

[8] Luigi Gui, Cinquant’anni da ripensare 1943-1993. Autobiografia e documenti, Morcelliana, Brescia 2005.

[9] Lucia Azzolina, La scuola insegna. Dalla Sicilia al Ministero, il viaggio di una donna che alla scuola deve tutto, Baldini Castoldi, Milano 2021.

[10] Risale al 27 maggio un primo Rapporto intermedio con le indicazioni per la riapertura delle scuole per l’anno scolastico 2021-22 e al successivo 13 luglio la consegna al ministro di un Rapporto finale sul futuro della scuola italiana (p.13). Nonostante gli auspici di Patrizio Bianchi che venga reso disponibile (“contando che nel frattempo il documento sia diventato accessibile a chiunque”, p.128) il rapporto rimane a lungo nei cassetti del Ministro e sarà reso pubblico solamente il 13 febbraio 2021.

[11] Sul presunto ampliamento di orizzonte del documento (pp.111; 127) si abbatterà la critica della Ministra Lucia Azzolina nei confronti del coordinatore della task force l’economista Patrizio Bianchi. Per un’analisi critica del documento cfr. G. Carosotti e R. Latempa, “La scuola del futuro del Ministro Patrizio Bianchi”, Roars, 29 Marzo 2021.

[12] Lucia Azzolina nel suo memoir riporta una frase attribuita al professor Bianchi (“sono pronto a fare il ministro“) presente sulla stampa (2021, op.cit., p.96).

[13] Non è un caso che vi siano adombrati i contenuti del programma di governo illustrato poi il 4 maggio 2021 nel corso dell’audizione alle Commissioni riunite di Camera e Senato.

[14] Cfr. Google Scholar.

[15] Non da ultimo è da menzionare la volontà di lanciare un dibattito nazionale sulla scuola (vedi le Conclusioni pp.157ss). Già nella intervista del 26 giugno 2020 al Corriere della sera, prima ancora di diventare ministro Patrizio Bianchi si chiedeva: “non sarebbe ora di lanciare un dibattito pubblico sulla scuola per tutto il prossimo anno?“, ricordando che “l’ultimo ministro dell’Istruzione che fece una cosa del genere è stato Sergio Mattarella, era il 1990”.

[16] Cfr. F. Rocchi su Il Mulino, 22 dicembre 2020.

[17] Cfr. la posizione della Gilda Veneto, 27 dicembre 2021; si veda anche G. Carosotti, “L’insofferenza per la cultura, nella scuola del Ministro Bianchi, Roars, 25 Maggio 2021. P. Di Remigio e F. Di Biase, “Il disastro della scuola e l’insostenibile rilancio della sua autonomia”, Roars, 2 Novembre 2022.

[18] Cfr. A. Cannatà, “Cronaca del ritorno a scuola e di disastri annunciati. Risorse carenti, classi pollaio, il problema trasporti, le bugie di un ministro parolaio. La scuola pubblica è allo sbando“, Micromega, 15 settembre 2021.

[19] Questa è la dichiarazione, oggetto di facile satira, del neoministro ad un giornalista dopo il giuramento al Quirinale.

[20] Lucia Azzolina, con un po’ di polemica ricorda nel suo memoir l’interesse personale citando la dichiarazione del professore Bianchi al Corriere della sera “sono pronto a fare il ministro“(p.96) Nell’intervista di Gianna Fragonara, comparsa con il titolo “Bianchi, l’esperto nominato da Azzolina: in classe serve chi non mascherine. Avrei riaperto prima” il 26 giugno 2020 sul Corriere della sera alla domanda “Si dice che lei potrebbe essere il prossimo ministro” il coordinatore della task force ministeriale risponde: «Sono a disposizione del mio Paese, come tutti dovrebbero».

Cfr. anche A. Corlazzoli, “Chi è Patrizio Bianchi, ministro dell’istruzione, amico di Prodi e già nella task force Azzolina che vuole una ‘costituente’ per la scuola” Il Fatto Quotidiano, 12 febbraio 2021.

[21] Il contenuto del testo è ripreso nella Linee programmatiche del Ministero dell’istruzione, presentate nel corso dell’audizione della Commissione VII Camera e Senato congiunte del 4 maggio 2021.

[22] Si vedano i riferimenti all’arcipelago del fallimento formativo ed educativo con i dati Invalsi e le analisi del Forum Disuguaglianza Diversità (p.21).

[23] Pur essendo presente a livello regionale l’Ufficio scolastico emanazione del ministero centrale i governi regionali, responsabili diretti della formazione professionale, giocano un ruolo rilevante anche nel mondo della scuola, per la programmazione territoriale, per gli interventi di diritto allo studio, per la vigilanza dei patrimoni edilizi.

[24] Cfr. Confermano la qualità del sistema regionale i risultati delle analisi dell’Invalsi, gli esiti del programma PISA e l’andamento di singoli indicatori come, ad esempio, il livello di diffusione dei servizi.

[25] F. Barca, Quaderno bianco sulla scuola, MEF-MIUR, Roma 2007.

[26] Si veda il memoir di Lucia Azzolina, op.cit. 2021.

[27] Il fordismo sta ad indicare l’organizzazione della produzione di massa sviluppato nei prima anni del 20° secolo con l’applicazione pratica dei principi di organizzazione scientifica del lavoro elaborati da F.W.Taylor. La catena di montaggio è l’immagine che la riassume. In geenre accompagna un connotato negativo. Applicato alla scuola

[28] Cfr. G. Biondi, La scuola che ancora non c’è. Dalla crisi del modello tayloristico alla scuola del futuro, Carocci, Roma 2021.

[29] Il prof. Bianchi indica un riferimento negli studi di Federico Butera sulla produzione industriale e sulla pubblica amministrazione.

[30] Sul fordismo come paradigma di analisi e interpretazione della società capitalistica cfr. Antonio Gramsci, Quaderno 22. Americanismo e fordismo Einaudi, Torino 1978.

[31] Di rilievo è la filosofia di collaborazione territoriale interistituzionale con la convergenza strategica degli attori in campo quale emerge, ad esempio, dal Patto del Lavoro nella Regione Emilia Romagna (P. Bianchi et alii., Coesione e innovazione, Il Mulino, Bologna 2020).

[32] Sono ormai trascorsi 30 anni dallo studio storico di Putnam (1993) sulla diversa distribuzione del capitale sociale in Italia e sull’Emilia Romagna come la regione con il patrimonio più elevato di capitale sociale. (La tradizione civica nelle regioni italiane, Mondadori, Milano 1993).

[33] Cfr. il protocollo dell’Emilia Romagna (p.112; p.123 e p.143).

[34] Al di là della retorica sulla “scuola affettuosa” del capo di Viale Trastevere, i giovani hanno sempre condannato il suo operato, protestando a più riprese dall’autunno 2021 alla primavera 2022. Bianchi, infatti, non ha mai convocato il Forum studentesco, l’organo di rappresentanza nazionale dove confluiscono le maggiori sigle studentesche, né si è mai confrontato con le rappresentanze sindacali degli studenti che chiedevano a gran voce di essere ascoltati su temi come bonus psicologi, fondi per la scuola e formazione. Al culmine delle proteste, c’è stata una piccolissima apertura di confronto con degli organi istituzionali di rappresentanza studentesca e non con quelli politici. Confronto poi, però, terminato con un nulla di fatto.

[35] Una lettura attenta del volume contrasta con la critica al “ministro parolaio” presente in Cannatà, op.cit.2021.

[36] Per una comprensione allargata della filosofia del Professore Bianchi può essere utile consultare gli interventi sulla stampa, le interviste concesse e le audizioni in Parlamento (Cfr. Linee programmatiche del Ministero dell’istruzione Audizione del Ministro Prof. Patrizio Bianchi Commissione VII Camera e Senato congiunte 4 maggio 2021).

[37]Uno stralcio del documento è riportato nel testo (p.111) e nella nota 9 p.122.

[38] Bianchi si spinge a menzionare la Conferenza nazionale sulla scuola del 1990 come termine di confronto per le ambiziose intenzioni di cambiamento.

[39] Bianchi cita il rapporto finale del Comitato (p.144) che propone una considerazione equilibrata della didattica a distanza a diversità della visione catastrofica sostenuta sui media e condivisa sovente nell’opinione pubblica.

[40] L’ex assessore Bianchi può fare riferimento all’esperienza maturata per la ricostruzione dopo il terremoto che ha colpito l’Emilia con significative iniziative a dimostrazione delle “possibilità disponibili per un’architettura scolastica in cui la forma degli spazi non determini i contenuti educativi” (p.147).

[41] Cfr. Campione, M. e E. Contu, (a cura di), Liberare la scuola. Vent’anni di scuole autonome, Bologna, Il Mulino 2020.

[42] La citazione è tratta dal Rapporto finale riportata in nota (n.2 p.151).

[43] Ci si sarebbe attesi una maggior attenzione all’impatto dei fattori socio-economici sui percorsi di istruzione e di formazione.

[44] La quarta rivoluzione industriale riguarda i cambiamenti in intelligenza artificiale (IA), nella robotica, nell’Internet delle Cose (IoT), nella stampa 3D, nell’ingegneria genetica e nei computer quantistici. Le conseguenze riguardano nuove tecnologie produttive, condizioni di lavoro, modelli di business, produttività degli impianti e qualità dei prodotti. Le ripercussioni sono notevoli sugli stili di vita, sui modelli educativi e sui consumi. Bianchi richiama la necessità di nuove risorse umane, a tutti i livelli dai ragazzi agli adulti, per affrontare la quarta rivoluzione industriale (p.31ss).

[45] L’obiettivo appare del tutto ambizioso dal momento che secondo il Monitoraggio 2022 condotto dall’Indire gli studenti degli ITS (260) nel 2020 ammontavano appena a 6.874 unità.

[46] L’autore accenna genericamente alla necessità di assicurare la scuola dell’infanzia per tutti aggiungendo anche un semplice richiamo ai nidi (p.170s), questioni che nel PNRR avranno un posto di rilievo.

[47] Cfr. nota n.11 p.154.

[48] In occasione della presentazione di un fascicolo della rivista dell’Arel dedicato al tema dell’uguaglianza (1/2021) a Roma il 13 maggio 2021 il Prof. Patrizio Bianchi parla di “spinte individualiste e populiste” che hanno condizionato gli anni passati riconoscendo, tuttavia, che “C’è un enorme spazio per una ripresa in cui l’uguaglianza non sia un accessorio, ma un punto fondante dei nostri valori e anche della nostra proposta politica”.

[49] Si veda, ad esempio, la rivisitazione critica della categoria del capitale umano nel contesto attuale in Ph. Brownm H. Lauder e S. Y. Cheung, The Death of Human Capital? Its failed promise and how to renew it in an age of disruption, Oxford University Press, Oxford 2020.

[50] Per un’analisi del ruolo dell’istruzione nei processi di mobilità sociale cfr. E. Bukodi e J.H. Goldthorpe, Social Mobility and Education in Britain. Research, Politics and Policy, Cambridge University Press, Cambridge 2019.

[51] Si vedano i commenti di Giovanni Carosotti in “L’insofferenza per la cultura, nella scuola del Ministro Bianchi”, Roars, 25 Maggio 2021.

[52] Risulta quasi paradossale che l’autore citi Martha Nussbaum (p.90) senza fare riferimento ad una delle tesi che hanno avuto maggior risonanza della filosofa americana (Non per profitto. Perchè le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Il Mulino, Bologna 2014). In tema di veda anche Nuccio Ordine, L’utilità dell’inutile. Manifesto, Bompiani, MiIano 2013.

[53] Fanno eccezione le competenze in matematica che hanno fatto registrare un rimarchevole miglioramento (cfr. gli esiti del Programma PISA).

[54] Andreas Schleicher include tra i miti sull’educazione la convinzione che “il successo dell’istruzione sta nella maggiore quantità di denaro disponibile”(Una scuola di prima classe. Come costruire un sistema scolastico per il XXI secolo. Il Mulino, Bologna, 2020, p.59ss). Per una ricerca a tutto campo sul tema si veda anche W. Norton Grubb, The Money Myth. School Resources, Outcomes and Equity, Russell Sage Foundation, New York 2009.

[55] Cfr. Anna Medina e Giampaolo Rossi (a cura di), Uniformità e squilibri nel servizio scolastico italiano, Il Mulino, Bologna 1991.

[56] SI vedano le analisi di Anthony B. Atkinson sulle tendenze alla riduzione delle disuguaglianze dal 1945 agli anni 1970 e sul successivo “inequality turn” negli anni 1980 (Inequality. What can be done, Harvard University Press, Cambridge Mass. 2015, pp.2ss).

[57] La stessa affermazione potrebbe essere fatta per la Lombardia, per il Veneto e per le province autonome di Trento e Bolzano dove il settore della formazione professionale ha una posizione di rilievo. Nella vulgata corrente è diffusa la presentazione della dispersione come distanza tra gli iscritti al primo anno delle superiori e gli iscritti, cinque anni dopo, al quinto anno (si veda il dossier di Tuttoscuola “La scuola colabrodo” 2018): una semplificazione che ignora la quota di studenti che partecipano a percorsi nella formazione professionale.

[58] Pur senza farlo esplicitamente è da ritenere che il ministro si riferisca al dibattito politico e alle iniziative collegate sull’autonomia differenziata, tema sul quale il governo della Regione Emilia Romagna ha assunto proprie posizioni.

[59] L’ipotesi fin dalle prime realizzazioni è controversa Anche per il fallimento del lavoro istruttorio avviato dal Ministro Francesco Profumo in vista di una possibile riforma da estendere a tutte le istituzioni della scuola secondaria. L’accoglienza da parte delle scuole pare essere stata piuttosto tiepida. Gli argomenti contrari riguardano il fatto che contrariamente alla vulgata non ci sono standard europei e la posizione diffusa tra gli esperti che ad ogni anno di scolarità in più corrisponde una ricaduta positiva nella transizione al lavoro e alle professioni (cfr. Gavosto).

[60] Nel suo memoir sui tredici mesi a Viale Trastevere Lucia Azzolina stigmatizza il cambiamento radicale di posizione del ministro Patrizio Bianchi.

[61] In questo contesto di complessità in cui anche il linguaggio è di difficile controllo, il prof. Patrizio Bianchi, come altri, confonde la scuola paritaria con la scuola parificata (p.136) non distinguendo due regimi normativi del tutto distinti oltre che storicamente differenziati.

[62] è da ricordare che la Regione Emilia Romagna di cui Patrizio Bianchi è stato per dieci anni assessore all’istruzione e formazione, ha una popolazione dii 7 milioni di abitanti, quanti la Svezia, e una popolazione scolastica di 800.000 studenti. Quasi 200.000 sono nella formazione professionale. Gli esiti degli studenti della Regione sono correntemente abbondantemente sopra i livelli medi nazionali e si avvicinano a quelli dei paesi più performanti.

[63] F. Ronchi, 22 dicembre 2020) Rivista il Mulino 2022, 22 dicembre 2022.

[64] Si vedano le pagine su “Scuola e formazione” nel volume G. Valditara e A. Amadori, é l’Italia che vogliamo. Manifesto della lega per governare il paese, PIEMME, Milano 2022, pp.138-148.